sabato 18 maggio 2013

Il motivo per cui soffrite a causa della vostra depressione e delle vostre ansie è che vi identificate con esse.


Anthony De Mello (1931-1987) leggi biografia
da "Messaggio per un'aquila che si crede un pollo" PIEMME Editore
pag 9...
Autosservazione: L’unico modo attraverso il quale qualcuno può esservi d’aiuto è mettendo in discussione le vostre idee. Se siete pronti ad ascoltare e se siete pronti ad essere messi in discussione , qualcosa potete fare, ma nessuno può aiutarvi.
Qual è la cosa più importante in assoluto?
Si chiama autosservazione.
Nessuno può darvi una mano, in questo. Nessuno può fornirvi un metodo. Nessuno può mostrarvi una tecnica. Nel momento in cui si apprende una tecnica , si diventa nuovamente programmati. 
Ma l’autosservazione – cioè il guardare se stessi – è importante.
Non significa essere assorti nei propri problemi, essere preoccupati di sé.
Non è di questo che sto parlando: parlo dell’autosservazione.
E cosa sarebbe?
Significa osservare tutto ciò che è all’interno di noi stessi e intorno a noi, fino al punto estremo, e osservarlo come se stesse accadendo ad un altro.
Cosa significa quest’ultima frase?
Significa che non si personalizza quel che ci accade.

Significa guardare alle cose come se non si avesse alcun legame con esse.
Il motivo per cui soffrite a causa della vostra depressione e delle vostre ansie è che vi identificate con esse. Dite: «Sono depresso».
Ma ciò è falso.
Voi non siete depressi.
Se voleste essere precisi, potreste dire: «In questo momento sto attraversando una fase di depressione». Non è invece corretto dire: «Sono depresso».
Voi non siete la vostra depressione.
Non si tratta che di una sorta di inganno della mente, uno strano tipo di illusione.
Siete stati indotti a pensare – pur non essendone consci – che siete voi la vostra depressione, che siete voi le vostre ansie, che siete voi la vostra gioia e le emozioni che provate. «Sono contento!».

(Anthony de Mello)

giovedì 16 maggio 2013

I segni della vittoria sui demoni


I segni della vittoria sui demoni

I segni della vittoria sui demoni vengono descritti in modo diverso dagli autori monastici.
Per Cassiano è la purezza di cuore,
per Benedetto è l’umiltà,
per Atanasio la serenità e l’equilibrio,
per Evagrio l’impassibilità.
Jung direbbe che “l’uomo ha ritrovato il proprio Sé, è diventato consapevole del nocciolo della propria persona, ha in sé un immagine del proprio Sé”.
Essere liberi da immagini che provengono dall’esterno, dai condizionamenti, dalle suggestioni, dalle fantasie è un segno di una sufficiente integrazione con l’inconscio.
Evagrio dice:
“Come lo specchio non è macchiato dalle immagini che riflette,
così l’anima che ha raggiunto l’impassibilità non viene macchiata dalle cose di questo mondo”.

Chi ha affrontato il proprio passato, il proprio dolore e così la storia della pripria vita,
in modo che le sue ferite non provocano più turbamento, amarezza e risentimento,
può raggiungere finalmente il centro del proprio essere e li trovare Dio,
pregarlo senza distrazioni.
Infatti, siccome il nostro passato è stato “risolto”,
i demoni non possono più usarlo per turbarci e spaventarci.
In questo modo possiamo vivere finalmente nel presente e stare finalmente con Lui,
dimorare nella sua tenda per lunghi anni.

Liberamente tratto da: Anselm Grün, Per vincere il male. La lotta contro i demoni nