giovedì 20 novembre 2014

consigli di San Ambrogio

E' un estratto dai "Sette dialoghi con Ambrogio, Vescovo di Milano"
(Centro Ambrosiano, 1996).

1. L’educazione dei figli è impresa per adulti disposti ad una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l’affetto necessario.

2. Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri. Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna.

3. Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro; siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani con slancio anche quando sembrerà che si dimentichino di voi.

4. Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande, non siate voi la zavorra che impedisce di volare.

5. Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna, e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è insopportabile una vita vissuta per niente.

6. Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete di loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l’arte, la forza anche di sorridere. E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato: e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.

7. I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene.

lunedì 2 giugno 2014

C'è sempre un no da dire a qualcuno e a qualche cosa, perché c'è sempre un sì da dire all'Altro e a quanto Egli promette


«Substine et abstine»

«Resisti e astieniti», frase attribuita al filosofo greco Epitteto.
è una divisa stoica che il cristiano
può e deve accettare come un momento propedeutico,
onde aver l'occhio più chiaro e il cuore più pronto per il Regno di Dio.
C'è sempre un no da dire a qualcuno e a qualche cosa,
perché c'è sempre un sì da dire all'Altro e a quanto Egli promette.

Il Vangelo è tutto fuorché una parola negativa:
è vita, fuoco, fermento, passione divina.
Gesù non è venuto a distruggere la città degli uomini
- non eripit mortalia qui regna dat coelestia -

«Non toglie i regni umani colui che dà il regno dei cieli»; si tratta di un brano
dell'inno per i vespri dell'Epifania nel Breviarium romanum.

ma a costruire, per mezzo degli uomini e con le cose degli uomini,
la città di Dio.
Ne ha disegnato i contorni,
tracciate le strade,
imprestati i mezzi,
esaltata la bellezza.
Soltanto in vista del Regno
è umana la richiesta del sacrificio.
- Propter Regnum Dei-

«Per il regno di Dio» (Lc 18,29).

posso cavarmi un occhio, mozzarmi la mano, tagliarmi un piede.
Ciò che mi impedisce di divenire un costruttore della novità eterna è giusto
che io lo strappi da me.
La più bella avventura, 131.

domenica 1 giugno 2014

nulla è dentro come l'amore, nulla più personale di un amore che soffre, richiama, accompagna, perdona, abbraccia, dà la vita.

Il «discorso» è breve e
Chi lo racconta non è fuori,
ma dentro:
non alla maniera con cui è dentro il poeta,
che narra soltanto un po' meglio ciò che crede di vedere dentro di sé.
Il Maestro invece traduce non
un'esperienza, un sentimento, un'impressione, uno stato d'animo;
traduce sé stesso.
Egli è il Padre ed è pure
il figlio che va e
il figlio che rimane:
trascendente e immanente,
poiché nulla è dentro come l'amore,
nulla più personale di un amore
che soffre, richiama, accompagna, perdona, abbraccia, dà la vita.
La vita dei figli si perderebbe se Qualcuno non avesse la vita in sé:
la vita non potrebbe riprendere nei figli,
se la Fonte non fosse nella stessa aridità del canale:
«fons vincit sitientem» Il passo è tratto dai Discorsi di Agostino d'Ippona: AUGUST., Sermo,
159,8: «la sorgente sopravanza il bisogno dell'assetato».
La più bella avventura, 96.

sabato 31 maggio 2014

strade di erramento che sono anche strade di ritorno, ove il padre diventa più padre, perdonando, e i figliuoli, figliuoli davvero, sbagliando


È la prima delle parabole della salute:
la Parabola della salute:
discorso delle beatitudini o della felicità:
Parabola della salute o della felicità:
dove la felicità sta di casa:
per quali strade la si ritrova:
strade di erramento che sono anche
strade di ritorno,
ove il padre diventa
più padre,
perdonando,
e i figliuoli,
figliuoli davvero,
sbagliando.
La vita è una strada che ritorna.
«Io torno a Colui che mi ha mandato» Gv 7,33.
La mia preghiera:
«O Signore, o Signore,
abbi pietà del mio abbandono e
fa' che del tuo regno io Ti possa veder sul limitare alto
avanzare con le braccia aperte
incontro a me
che sul finir del giorno a Te ritorno!».
La più bella avventura, 96.

venerdì 30 maggio 2014

Basta che teniate il lume acceso e Lo vedrete sempre. Continuate a riempire il lume con piccole gocce d’amore e vedrete quanto è dolce il Dio che amate. Resterò di contino assente dal Paradiso, per accendere la luce a quelli che vivono nell’oscurità sulla terra.


Lc 8,16-18
La lampada si pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce.

Non cercate Gesù in terre lontane: 
Lui non è là. 
È vicino a voi. 
È con voi. 
Basta che teniate il lume acceso e Lo vedrete sempre. 
Continuate a riempire il lume con piccole gocce d’amore e 
vedrete quanto è dolce il Dio che amate.
Resterò di contino assente dal Paradiso, 
per accendere la luce a quelli che vivono nell’oscurità sulla terra.
Spesso si vedono fili metallici piccoli o grandi, vecchi o nuovi, cavi elettrici economici o costosi 
che restano inutilizzati, 
perché se non vi passa la corrente non servono a far luce. 
I fili siamo voi ed io, 
la corrente è Dio. 
Noi possiamo decidere di lasciar passare la corrente attraverso di noi, di essere usati, 
o possiamo rifiutare di essere usati e permettere all’oscurità di diffondersi.
Siate gentili e misericordiosi. 
Fate in modo che nessuno venga da voi senza andarsene migliore e più felice. 
Siate espressione vivente della bontà di Dio: 
bontà nei vostri occhi, nel volto, nel sorriso, nel saluto. 
Ai bambini, ai poveri ed a tutti coloro che soffrono e sono soli donate sempre un sorriso felice. Donate loro non soltanto le vostre cure, ma anche il vostro cuore.
Madre Teresa di Calcutta

giovedì 29 maggio 2014

L’importante è il dono di noi stessi, il grado di amore che mettiamo in ciascuno dei nostri gesti. Non sappiamo fare grandi cose, soltanto piccole cose con grande amore.

Lc 8,19-21
Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.

Dobbiamo ascoltare Dio perché ciò che conta
non è quello che diciamo noi,
ma quello che Lui dice a noi e attraverso di noi.
Comincio sempre la mia preghiera in silenzio,
perché è nel silenzio del cuore che Dio parla.
Dio è amico del silenzio.
Se non conoscete nel profondo del cuore che Gesù ha sete di voi,
non potete cominciare a conoscere ciò che egli vuole essere per voi,
e ciò che egli vuole voi siate per lui.
Diventiamo tutti un ramo vero e fruttuoso della vigna di Gesù,
accettandolo nelle nostre vite sotto la forma in cui a Lui piace venire:
come Verità da dire;
come Vita da vivere;
come Luce da accendere;
come Amore da amare;
come Strada da percorrere;
come Gioia da donare,
come Pace da diffondere;
come Sacrificio da offrire, nelle nostre famiglie e con il nostro prossimo.
L’importante è il dono di noi stessi,
il grado di  amore che mettiamo in ciascuno dei nostri gesti.
Non sappiamo fare grandi cose,
soltanto piccole cose con grande amore.
Fa’ sì che Ti predichiamo senza predicare,
non con le parole,
ma col nostro esempio,
con la forza travolgente,
l’influsso di ciò che facciamo,
con l’evidente pienezza dell’amore che i nostri cuori nutrono per Te.
Gesù, aiutaci a diffondere la tua fragranza dovunque andiamo.
Inondaci l’anima del Tuo spirito e della Tua vita.
Penetra in noi e possiedi tutto il nostro essere,
così a fondo che tutta la nostra vita sia un’irradiazione della Tua.
Splendi attraverso di noi, e sii in noi a tal punto da far sentire a ogni anima che tocchiamo la Tua presenza nella nostra anima.
Fa’ sì che guardandoci non vedano più noi, ma solo Gesù!
Resta con noi, e risplenderemo come Tu risplendi;
tanto da divenire una luce per gli altri.
Madre Teresa di Calcutta

mercoledì 28 maggio 2014

Perciò vi supplico: cercate di trovare anzitutto li, nella vostra casa, i vostri poveri. Non permettete a nessuno di sentirsi solo, indesiderato, non amato, ma non permettetelo anzitutto a quelli di casa vostra, al vostro prossimo.


Lc 9,1-6
Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.

Gesù si è fatto il pane di vita per poter saziare 
la nostra fame di Dio, 
il nostro amore di Dio. 
E poi, per saziare la propria fame del nostro amore, 
si è fatto 
affamato, 
nudo, 
senzatetto, 
e ha detto: «Quando lo avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me».
Perciò vi supplico: 
cercate di trovare anzitutto li, nella vostra casa, i vostri poveri. 
Non permettete a nessuno di sentirsi 
solo, indesiderato, non   amato, 
ma non permettetelo anzitutto 
a quelli di casa vostra, 
al vostro prossimo. 
C’è qualcuno che è cieco? 
Andate a leggergli il giornale, a fargli le spese, a fargli le pulizie. 
Non si richiede nient’altro che questo.
Prima di toccare un sofferente, 
prima di ascoltare un sofferente, 
pregate. 
Per poter amare quel sofferente, 
avete infatti bisogno di un cuore puro. 
Voi non potete amare ì malati e i sofferenti se non amate quelli che vivono con voi sotto lo stesso tetto. 
Per questo è assolutamente necessario che preghiamo. 
Il frutto della preghiera è l’approfondimento della fede; 
il frutto della fede è l’amore; 
il frutto dell’amore è il servizio. 
La preghiera ci dà il cuore puro e il cuore puro può vedere Dio. 
E vedendo Dio gli uni negli altri 
ci ameremo scambievolmente come ci ama Gesù. 
Quello che Gesù è venuto a insegnarci facendosi uomo sta tutto qui: 
amarci gli uni gli altri.
Non crediamo 
che la povertà consista solo 
nell’avere fame di pane, 
nell’essere nudi per mancanza di vestiti, 
nell’essere privi di un’abitazione di mattoni e di cemento. 
Esiste una povertà ancora più grande: 
quella di non sentirsi amati, non sentirsi desiderati, 
sentirsi emarginati. 
Quella di non avere nessuno nella vita.
Madre Teresa di Calcutta

martedì 27 maggio 2014

Davanti a Dio siamo tutti poveri. In un modo o nell’altro siamo tutti handicappati. A volte lo si vede esternamente, a volte lo si è dentro.


Lc 9,7-9
Chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?

«Aprite gli occhi e guardate».
Non c’è solo fame di un pezzo di pane, 
c’è fame di comprendere l’amore, 
la parola di Dio.
Davanti a Dio siamo tutti poveri. 
In un modo o nell’altro siamo tutti handicappati. 
A volte lo si vede esternamente, a volte lo si è dentro. 
La persona sana può essere più vicina alla morte 
e persino più morta di un moribondo. 
Potrebbe essere morta spiritualmente, 
solo che non si vede. 
Se davvero apparteniamo totalmente a Dio, 
dobbiamo essere a sua disposizione e dobbiamo confidare in Lui. 
Ieri è passato. 
Il domani non è ancora arrivato. 
Abbiamo solo l’oggi: 
cominciamo.
Madre Teresa di Calcutta

lunedì 26 maggio 2014

Se Gesù è questo "tutti" perchè non lo vedo e non lo incontro?


Lc 9,18-22
«Ma voi, chi dite che io sia?».

Chi è Gesù per me.
Il Verbo fatto carne. 
Il pane di vita. 
La vittima che si offre sulla croce per i nostri peccati. 
Il sacrificio offerto nella santa messa per i peccati del mondo e miei personali. 
La parola che devo dire. 
Il cammino che devo seguire. 
La luce che devo accendere. 
La vita che devo vivere. 
L’amore che deve essere amato. 
La gioia che dobbiamo condividere. 
Il sacrificio che dobbiamo offrire. 
La pace che dobbiamo seminare. 
Il pane di vita che dobbiamo mangiare. 
L’affamato che dobbiamo sfamare. 
L’assetato che dobbiamo dissetare. 
Il nudo che dobbiamo vestire. 
Il senzatetto al quale dobbiamo offrire riparo. 
Il solitario al quale dobbiamo far compagnia. 
L’inatteso che dobbiamo accogliere. 
Il lebbroso le cui ferite dobbiamo lavare. 
Il mendicante che dobbiamo soccorrere. 
L’alcolizzato che dobbiamo ascoltare. 
Il disabile che dobbiamo aiutare. 
Il neonato che dobbiamo accogliere. 
Il cieco che dobbiamo guidare. 
Il muto a cui dobbiamo prestare la nostra voce. 
Lo storpio che dobbiamo aiutare a camminare. 
La prostituta che dobbiamo allontanare dal pericolo e colmare della nostra amicizia. 
Il detenuto che dobbiamo visitare. 
L’anziano che dobbiamo servire. 
Gesù è il mio Dio. 
Gesù è il mio sposo. 
Gesù è la mia vita. 
Gesù è il mio unico amore. 
Gesù è tutto per me. Gesù, per me, è l’unico.
Madre Teresa di Calcutta

domenica 25 maggio 2014

Insegnami quell’amore che è sempre paziente e sempre gentile; mai geloso, presuntuoso, egoista o permaloso; l’amore che prova gioia nella verità, sempre pronto a perdonare, a credere, a sperare e a sopportare.



Gv 1,47-51

Vedrai cose più grandi di queste

Voi ed io siamo stati creati per cose più grandi. Non siamo stati creati solo per attraversare questa vita senza uno scopo. E quello scopo più grande consiste nell’amare e nell’essere   amati.
Apri i nostri occhi, Signore, perché possiamo vedere te nei nostri fratelli e sorelle. Apri le nostre orecchie, Signore, perché possiamo udire le invocazioni di chi ha fame, freddo, paura, e di chi è oppresso. Apri il nostro cuore, Signore, perché impariamo ad amarci gli uni gli altri come tu ci ami. Donaci di nuovo il tuo Spirito, Signore, perché diventiamo un cuore solo ed un’anima sola, nel tuo nome.
Rendimi capace di comprendere e dammi la fede che muove le montagne, ma con l’amore. Insegnami quell’amore che è sempre paziente e sempre gentile; mai geloso, presuntuoso, egoista o permaloso; l’amore che prova gioia nella verità, sempre pronto a perdonare, a credere, a sperare e a sopportare. Infine, quando tutte le cose finite si dissolveranno e tutto sarà chiaro, che io possa essere stato il debole ma costante riflesso del tuo amore perfetto

Madre  Teresa di calcutta

sabato 24 maggio 2014

parlami di Dio.

e dopo aver chiuso il libro della Parola, un momento di ascolto dell'eco...

«Dissi al mandorlo: parlami di Dio.
Ed il mandorlo fiorì.

Dissi al povero: parlami di Dio.
Ed il povero mi offrì la sua casa.

Dissi al sogno: parlami di Dio.
Ed il sogno si fece realtà.

Dissi all'usignolo: parlami di Dio.
E l'usignolo si mise a cantare.

Dissi ad un soldato: parlami di Dio.
Ed il soldato lasciò le sue armi.

Dissi alla natura: parlami di Dio.
E la natura si coprì di bellezza.

Dissi al bambino: parlami di Dio.
Ed il bambino lo chiese a me.

Dissi all'amico: parlami di Dio.
E l'amico mi insegnò ad amare.

Dissi ad un piccino: parlami di Dio.
Ed il piccino sorrise.

Dissi al dolore: parlami di Dio.
Ed il dolore cominciò a ringraziare.

Dissi alla mano: parlami di Dio.
E la mano si trasformò in servizio.

Dissi alla fonte: parlami di Dio.
E sgorgò l'acqua.

Dissi alla voce: parlami di Dio.
E la voce non trovò parole.

Dissi a mia madre: parlami di Dio.
E mia madre mi baciò.

Dissi al predicatore: parlami di Dio.
Ed il predicatore mi consegnò la Bibbia.

Dissi alla Bibbia: parlami di Dio.
E la Bibbia perse la voce per tanto parlare.

Dissi a Gesù: parlami di Dio.
E Gesù recitò il Padre Nostro.

Dissi al sole calante: parlami di Dio.
Ed il sole si nascose senza dirmi nulla.
Ma il giorno dopo, all'alba,
quando aprii la finestra, tornò a sorridermi».
Nikos Kazantzakis

venerdì 23 maggio 2014

Sì, ormai l'opera di salvezza di Dio ha il nostro volto. Non per vantarci di un privilegio, ma per ricevere una grazia e una missione. Ormai noi siamo segnati dalla croce di Cristo per essere, in questo mondo, il segno e il sacramento del Messia


Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
 E noi, in quale Dio crediamo?
Per la lettura spirituale
Confessare che
Cristo è la via, la verità e la vita
significa
osare credere di essere chiamati da lui, nello Spirito, a seguirlo,
credere che il mondo non è uno strano enigma ma che nella storia dell'umanità e nella storia particolare di ogni uomo, si operi la salvezza di Dio.
Sì, ormai l'opera di salvezza di Dio ha il nostro volto.
Non per vantarci di un privilegio, ma per ricevere una grazia e una missione.
Ormai noi siamo segnati dalla croce di Cristo
per essere, in questo mondo, il segno e il sacramento del Messia che soffre,
e permettere agli uomini di decifrare l'opera di Dio in questo universo che, in alcuni momenti, rischia di apparire
assurdo nelle sue contraddizioni,
insopportabile nel suo caos,
insostenibile nelle sue grida.
Decifrare nella fede
il mistero del Giusto che soffre e
la speranza di gloria che porta con sé:
ciò possono e devono fare soltanto coloro che condividono la condizione del Cristo Messia crocifisso.
Ecco la nostra missione.
Sì, noi osiamo dire che
il Cristo è la via, la verità, e la vita,
che nulla va al Padre se non passa attraverso di lui.
Dicendo questo, non escludiamo nessun uomo e non rivendichiamo nessun privilegio.
Se non quello di impegnarci all'amore e al perdono con colui che ci ama e che ci ha perdonati.
Se non quello di essere la Chiesa che Dio ha scelto per manifestare agli uomini, qui e ora, la speranza eterna. Card. JEAN-MARIE LUSTIGER

giovedì 22 maggio 2014

Pensare che Israele abbia ricevuto questo dono della presenza di Dio è già una provocazione per l'intelligenza umana. Ora, Gesù dice che sta per entrare in questo luogo santo.


Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
 E noi, in quale Dio crediamo?
Per la lettura spirituale


Gesù dice: "La casa del Padre".
Si tratta del Tempio dove Dio si manifesta, il luogo santissimo in cui dimora la gloria divina.
Pensare
che Israele abbia ricevuto questo dono della presenza di Dio
è già una provocazione per l'intelligenza umana.
Ora, Gesù dice che sta per entrare in questo luogo santo.
Si presenta dunque come il sommo sacerdote che ha, egli solo, il diritto di penetrarvi.
Ma si tratta del tempio celeste.
Ed egli aggiunge:
"Perché siate anche voi dove sono io".
In altri termini,
noi siamo un popolo sacerdotale
poiché egli ci propone come una promessa e una speranza l'entrata nel santuario celeste, nel luogo santissimo in cui Dio stabilisce la sua gloria.
Gesù ci chiede di credere in lui per rimetterci a lui.
Poiché egli ci prenderà con sé e ci farà arrivare al luogo santissimo, a suo Padre.
"E del luogo dove io vado voi conoscete la via".
Queste parole enigmatiche designano il cammino della sua passione.
Concentrare nella sua passione ogni possibilità d'accesso al mistero di Dio è ancora più scandaloso per l'intelligenza umana di quanto non sia provocatorio per la fede d'Israele l'affermarsi come il Messia, il Figlio di Dio. Gesù fa della sua croce il luogo di passaggio obbligato verso il Padre celeste.
Il Cristo raddoppia in qualche modo, invece di risparmiarcelo, lo scandalo al quale vogliamo sfuggire.
E Tommaso protesta:
"Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere la via?".
Gesù gli risponde:
"Io sono la via, la verità, e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me".
La Via:
Cristo, nella sua condizione di Figlio di Dio fatto uomo, nel suo mistero di Messia umiliato, crocifisso, annientato, si presenta come il mediatore attraverso il quale l'umanità intera può avere accesso a Dio, poiché Cristo compie la volontà del suo Padre celeste.
La Verità:
e non le verità che l'uomo abbraccia e poi rinnega, le coerenze che discerne e poi distrugge. Ma la verità che si rivela in una persona e ci rende persone. Attraverso Gesù, Dio ci dice: "tu", e noi possiamo dirgli: "tu". La verità: luce del mondo e nostra vita. Verità del nostro creatore e redentore nella quale sorge la nostra esistenza umana, palesandoci chi noi siamo. Conoscendo Dio, scoprire chi siamo: ecco la sola verità interessante al mondo. Il resto non è che un accumulo di conoscenze che avranno fine come hanno fine tutte le memorie accumulate dall'uomo. La sola memoria immortale è la memoria di Dio, e la nostra memoria in Dio. Il resto non è che uno splendido artificio dell'intelligenza dell'uomo. Sublime strumento di potenza e di bellezza questa intelligenza, certo, ma essa non è che miraggio e nube quando non sorge nel mondo la voce di una persona in grado di dire: "Io" perché Dio gli dice: "Tu". E noi possiamo dire: "Noi" perché Dio ci riunisce dicendo: "Voi".
La Vita:
in questa relazione che svela il gioco dei pronomi "personali" ci viene rivelato il mistero personale dell'amore di Dio. Cristo è colui che ci dice:
"Padre mio e Padre vostro".
Egli può, di conseguenza, pretendere da noi la fede che il Padre ci chiede,
poiché ci dona
la vita che viene da Dio,
la vita che distrugge il peccato e la morte.
In questo momento del Vangelo, prossimo all'offerta della sua vita, Gesù continua pazientemente a spiegare l'opera che il Padre sta compiendo attraverso di lui, affinché, credendo in lui, noi crediamo nel Padre:
"Credetemi: io sono nel Padre ed il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, lo farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio".
Tale è il significato della nostra adesione a Cristo che l'apostolo Pietro ci ricorda con le parole dell'Esodo (Es 19,5) che designano il popolo d'Israele come quello scelto da Dio:
"Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi che un tempo eravate non popolo, ora invece siete il popolo di Dio".
"Nazione santa, popolo acquistato da Dio":
nessun altro titolo di gloria in questa affermazione, nessun'altra rivendicazione di verità in questo atto di fede, se non la partecipazione al sacerdozio di Cristo,
"obbedendo fino alla morte, alla morte di croce".
Card. JEAN-MARIE LUSTIGER

mercoledì 21 maggio 2014

Nessun gruppo di uomini può pretendere di monopolizzare Cristo in questo mondo.


Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
 E noi, in quale Dio crediamo?
Per la lettura spirituale

Quale orribile caricatura dell'"elezione",
cioè della scelta volontaria fatta da Dio per un uomo, per un popolo, per Cristo e la sua Chiesa! Nessun gruppo di uomini può pretendere di monopolizzare Cristo in questo mondo.
Quando egli ci rivela: "Io sono la via, la verità, la vita", è per farci partecipare alla sua condizione divina di redentore di tutti gli uomini.
Infatti,
è Cristo che sceglie la sua Chiesa e il suo popolo;
è Cristo che pone il suo marchio per riconoscere coloro che hanno ricevuto la missione di essere la presenza e il segno del suo amore in questo mondo.
E non l'orgoglio dell'uomo che si appropria di Cristo, Dio fatto uomo, per farne l'oggetto sacro della sua società, del suo gruppo nazionale.
Nel corso delle sue visite pastorali, il Papa ha così ricordato alcune disavventure dell'Occidente.
In Germania, con coraggio e con una singolare lucidità cristiana, che lezione per noi tutti!
Egli ha evocato la terribile apostasia che consiste nello stravolgere la fede in Gesù Cristo e le parole delle Scritture, il significato stesso dell'elezione per asservirli ad un'ambizione nazionale, una razza, un sangue.
I soldati portavano scritto sui loro cinturoni: "Dio è con noi".
Blasfemo, e altrettanto idolatrico di tutti i blasfemi che fanno tremare l'autore dell'Apocalisse davanti alla bestia rivestita dei segni di Dio per usurpare la potenza divina.
Cattolici, miei fratelli, guardatevi dal pensare che questa tentazione sia stata allontanata per sempre.
Davanti all'affermazione dell'assoluto di Cristo, noi possiamo dunque provare turbamento ed esitazione:
o per scetticismo
(il cristianesimo appare una forma, tra le altre, dell'esperienza religiosa)
o per volontà di potenza
(la fede di Cristo viene ridotta ad una identità culturale o nazionale).
Le nostre società non possono dunque che oscillare tra scetticismo e fanatismo, tra la relativizzazione della fede cristiana e la sua affermazione umana ed etnica?
Che cosa ne è dunque delle parole di Cristo, nelle nostre civiltà così spesso senza radici e abitate da tante contraddizioni e tanto odio?
Ascoltate queste parole di Gesù.
Egli le pronuncia alla vigilia della sua passione, per i suoi apostoli.
Esse ci vengono dette oggi, nella Chiesa, da Cristo risuscitato, vengono dette a noi che siamo sue membra, a noi che siamo la sua Chiesa.
"Non siate sconvolti. Non sia turbato il vostro cuore".
La chiamata di Cristo mette in una situazione ben precisa noi suoi discepoli:
ciò che ci riunisce è Cristo stesso, che ci chiama a seguirlo,
qualunque sia il colore della nostra pelle, la nostra origine, la nostra terra.
"Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me".
Frase sorprendente, quasi sconvolgente.
Poiché solo Dio può chiedere all'uomo la fede,
cioè la donazione incondizionata
della sua libertà, della sua intelligenza, del suo amore, a lui che ne è la fonte.
E solo questa donazione di sé a Dio non è alienante per l'uomo, poiché solo Dio è Dio. Credere in Cristo con la stessa fede che è dovuta a Dio, è riconoscere che Gesù è "la via", l'unica via verso il Padre celeste.
Noi non riponiamo la nostra fede in un capo, in una patria, nelle idee, in una causa, così come la riponiamo in Dio, che è il solo a poter pretendere da noi una tale adesione.
 Card. JEAN-MARIE LUSTIGER

martedì 20 maggio 2014

mettono la croce di Cristo al servizio dell'adorazione di se stessi, perfino della loro volontà di dominare


Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
 E noi, in quale Dio crediamo?
Per la lettura spirituale
"Io sono la via, la verità, e la vita" (Gv 14,6), ci dice Gesù.
Se riflettiamo sulla portata prodigiosa di questa affermazione,
possiamo essere tentati, in un primo momento,
di indietreggiare davanti ad essa,
avendo scoperto la relatività
di ciò a cui si crede e
delle convinzioni religiose degli uomini.
Quanti nostri contemporanei, usciti dall'universo limitato della loro educazione,
hanno incontrato nel mondo
altre culture, altre civiltà, altri itinerari spirituali orientali e occidentali e
si interrogano:
"Le parole di Gesù non sono forse fonte di una presunzione insopportabile, quella dei cristiani che osano affermare come un assoluto la loro fede in Cristo?".
Non dobbiamo forse considerare queste parole in modo relativo ed accettare che per altri uomini, in altre religioni, esse trovino degli equivalenti?
Ecco uno dei primi dubbi che assalgono l'uomo
i cui occhi sono aperti sul nostro mondo.
All'opposto, nel corso della storia si ripetono costantemente caricature paurose:
alcuni popoli si impadroniscono del cristianesimo e dell'appellativo "cattolico"
farne una loro proprietà,
al punto di ridurre la religione di Cristo all'espressione della loro sacralità.
Essi considerano la loro identità nazionale o etnica come sacra
e mettono la croce di Cristo al servizio dell'adorazione di se stessi, perfino della loro volontà di dominare.
Card. JEAN-MARIE LUSTIGER

lunedì 19 maggio 2014

il nostro cuore è spesso turbato


Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
 E noi, in quale Dio crediamo?
Prega
Signore Gesù, maestro buono, 
il nostro cuore è spesso turbato 
per tutto il male che c'è nel mondo e 
per le nostre stesse debolezze, 
per i tradimenti e i rinnegamenti di cui ci vediamo capaci.
Aumenta la nostra fede in te e nel Padre che ci hai rivelato. 
Tu sei la via: 
fa' che ti seguiamo! 
Tu sei la verità: 
fa' che ti conosciamo! 
Tu sei la vita: 
fa' che viviamo in te per vedere il Padre 
e glorificare il tuo santo nome davanti a tutti gli uomini.

Un pensiero per riflettere
L'uomo non è mai tanto grande come quando sta in ginocchio dinanzi a Dio. (Giovanni XXIII)

domenica 18 maggio 2014

Un Dio adulto che ci tratta da adulti, che dice a Mosé: "ho visto la sofferenza del mio popolo... và, io ti mando" (Es 3,7-8), quando tutti avremmo preferito sentirci dire: "Ho visto la sofferenza del popolo, ora intervengo".


Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
Medita
(don Paolo Curtaz )
Un Dio che - come dicevamo - stanco di essere frainteso si fa
uomo,
corpo,
sguardo.
Un Dio che
suda e impara,
si stanca e ride,
fa festa e lutto,
lavora e gioisce della famiglia e dell'affetto dei suoi.
Un Dio che si piega sull'umanità ferita,
come un buon samaritano (Lc 10,33ss) versa sulle sue ferite l'olio della consolazione e il vino della speranza, che si prende in carico l'uomo dolorante e lo conduce alla locanda del regno.
Un Dio che, come un padre (Lc 15),
accetta che il figlio minore se ne vada di casa con i suoi soldi, rischiando di perderlo, purché egli faccia le sue scelte, che lo accoglie con rispetto, senza chiedere ragione della sua fallimentare esperienza e gli restituisce dignità, che fa festa ed esce a convincere il rancoroso fratello maggiore ad entrare con lui.
Un Dio che si commuove alle lacrime (Gv 11),
che ama l'amicizia e l'accoglienza,
che sceglie di donarsi fino in fondo,
che non ha paura del rischio,
che vuole morire per sigillare le parole "ti amo" rivolte a ciascuno di noi,
che piange di paura e
chiede qualcuno che lo ascolti,
che pende nudo da una croce.
La croce svela la misura di un Dio sconfitto per amore,
che preferisce morire per dire l'ultima parola.
Gesù ci svela il volto di un Dio paziente, silenzioso, timido, rispettoso dell'uomo.
Timido, perché egli è come la brezza del mattino (1Re 19)
e rispetta (lui almeno!) la libertà dei suoi figli.
Un Dio adulto che ci tratta da adulti,
che dice a Mosé: "ho visto la sofferenza del mio popolo... và, io ti mando" (Es 3,7-8),
quando tutti avremmo preferito sentirci dire:
"Ho visto la sofferenza del popolo, ora intervengo".
Dio non ti allaccia le scarpe, né ti risolve i problemi:
ti aiuta ad affrontarli, ti spiega che non è poi così fondamentale superarli,
che la storia ha un tesoro nascosto che sei chiamato a scoprire.
Gesù ci svela un Dio discretamente vittorioso nella resurrezione,
che ha un piano per l'umanità,
che ha un sogno, la Chiesa, i suoi discepoli,
chiamati non a salvare il mondo,
ma a vivere da salvati, costruendo quel regno che lui è venuto ad inaugurare,
regno di giustizia e di pace, di amore e di luce, di sguardo verso l'altrove.
Un Dio che viene là dove la sua comunità si raduna
e si rende presente nell'amore che si scambiano i discepoli e nei Sacramenti.
E noi, in quale Dio crediamo?
Prega
Signore Gesù, maestro buono, il nostro cuore è spesso turbato per tutto il male che c'è nel mondo e per le nostre stesse debolezze, per i tradimenti e i rinnegamenti di cui ci vediamo capaci. Aumenta la nostra fede in te e nel Padre che ci hai rivelato. Tu sei la via: fa' che ti seguiamo! Tu sei la verità: fa' che ti conosciamo! Tu sei la vita: fa' che viviamo in te per vedere il Padre e glorificare il tuo santo nome davanti a tutti gli uomini.
Un pensiero per riflettere
L'uomo non è mai tanto grande come quando sta in ginocchio dinanzi a Dio. (Giovanni XXIII)

Per la lettura spirituale
"Io sono la via, la verità, e la vita" (Gv 14,6), ci dice Gesù. Se riflettiamo sulla portata prodigiosa di questa affermazione, possiamo essere tentati, in un primo momento, di indietreggiare davanti ad essa, avendo scoperto la relatività di ciò a cui si crede e delle convinzioni religiose degli uomini. Quanti nostri contemporanei, usciti dall'universo limitato della loro educazione, hanno incontrato nel mondo altre culture, altre civiltà, altri itinerari spirituali orientali e occidentali e si interrogano: "Le parole di Gesù non sono forse fonte di una presunzione insopportabile, quella dei cristiani che osano affermare come un assoluto la loro fede in Cristo?". Non dobbiamo forse considerare queste parole in modo relativo ed accettare che per altri uomini, in altre religioni, esse trovino degli equivalenti? Ecco uno dei primi dubbi che assalgono l'uomo i cui occhi sono aperti sul nostro mondo. All'opposto, nel corso della storia si ripetono costantemente caricature paurose: alcuni popoli si impadroniscono del cristianesimo e dell'appellativo "cattolico" per farne una loro proprietà, al punto di ridurre la religione di Cristo all'espressione della loro sacralità. Essi considerano la loro identità nazionale o etnica come sacra e mettono la croce di Cristo al servizio dell'adorazione di se stessi, perfino della loro volontà di dominare.
Quale orribile caricatura dell'"elezione", cioè della scelta volontaria fatta da Dio per un uomo, per un popolo, per Cristo e la sua Chiesa! Nessun gruppo di uomini può pretendere di monopolizzare Cristo in questo mondo. Quando egli ci rivela: "Io sono la via, la verità, la vita", è per farci partecipare alla sua condizione divina di redentore di tutti gli uomini. Infatti, è Cristo che sceglie la sua Chiesa e il suo popolo; è Cristo che pone il suo marchio per riconoscere coloro che hanno ricevuto la missione di essere la presenza e il segno del suo amore in questo mondo. E non l'orgoglio dell'uomo che si appropria di Cristo, Dio fatto uomo, per farne l'oggetto sacro della sua società, del suo gruppo nazionale. Nel corso delle sue visite pastorali, il Papa ha così ricordato alcune disavventure dell'Occidente. In Germania, con coraggio e con una singolare lucidità cristiana, che lezione per noi tutti! Egli ha evocato la terribile apostasia che consiste nello stravolgere la fede in Gesù Cristo e le parole delle Scritture, il significato stesso dell'elezione per asservirli ad un'ambizione nazionale, una razza, un sangue. I soldati portavano scritto sui loro cinturoni: "Dio è con noi". Blasfemo, e altrettanto idolatrico di tutti i blasfemi che fanno tremare l'autore dell'Apocalisse davanti alla bestia rivestita dei segni di Dio per usurpare la potenza divina. Cattolici, miei fratelli, guardatevi dal pensare che questa tentazione sia stata allontanata per sempre. Davanti all'affermazione dell'assoluto di Cristo, noi possiamo dunque provare turbamento ed esitazione: o per scetticismo (il cristianesimo appare una forma, tra le altre, dell'esperienza religiosa) o per volontà di potenza (la fede di Cristo viene ridotta ad una identità culturale o nazionale). Le nostre società non possono dunque che oscillare tra scetticismo e fanatismo, tra la relativizzazione della fede cristiana e la sua affermazione umana ed etnica? Che cosa ne è dunque delle parole di Cristo, nelle nostre civiltà così spesso senza radici e abitate da tante contraddizioni e tanto odio? Ascoltate queste parole di Gesù. Egli le pronuncia alla vigilia della sua passione, per i suoi apostoli. Esse ci vengono dette oggi, nella Chiesa, da Cristo risuscitato, vengono dette a noi che siamo sue membra, a noi che siamo la sua Chiesa. "Non siate sconvolti. Non sia turbato il vostro cuore". La chiamata di Cristo mette in una situazione ben precisa noi suoi discepoli: ciò che ci riunisce è Cristo stesso, che ci chiama a seguirlo, qualunque sia il colore della nostra pelle, la nostra origine, la nostra terra. "Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me". Frase sorprendente, quasi sconvolgente. Poiché solo Dio può chiedere all'uomo la fede, cioè la donazione incondizionata della sua libertà, della sua intelligenza, del suo amore, a lui che ne è la fonte. E solo questa donazione di sé a Dio non è alienante per l'uomo, poiché solo Dio è Dio. Credere in Cristo con la stessa fede che è dovuta a Dio, è riconoscere che Gesù è "la via", l'unica via verso il Padre celeste. Noi non riponiamo la nostra fede in un capo, in una patria, nelle idee, in una causa, così come la riponiamo in Dio, che è il solo a poter pretendere da noi una tale adesione.
"Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io". Gesù dice: "La casa del Padre". Si tratta del Tempio dove Dio si manifesta, il luogo santissimo in cui dimora la gloria divina. Pensare che Israele abbia ricevuto questo dono della presenza di Dio è già una provocazione per l'intelligenza umana. Ora, Gesù dice che sta per entrare in questo luogo santo. Si presenta dunque come il sommo sacerdote che ha, egli solo, il diritto di penetrarvi. Ma si tratta del tempio celeste. Ed egli aggiunge: "Perché siate anche voi dove sono io". In altri termini, noi siamo un popolo sacerdotale poiché egli ci propone come una promessa e una speranza l'entrata nel santuario celeste, nel luogo santissimo in cui Dio stabilisce la sua gloria. Gesù ci chiede di credere in lui per rimetterci a lui. Poiché egli ci prenderà con sé e ci farà arrivare al luogo santissimo, a suo Padre. "E del luogo dove io vado voi conoscete la via". Queste parole enigmatiche designano il cammino della sua passione. Concentrare nella sua passione ogni possibilità d'accesso al mistero di Dio è ancora più scandaloso per l'intelligenza umana di quanto non sia provocatorio per la fede d'Israele l'affermarsi come il Messia, il Figlio di Dio. Gesù fa della sua croce il luogo di passaggio obbligato verso il Padre celeste. Il Cristo raddoppia in qualche modo, invece di risparmiarcelo, lo scandalo al quale vogliamo sfuggire. E Tommaso protesta: "Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere la via?". Gesù gli risponde: "Io sono la via, la verità, e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me". La Via: Cristo, nella sua condizione di Figlio di Dio fatto uomo, nel suo mistero di Messia umiliato, crocifisso, annientato, si presenta come il mediatore attraverso il quale l'umanità intera può avere accesso a Dio, poiché Cristo compie la volontà del suo Padre celeste. La Verità: e non le verità che l'uomo abbraccia e poi rinnega, le coerenze che discerne e poi distrugge. Ma la verità che si rivela in una persona e ci rende persone. Attraverso Gesù, Dio ci dice: "tu", e noi possiamo dirgli: "tu". La verità: luce del mondo e nostra vita. Verità del nostro creatore e redentore nella quale sorge la nostra esistenza umana, palesandoci chi noi siamo. Conoscendo Dio, scoprire chi siamo: ecco la sola verità interessante al mondo. Il resto non è che un accumulo di conoscenze che avranno fine come hanno fine tutte le memorie accumulate dall'uomo. La sola memoria immortale è la memoria di Dio, e la nostra memoria in Dio. Il resto non è che uno splendido artificio dell'intelligenza dell'uomo. Sublime strumento di potenza e di bellezza questa intelligenza, certo, ma essa non è che miraggio e nube quando non sorge nel mondo la voce di una persona in grado di dire: "Io" perché Dio gli dice: "Tu". E noi possiamo dire: "Noi" perché Dio ci riunisce dicendo: "Voi". La Vita: in questa relazione che svela il gioco dei pronomi "personali" ci viene rivelato il mistero personale dell'amore di Dio. Cristo è colui che ci dice: "Padre mio e Padre vostro". Egli può, di conseguenza, pretendere da noi la fede che il Padre ci chiede, poiché ci dona la vita che viene da Dio, la vita che distrugge il peccato e la morte. In questo momento del Vangelo, prossimo all'offerta della sua vita, Gesù continua pazientemente a spiegare l'opera che il Padre sta compiendo attraverso di lui, affinché, credendo in lui, noi crediamo nel Padre: "Credetemi: io sono nel Padre ed il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, lo farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio". Tale è il significato della nostra adesione a Cristo che l'apostolo Pietro ci ricorda con le parole dell'Esodo (Es 19,5) che designano il popolo d'Israele come quello scelto da Dio: "Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi che un tempo eravate non popolo, ora invece siete il popolo di Dio". "Nazione santa, popolo acquistato da Dio": nessun altro titolo di gloria in questa affermazione, nessun'altra rivendicazione di verità in questo atto di fede, se non la partecipazione al sacerdozio di Cristo, "obbedendo fino alla morte, alla morte di croce".
Confessare che Cristo è la via, la verità e la vita significa osare credere di essere chiamati da lui, nello Spirito, a seguirlo, credere che il mondo non è uno strano enigma ma che nella storia dell'umanità e nella storia particolare di ogni uomo, si operi la salvezza di Dio. Sì, ormai l'opera di salvezza di Dio ha il nostro volto. Non per vantarci di un privilegio, ma per ricevere una grazia e una missione. Ormai noi siamo segnati dalla croce di Cristo per essere, in questo mondo, il segno e il sacramento del Messia che soffre, e permettere agli uomini di decifrare l'opera di Dio in questo universo che, in alcuni momenti, rischia di apparire assurdo nelle sue contraddizioni, insopportabile nel suo caos, insostenibile nelle sue grida. Decifrare nella fede il mistero del Giusto che soffre e la speranza di gloria che porta con sé: ciò possono e devono fare soltanto coloro che condividono la condizione del Cristo Messia crocifisso. Ecco la nostra missione.Sì, noi osiamo dire che il Cristo è la via, la verità, e la vita, che nulla va al Padre se non passa attraverso di lui. Dicendo questo, non escludiamo nessun uomo e non rivendichiamo nessun privilegio. Se non quello di impegnarci all'amore e al perdono con colui che ci ama e che ci ha perdonati. Se non quello di essere la Chiesa che Dio ha scelto per manifestare agli uomini, qui e ora, la speranza eterna. Card. JEAN-MARIE LUSTIGER

sabato 17 maggio 2014

si è svelato progressivamente, rispettando i tempi di comprensione dell'uomo, attento alla fatica di vivere dell'uomo


Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
Medita
(don Paolo Curtaz )
 Il Dio che Gesù racconta, è il Dio d'Israele,
che si è svelato progressivamente,
rispettando i tempi di comprensione dell'uomo,
attento alla fatica di vivere dell'uomo.
È il Dio geloso (Es 20,5),
che ama sul serio,
non di un amore asettico,
ma di un amore talmente viscerale da esigere attenzione,
e spesse volte la Bibbia usa immagini umane
per descrivere la gelosia e la passione di Dio
che sente contorcersi le interiora per i suoi figli (Ger 31,20).
Un Dio che svela agli uomini la strada per essere felici,
le famose dieci parole
(noi abbiamo tradotto discutibilmente "dieci comandamenti"
suscitando quel moto spontaneo di affetto
che abbiamo mediamente verso leggi e regolamenti...)
che indicano all'uomo il percorso verso la felicità.
Un Dio che conosce la sofferenza del popolo (Nm 20,16) e
che vuole liberarlo attraverso l'opera di altri uomini,
che sa pazientare (Sap 15,1)
e scuotere, intervenire e sostenere, amare e forzare.
Un Dio che sa perdonare e dimenticare,
che è ostinato nel suo amore,
che perseguita Israele con i suoi benefici (Sal 103,2),
 un Dio bellissimo, che non si riesce a vedere se non di spalle (Es 33,23),
e la cui visione provoca la morte, talmente è glorioso.

venerdì 16 maggio 2014

non erano bastati perché l'uomo, finalmente, si allontanasse da tutte le rappresentazioni superstiziose di Dio


Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
Medita
(don Paolo Curtaz )
E questo perché quasi duemila anni di alleanza con un popolo, Israele,
non erano bastati
perché l'uomo, finalmente, si allontanasse da tutte le rappresentazioni
superstiziose di Dio
e potesse, senza più errori, conoscere nel profondo,
in intimità, il volto del Padre.
Io non credo in Dio, credo nel Dio di Gesù Cristo.
Tutti ci facciamo una certa idea di Dio:
per credergli o per rifiutarlo
e - mediamente - sento dire di Dio delle cose veramente orribili.
Mi spiace veramente
che così tanta gente abbia una così brutta immagine di Dio
e sono convinto (e questi anni di ministero me lo confermano)
che molte persone che si credono cristiani,
in realtà non si sono neanche mai posti il problema dell'identità di Dio.
Tutta la nostra vita è una conversione dal Dio
che c'è nella nostra testa al Dio di Gesù Cristo!

giovedì 15 maggio 2014

più di un Maestro, più di un Profeta,

Il Vangelo di Domenica prossima è forse il prolungamento di Emmaus...
Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; 
Medita
(don Paolo Curtaz )
Gesù, che celebriamo Risorto e Signore,
Gesù che scopriamo essere
più di un Maestro,
più di un Profeta,
ci svela il volto di Dio.
Gesù ne parla con autorevolezza perché lui,
in quel volto ci si specchia.
La prima comunità matura questa verità sconcertante:
Gesù è la presenza stessa di Dio,
il figlio di Dio venuto per raccontare agli uomini
chi è veramente Dio Padre.

mercoledì 14 maggio 2014

Il Signore Gesù, incontrato nella Chiesa, ci conosce per nome, ci ama fino alla morte di croce, ci conduce alla vita di grazia e di gloria.


Il Signore è il mio Pastore: non manco di nulla
Gv 10,1-10
Per la lettura spirituale
Siamo tutti un poco malati di autonomia.
Vorremmo essere noi a trovare Dio, a mettergli addosso le mani e a incapsularlo nelle nostre categorie.
Siamo tutti un poco malati di razionalismo.
Vorremmo conoscere Dio con le sole nostre forze e magari ridurlo a un'idea astratta e vuota.
Siamo tutti un poco malati di immediatismo.
Ci indispettiscono i segni nei quali Dio ci si rivela e
gli strumenti attraverso i quali ci si consegna.
La Chiesa, soprattutto, ci appare un ostacolo, un ingombro, una cappa di piombo che turba il nostro rapporto religioso e soffoca la nostra libertà.
E, invece, la Chiesa è la realtà più bella che Dio ci ha regalato.
In essa vive Cristo che è la "porta" per la quale Dio si fa presente a noi.
In essa vive Cristo che è il "Buon Pastore".
Il Signore Gesù, incontrato nella Chiesa,
ci conosce per nome,
ci ama fino alla morte di croce,
ci conduce alla vita di grazia e di gloria.
Dobbiamo rispondergli con la contemplazione e con la pratica dei suoi comandamenti.
Dobbiamo fare di noi la sua famiglia, il suo "ovile": diventare "una cosa sola" in lui.
Così la gioia sarà piena e la testimonianza metterà in tentazione di credere.
Mons. ALESSANDRO MAGGIOLINI

martedì 13 maggio 2014

ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso.


Il Signore è il mio Pastore: non manco di nulla
Gv 10,1-10

UNA DEGNA DIMORA
Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera.
Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia.
Orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro
e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa,
in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso.
Così prepari per il Signore una degna dimora,
così lo accogli in splendida reggia.
Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.
(San Giovanni Crisostomo)

lunedì 12 maggio 2014

rendici capaci di riconoscere la tua voce, di sentire il calore della tua presenza che ci avvolge, anche quando la strada è angusta, impraticabile, e la notte profonda, interminabile.


Il Signore è il mio Pastore: non manco di nulla
Gv 10,1-10
Medita
(don Paolo Curtaz)

Ma ai discepoli,
a coloro che sulla loro strada hanno incontrato il Risorto,
a coloro che hanno superato la tristezza
(ricordate? La gioia cristiana è una tristezza superata!),
il Signore chiede di non seguire i falsi profeti,
di saper distinguere le voci suadenti di chi la felicità la vende,
di chi ti chiede adesione ad un sogno improbabile
da chi la vita vera - in abbondanza - te la dona.
Scherzo con i miei giovani (e ve l'ho già scritto):
viviamo in un mondo in cui per essere felici basta poco,
e sembra che tutti ne conoscano la via:
bellezza, fisicità, intelligenza, salute, lavoro, soldi tanti soldi.
Pensate che c'è gente che addirittura ci crede!
Gente che passa la vita a dire che la ragione della propria infelicità è di non essere sufficientemente magro o alto o modesto nei guadagni.
Sicuri?
Gesù pretende di proporre una vita vera, di essere la porta attraverso cui passare per raggiungere la felicità vera.
Vi annuncio solennemente: io ho scelto.
Voglio che sia solo il Maestro, che mi conosce per nome e di cui ormai riconosco la voce, a guidarmi nelle strade della vita.
Oggi, poi, celebriamo la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.
Vocazione:
rispondere ad una chiamata,
capire quale progetto di vita il Signore ha su di me,
 quale tassello nel mosaico della creazione io rappresento.
Una delle cose più belle del diventare cristiani è proprio la percezione di essere parte essenziale di un grande sogno d'amore, e di poter contribuire a realizzarlo!
Avete mai pensato la ragione per cui esistete?
Quale missione dovete compiere negli anni della vostra vita?
Oggi la grande assemblea dei cristiani sparsi nel mondo prega perché ognuno scopra il suo sogno d'amore.
Altro è volersi bene e costruire una famiglia,
altro percepire questo gesto come chiamata e vocazione:
abbiamo urgente bisogno di fratelli e sorelle che nella semplicità, sostenuti dal Maestro e dalla comunità, si amino come Cristo ama la Chiesa.
Buona cosa è aiutare gli altri,
diverso è lasciare tutto e partire a condividere con i più poveri,
in nome di Cristo, speranze e sogni.
Infine abbiamo bisogno di pastori secondo il cuore di Dio:
uomini che dedichino la loro vita a servizio dell'annuncio e della costruzione di comunità,
come gli apostoli.
Mancano preti?
No: manca la fede, manca il coraggio di capire a cosa "serve" un prete oggi,
mancano comunità vive e dinamiche che spingano un giovane a dedicare le proprie forze e
le proprie povertà a quel pezzo di regno in mezzo alla gente che è la parrocchia.
Qualcuno è in ascolto? Da parte mia, se continua così finirà che mi farò prete!
Prega
Gesù, pastore e pascolo dei tuoi fedeli, guida sicura e sentiero di vita, tu che conosci tutti per nome e ci chiami ogni giorno a uno a uno, rendici capaci di riconoscere la tua voce, di sentire il calore della tua presenza che ci avvolge, anche quando la strada è angusta, impraticabile, e la notte profonda, interminabile.
Seguendoti senza resistenze e senza paure,
giungeremo ai prati verdeggianti,
alle fresche sorgenti della tua dimora, dove tu ci farai bere e riposare.

domenica 11 maggio 2014

chi o che cosa è pastore della mia vita? Chi la conduce e dove mi conduce? Non scherziamo su questo - please - si tratta della nostra felicità!

Il Signore è il mio Pastore: non manco di nulla
Gv 10,1-10

Medita
(don Paolo Curtaz)
Pasqua:
cinquanta giorni per accorgerci della resurrezione del Maestro.
Tranquilli:
anche per gli apostoli è stata dura;
siamo così abituati a fermarci al venerdì santo (ricordate i discepoli di Emmaus?)
da avere bisogno di tempo per accorgerci che il Signore è vivo.
Anche noi rischiamo di andare al sepolcro per imbalsamare Dio,
e abbiamo bisogno di molta fede per riconoscerlo nello spezzare il pane.
Alla luce della Pasqua gli apostoli rileggono le parole del Maestro,
che ora hanno un significato inatteso e luminoso:
il Signore si presenta come un buon Pastore,
che conosce e ama le sue pecore,
le chiama ad una ad una e
le pecore lo riconoscono e lo seguono.
Non un pastore qualunque, né un imprenditore agricolo che tiene gli animali chiusi in stalla in allevamento intensivo o cose del genere, no:
un pastore buono, cioè efficace.
Gesù insiste: egli vuole dare la vita in abbondanza.
Gli altri pastori, in realtà, non vengono riconosciuti, le pecore diffidano della loro voce.
I discepoli, sul momento, non capiscono:
Gesù dice di essere una porta d'ingresso, attraverso di lui si arriva alla felicità.
Che bello, amici!
Prendiamo sul serio questa Parola.
Cominciamo dalle note dolenti:
chi o che cosa è pastore della mia vita?
Chi la conduce e dove mi conduce?
Non scherziamo su questo - please - si tratta della nostra felicità!
Subito, credo, viene da rispondere:
"io non ho pastori, me la cavo da solo, sono libero e adulto..."
Andiamo!
Pastore può essere
la mia carriera professionale,
il giudizio degli altri,
i miei appetiti,
i miei sentimenti...
se guardiamo bene scopriamo che
dietro ogni nostra azione esiste qualcosa o qualcuno che ci ispira.
Spesso, troppo spesso, siamo condotti dai bisogni suscitati dal mercato:
cerco di apparire più piacevole,
di essere più alla moda,
di farmi accettare.
E' normale, in parte giusto.

sabato 10 maggio 2014

Se abbiamo la stessa disposizione del cuore e dell'intelligenza che avevano i primi discepoli, questa testimonianza può illuminare la nostra vita e suscitare in noi una fede indefettibile. Ciò che ci è chiesto è un minimo di onestà intellettuale davanti alla parola di Dio e un minimo di attrattiva per la persona di Gesù.


Emmaus

E nel corso dell'ultima Cena, Gesù dà il criterio definitivo di scelta dei testimoni. Giuda gli chiede: "Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?". Gesù risponde: "Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". Poiché Cleopa e il suo compagno ascoltavano Mosè e i profeti, poiché amavano Gesù, egli ha deciso di manifestarsi a loro malgrado la loro mancanza di fede, precisamente per aumentare la loro fede e per far loro percepire il grande mistero: "Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?".
E come avrebbe potuto il cuore dei discepoli non ardere a mano a mano che cadeva il velo che ricopriva le Scritture per le quali essi avevano una tale venerazione? Come chi ascolta una sinfonia ascolta con delizia innumerevoli variazioni su uno stesso tema, ecco che i nostri pellegrini scoprono che la Bibbia non dice che una sola cosa attraverso la molteplicità dei testi e degli autori; essa dice che "era necessario che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria". Poi, quando la commemorazione della passione è celebrata per mezzo dello spezzare il pane, la fede dei discepoli si consolida e Gesù sparisce. Dopo la più meravigliosa lezione di catechismo che nessun uomo abbia mai ricevuto, i nostri due pellegrini sono divenuti in grado di testimoniare e di fondare la Chiesa senza altro mezzo che la profonda certezza ricevuta dalla pura grazia sul cammino di Emmaus.
Ma cosa c'è per noi? Noi non abbiamo il beneficio dell'apparizione di Cristo risorto, ma quello della testimonianza dei primi discepoli, testimonianza che dura nella Chiesa da duemila anni.
Se abbiamo la stessa disposizione del cuore e dell'intelligenza che avevano i primi discepoli, questa testimonianza può illuminare la nostra vita e suscitare in noi una fede indefettibile. Ciò che ci è chiesto è un minimo di onestà intellettuale davanti alla parola di Dio e un minimo di attrattiva per la persona di Gesù.
La testimonianza della Chiesa ci permetterà allora di percepire il mistero insondabile dell'amore che Dio ci porta nella persona di suo Figlio crocifisso. E noi daremo la nostra adesione di fede nella misura in cui capiremo perché "era necessario che Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria".
Il testo di san Luca ci invita a progredire nella fede, cioè ad accontentarci della Scrittura, dell'Eucaristia, della Chiesa, per incontrare Gesù Cristo. Non abbiamo bisogno d'altro. E se sappiamo ricordarcene nelle ore buie della nostra vita, non dubitiamone, il nostro cuore si aprirà all'azione dello Spirito Santo e sarà subito "ardente".
Poiché la fede è sufficiente a farci sperimentare la gioia pasquale. E questa gioia "nessuno potrà togliercela".
Mons. CHARLES

I discepoli di Emmaus sono amareggiati come Tommaso, anche loro chiusi nel dolore, storditi: non si accorgono neppure che Gesù li accompagna nel loro cammino. Ne conosco molti di cristiani così: fermi al venerdì santo, devoti alla croce, ma incapaci di accogliere la gioia debordante della Pasqua...Guardiamo al Risorto, fratelli, vedrete che le cose cambieranno. Scommettiamo?


 Medita
(don Paolo Curtaz )
Di quanto tempo abbiamo bisogno per credere alla Pasqua?
Quante volte l'abbiamo ascoltato quel messaggio sconcertante eppure straordinario?
Come gli amici di Emmaus,
anche noi camminiamo tristi nella vita, non sapendo bene cosa pensare;
anche noi - come Tommaso - stentiamo ad uscire dalle nostre delusioni.
Eppure due caratteristiche accomunano i tre personaggi in questione:
lo scoraggiamento,
la delusione cocente nella propria vita e
la mancanza di fiducia nella comunità;
domenica scorsa Tommaso non credeva all'annuncio dei suoi amici,
qui Cleopa e l'amico non credono alla testimonianza di "alcune donne, delle nostre".
I discepoli di Emmaus sono amareggiati come Tommaso,
anche loro chiusi nel dolore, storditi:
non si accorgono neppure che Gesù li accompagna nel loro cammino.
Ne conosco molti di cristiani così:
fermi al venerdì santo, devoti alla croce,
ma incapaci di accogliere la gioia debordante della Pasqua.
Intendiamoci:
è straordinaria
la nostra devozione verso il dolore condiviso da Dio nel crocifisso,
è emozionante
fissare lo sguardo sull'uomo che pende dalla croce.
Ma se lì si ferma la nostra fede, siamo degli illusi,
se Gesù non è risorto, non è che uno dei tanti personaggi della storia
che non è riuscito a cambiare un bel niente.
E' molto più difficile condividere la sofferenza che la gioia, e Gesù lo sa.
Cleopa e il compagno sono quasi scocciati dallo sconosciuto ospite:
non si vede a sufficienza la loro sofferenza?
Da dove viene questo straniero?
Gesù li ascolta parlare della propria crocifissione;
lui è già oltre, altrove.
Amico che soffri,
non vedi che il Signore ti cammina accanto?
Non riesci ad alzare lo sguardo e riconoscerlo?
Non c'è che un modo per uscire dal dolore:
non amarlo.
E Gesù lo sa:
li scuote, questi discepoli assonnati e stanchi,
li schiaffeggia con la Parola,
li rimprovera:
dov'è la loro fede?
Non bisognava che accadesse tutto questo?
Non hanno mai letto le Scritture?
No, sono troppo di malumore per ricordarsi delle parole del Rabbì e dei profeti...
La locanda, l'invito a restare:
quello straniero ha detto cose sacrosante,
il cuore si è scaldato,
hanno visto uno spiraglio
e lo invitano a cena.
E l'ospite si ferma
e compie un gesto semplice, banale, visto fare mille volte dal Signore Gesù:
spezza il pane e scompare.
E i due capiscono, vedono ciò che l'attaccamento al loro dolore aveva loro impedito di vedere: Gesù è davvero risorto!
Corrono, questa volta,
tornano indietro, dagli apostoli,
raccontano,
gioiscono,
si capacitano di ciò che davvero è successo.

Anche noi abbiamo davanti tutta la vita per accorgerci che il Maestro è vivo;
anche noi siamo chiamati ad ascoltare la Parola che scalda il cuore e a riconoscerlo nello spezzare il pane, a riconoscerlo pellegrino con noi sulle strade della vita.
Tutte le splendide apparizioni del Risorto seguono lo stesso schema:
c'è una situazione di scoraggiamento, di stallo, lui non viene riconosciuto,
poi accade qualcosa, un gesto,
e Gesù viene riconosciuto:
la voce per Maria,
le bende per Giovanni,
le piaghe per Tommaso,
il pane qui a Emmaus,
la pesca a Tiberiade...
è come se Gesù risorto non fosse evidente,
come se la sua presenza fosse velata,
nascosta da qualcosa.
Sappiamo riconoscere oggi il Maestro risorto nei segni?
Lo sappiamo vedere e incontrare nei mille modi con cui resta in mezzo a noi?
Nel grande segno dell'Eucarestia?
Leggete bene:
sembra una vera e propria liturgia quest'apparizione:
il cammino, l'ascolto delle letture, il pane spezzato, l'annuncio.
Quel gesto che - da allora - le prime comunità fedelmente celebreranno
e che anche noi oggi siamo invitati a celebrare ogni domenica
per riconoscere nel pane spezzato la presenza del Maestro.
Un ultimo appunto:
lasciamo perdere la sofferenza, ve ne prego.
Trasmettiamo davvero l'idea di un cristianesimo dolorante,
di una religione per casi disperati, di un Dio infermiere della Storia!
So che ci sono persone che passano la vita appesi ad una croce, e li amo e li rispetto come icone del Crocifisso.
Ma - molto più spesso - le nostre sofferenze sono
come quelle dei nostri amici di Emmaus,
incapaci di alzare lo sguardo dalla propria delusione.
Guardiamo al Risorto, fratelli, vedrete che le cose cambieranno.
Scommettiamo?

venerdì 9 maggio 2014

Su questo piccolo gruppo, la Chiesa si è edificata e nessuno può entrare nella Chiesa se prima non riconosce la testimonianza di questo piccolo gruppo


Emmaus

Prima di rileggere la nostra vita alla luce del Vangelo, impariamo ad ascoltare questa testimonianza vecchia di duemila anni. Poiché non vi è più alta manifestazione dell'infinità divina che il Cristo morto e risuscitato. E questa apparizione sul cammino da Gerusalemme ad Emmaus assume tutta la sua importanza dal fatto che essa è un avvenimento che si è prodotto una sola volta.
Ora, ecco che Gesù prende la parola e dice: "Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti". L'apparizione è infatti una manifestazione in più della condiscendenza del Cristo che viene in aiuto alla mancanza di fede dei suoi discepoli. c. Uno solo aveva percepito il disegno divino: Giovanni Evangelista, davanti al sepolcro, mentre Simon Pietro restava inebetito, vede e crede. Il discepolo che Gesù amava, che aveva seguito Gesù fin sul Calvario, che all'ultima Cena era stato così vicino al cuore del suo amico, non aveva bisogno di apparizioni per credere: gli bastava il sepolcro vuoto. Un indizio minimo perfeziona la sua fede e gli fa percepire, in piena luce, l'immagine totale della rivelazione. A dire il vero egli non fu il solo a poter fare a meno delle apparizioni. Il silenzio dei Vangeli su Maria, madre di Gesù, è eloquente. Ella, senza neppure recarsi al sepolcro, conosceva così bene suo figlio da non vacillare nella fede nonostante la croce. Maria sapeva già nel fondo del suo cuore che Gesù, il Figlio di Dio, era già seduto alla destra del Padre.
Tuttavia, Gesù non è morto per Giovanni e Maria solamente, ma per tutti gli uomini e soprattutto per i suoi amici Pietro, Cleopa, Tommaso e tutti gli altri che, nonostante tutto il loro amore, non capivano nulla. Le colonne della Chiesa, coloro alla cui testimonianza noi ci affidiamo, gli apostoli, sono stati come noi gente di poca fede. Che cosa si aspetta Cristo da coloro ai quali appare? Luca ce lo spiega: nessuno può dare la sua fede a Cristo se non ha un minimo di fede nell'insegnamento di Mosè e dei profeti. Gi ipocriti, i cuori tortuosi, che conoscono le Scritture, ma che hanno sostituito i propri significati alla parola di Dio, di che cosa possono essere capaci, se non di sopprimere coloro che li hanno generati inchiodandoli su una croce? Abramo aveva avvertito il cattivo ricco: "Se essi non ascoltano né Mosè né profeti, anche se qualcuno risuscitasse dai morti, non si lascerebbero convincere".

Mons. CHARLES

giovedì 8 maggio 2014

Su questo piccolo gruppo, la Chiesa si è edificata e nessuno può entrare nella Chiesa se prima non riconosce la testimonianza di questo piccolo gruppo


Emmaus

Ma qui sorge un dubbio: 
Che cos'ha l'esperienza spirituale qui descritta di specificatamente cristiano? 
Tutti gli uomini devono superare l'angoscia, la tristezza, la disfatta. 
Fanno senza saperlo un'esperienza del Cristo risorto? 
O forse illudiamo noi stessi attribuendo questa esperienza a Dio?
Vi è un'altra ipotesi: 
il nostro modo di affrontare il brano dei pellegrini di Emmaus non è forse quello buono. Il brano non è solo l'espressione dell'immagine della spiritualità cristiana; 
esso è dato come racconto di un avvenimento, e di un avvenimento fondamentale che non può ripetersi. 
L'evangelista precisa il luogo, la data e il nome di uno dei due pellegrini. Nulla ci permette di fare astrazioni da questi indizi. 
Ma il nostro più grande errore di lettura è stato quello di considerare il punto di vista del pellegrino, mentre il racconto è interamente costruito intorno all'intervento di Gesù. I pellegrini non sono che il punto di passaggio privilegiato, il cui ruolo è unico e insostituibile; e noi non abbiamo il diritto, neanche nello spirito, di sostituirci alla prima generazione di cristiani. 
Un piccolo gruppo d'uomini ha conosciuto Gesù prima della sua morte e dopo la sua risurrezione. 
Su questo piccolo gruppo, la Chiesa si è edificata e nessuno può entrare nella Chiesa se prima non riconosce la testimonianza di questo piccolo gruppo guidato dagli apostoli, di cui fanno parte Cleopa e il suo compagno.

Mons. CHARLES

mercoledì 7 maggio 2014

ci siamo identificati nei pellegrini di Emmaus!


Emmaus

Quante volte ci siamo identificati nei pellegrini di Emmaus! 
Spesso l'angoscia ci assale; 
Dio è lontano, 
la Chiesa ci pesa, 
le nostre imprese falliscono. 
Abbiamo voglia di sbattere la porta e di prendere un po' di respiro lontano dalla religione. 
Certe volte l'angoscia è così profonda che niente può distrarcene. 
È allora che accade un avvenimento nella nostra vita, 
un incontro, una parola, una lettura, 
e che a poco a poco le nubi si dissipano, 
la gioia ritorna e l'ottimismo trabocca dai nostri cuori. 
Ciascuno di noi conserva nella memoria qualcuno di questi momenti privilegiati, 
nei quali il Signore è passato furtivamente nella nostra vita.
E nel momento in cui ne abbiamo preso coscienza, egli è già svanito. Soli o in gruppo, i cristiani hanno imparato a vivere il mistero pasquale come una disperazione superata, come il trionfo della generosità sull'egoismo, della gioia sulla tristezza.

Mons. CHARLES

martedì 6 maggio 2014

Pochi brani del Vangelo corrispondono così bene alla sensibilità dei cristiani del nostro tempo come il racconto dei pellegrini di Emmaus.

Emmaus
Pochi brani del Vangelo corrispondono così bene alla sensibilità dei cristiani del nostro tempo come il racconto dei pellegrini di Emmaus. 
Camminavano, tutti e due col viso abbattuto, la sera della festa di Pasqua. 
Evocavano la figura di Gesù, il crocifisso dell'antivigilia, nel quale essi avevano riposto tutte le loro speranze. 
"Speravamo che fosse lui a liberare Israele". 
Quand'ecco che uno sconosciuto si incammina con loro, li ascolta e si informa di ciò che li preoccupa. 
E mentre egli interpreta loro le Scritture, 
la luce irrompe dal fondo della loro tristezza. 
La disperazione si dissipa, 
il coraggio ritorna. 
E, senza rendersene conto, 
trovano presso questo sconosciuto un conforto stupefacente. 
"Resta con noi, perché si fa sera". 
Poi, nel momento in cui riconoscono Gesù nel gesto dello spezzare il pane, quello scompare davanti ai loro occhi...
Mons. CHARLES

lunedì 5 maggio 2014

Il cuore riscaldato e riaperto dal segno della Parola spiegata implora il viatico di un segno più intimo, quello del pane spezzato.

L'inizio del cammino è un allontanarsi dal Crocifisso.
La crisi della croce sembra aver seppellito ogni speranza.
Colui che l'ha fatta nascere, l'ha portata con sé nella tomba.
Non bastano voci di donne per farla rinascere.
Gesù raggiunge i due subito a questo inizio
e chiede di spartire con loro domande e scandalo.
Ecco la prima tappa, quella del problema posto ad ogni persona dall'evento Gesù, il Crocifisso.
L'appello di Cristo ci raggiunge sulla strada della nostra fede incompiuta e della sua domanda.
Gesù non arriva di faccia, ma da dietro, come dice il testo greco, e cammina a fianco, da forestiero.
Il passaggio al riconoscimento ha bisogno della spiegazione delle Scritture.
Solo il Risorto ne è l'interprete adeguato.
Il cuore riscaldato e riaperto dal segno della Parola spiegata implora il viatico di un segno più intimo, quello del pane spezzato.
Gesù, però, sparisce.
La Chiesa non può trattenere Gesù nella visibilità storica di prima.
Deve sapere e credere che egli è vivo con lei e la vivifica nell'Eucaristia.
I discepoli capiscono e tornano a Gerusalemme per condividere con gli apostoli la testimonianza.
Emmaus è un capolavoro di dialogo confortante.
Emmaus assicura tutti che, quando ascoltano la Scrittura nella liturgia della Parola e partecipano allo spezzare del pane nella liturgia eucaristica, sono realmente incontrati da Cristo e ritrovano fede e speranza.
Francesca Favero e Roberto Zago.
liturgiadellaparola@libero.it

domenica 4 maggio 2014

Con Dio succede questa cosa controcorrente: non accetta che ci arrendiamo, Dio non permette che abbandoniamo il campo.


Gesù non chiede,offre tutto di sé 
Ermes Ronchi

Ed ecco, in quello stesso giorno (il primo della settimana) due dei (discepoli) erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. (...)

La strada da Gerusalemme a Emmaus è metafora delle nostre vite, racconta sogni in cui avevamo tanto investito e che hanno fatto naufragio, bandiere ammainate alle prime delusioni. I due discepoli abbandonano la città di Dio per il loro villaggio, escono dalla grande storia e rientrano nella normalità del quotidiano. Tutto finito, si chiude, si torna a casa. Ed ecco Gesù si avvicinò e camminava con loro. Se ne stanno andando e lui li raggiunge. 
Con Dio succede questa cosa controcorrente: non accetta che ci arrendiamo, Dio non permette che abbandoniamo il campo. 
Con Dio c'è sempre un dopo. 
Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele, invece... nella loro idea il Messia non poteva morire sconfitto, il Messia doveva trionfare sui nemici. Non hanno capito e lui riprende a spiegare. E interpretando le scritture, mostrava che il Cristo doveva patire. Fa comprendere quella che è da sempre l'essenza del cristianesimo: la Croce non è un incidente, ma la pienezza dell'amore. I due camminatori ascoltano e scoprono una verità immensa: c'è la mano di Dio posata là dove sembra impossibile, proprio là dove sembrava assurdo, sulla croce. Così nascosta da sembrare assente, sta tessendo il filo d'oro della tela del mondo. Forse, più la mano di Dio è nascosta più è potente. E il primo miracolo si compie già lungo la strada: non ci bruciava forse il cuore mentre ci spiegava le Scritture? Trasmettere la fede non è consegnare delle nozioni di catechismo, ma accendere cuori, contagiare di calore e di passione chi ascolta. E dal cuore acceso dei due pellegrini escono parole che sono rimaste tra le più belle che sappiamo: resta con noi, Signore, rimani con noi, perché si fa sera. Resta con noi quando la sera scende nel cuore, resta con noi alla fine della giornata, alla fine della vita. Resta con noi, e con quanti amiamo, nel tempo e nell'eternità. No, lui non se n'è mai andato. Lo riconobbero per il suo gesto inconfondibile: spezzare il pane e darlo. Lui che non ha mai spezzato nessuno, spezza se stesso. Lui che non chiede nulla, offre tutto di sé. E proprio in quel momento scompare. Il Vangelo dice letteralmente: divenne invisibile. Non se n'è andato altrove, è diventato invisibile, ma è lì con loro. Scomparso alla vista, ma non assente. Anzi: «assenza più ardente presenza» (A. Bertolucci), in cammino con tutti quelli che sono in cammino, Parola che spiega e interpreta la vita, Pane per la fame di vita. Forse la più bella preghiera da elevare a Dio è quella di Rumi: «ecco io carezzo la vita perché profuma di Te!». Lungo la strada, una carezza per chi prova dolore, un boccone di pane per chi sta per venir meno, e sentiremo profumo di Te.

sabato 3 maggio 2014

Ogni rito religioso richiama figure di testimoni e invita a una verifica vitale.


Fondamento dell'esistenza
Carlo Molari

Che la vita umana sia fondata, abbia cioè una ragione, non lo si può dimostrare argomentando ma lo si può scoprire nella profondità della propria esperienza intrapresa per l'influenza di una tradizione storica e lo si può mostrare agli altri nelle scoperte vitali compiute.
Non ci sono alternative praticabili.
Il valore di una religione sta appunto nella ricchezza della tradizione che può richiamare, nella validità delle esperienze che può offrire. Ogni rito religioso richiama figure di testimoni e invita a una verifica vitale.
Ma ogni situazione quotidiana può consentire questa scoperta: è sufficiente avere riferimenti ideali chiari per viverla intensamente cogliendo a piene mani ciò che essa offre.
È possibile anche oggi amici fare un'esperienza religiosa, scoprire cioè che la vita ha un solido fondamento. Che non siamo sospesi nel vuoto, ma siamo avvolti d'amore.

venerdì 2 maggio 2014

Viene dalla storia perché nessun uomo basta a se stesso


Fondamento dell'esistenza
Carlo Molari

La risposta a queste domande nasce dal profondo della storia umana e può scaturire dall'esperienza di ogni persona.
Nasce dall'esperienza perché non bastano le parole a farla scoprire. Viene dalla storia perché nessun uomo basta a se stesso: egli deve avere riferimenti sicuri già consolidati dalla verifica di generazioni.
Solo quando, attraverso gesti di un amore non interessato, si aprono orizzonti nuovi all'esistenza, si capisce senza ombra di dubbio che il Bene fonda la nostra vita. Solo quando fidandoci della Giustizia compiamo le nostre scelte con rigorosa onestà siamo in grado di cogliere il senso del nostro cammino. Solo quando abbandonandoci alla verità, superiamo compromessi ed evitiamo inganni, sperimentiamo con evidenza che la nostra ricerca ha una ragione reale.

giovedì 1 maggio 2014

L'uomo risponde a una chiamata o affannosamente arranca per un cammino che non ha traccia e non avrà mai traguardo?


Fondamento dell'esistenza
Carlo Molari

Nei giorni scorsi ho esaminato alcuni elementi dell'esperienza religiosa, come accoglienza gioiosa della condizione dell'uomo: dipendente in tutto, chiamato alla morte come al suo compimento, mai soddisfatto di ciò che la vita gli offre. Terminavo con un interrogativo che ci porta al cuore del mistero dell'uomo: qual è la ragione della sua continua tensione? È una malattia mortale da eliminare al più presto o è la faticosa risposta a una chiamata sensata? È una forma di pazzia inguaribile o la conseguenza di una grandezza non ancora raggiunta? L'uomo risponde a una chiamata o affannosamente arranca per un cammino che non ha traccia e non avrà mai traguardo? In una parola, l'esistenza dell'uomo ha un fondamento o è sospesa nel vuoto?

mercoledì 30 aprile 2014

iniziamo a parlare, tentiamo poi di leggere i segni grafici in cui si cristallizza la parola e, alla fine, li produciamo


LEGGERE, PARLARE, SCRIVERE
Il leggere fa l'uomo completo,
il parlare lo rende pronto,
lo scrivere lo rende preciso.
Questa trilogia, che dobbiamo ai Saggi
del celebre filosofo inglese cinquecentesco Francesco Bacone,
intreccia in sé i fili fondamentali della cultura,
alla quale però lo stesso pensatore associava anche l'esperienza.
Certo è che una delle avventure più alte in assoluto dell'umanità è quella della parola,
tant'è vero che essa diventa il segno supremo per definire 
Dio, il suo mistero e il suo rivelarsi:
«In principio era la Parola», proclama la prima riga del Vangelo di Giovanni.
E attorno alla parola si sviluppano appunto quei tre atti
che nell'ordine della nostra vicenda umana sono di solito così scanditi:
iniziamo a parlare, tentiamo poi di leggere i segni grafici in cui si cristallizza la parola
e, alla fine, li produciamo.
A questi tre momenti Bacone assegna una particolare qualità.
Col parlare diretto e immediato abbiamo la possibilità del dialogo e del confronto vivo;
col leggere cresce in noi il sapere;
con lo sforzo di calare l'incandescenza dei pensieri e dei sentimenti nello scritto si acquisisce il rigore, la precisione, l'accuratezza.
È purtroppo vero, però, che
questi tre atti non di rado sono devastati dal nostro comportamento:
il parlare diventa chiacchiera,
la lettura mera evasione
e lo scrivere una banalità (pensiamo solo alla valanga dei "messaggini").
Ritorniamo, allora, al gusto di compiere queste azioni umane fondamentali, soprattutto quel leggere che in Italia è ancora così raro.
Carlo Bo, grande critico letterario, osservava che
«il leggere dovrebbe essere una guida e non un rifugio per far passare il tempo».
Ma per fare questo è importante avere
un libro sapiente in mano e un po' di silenzio attorno.
 Gianfranco Ravasi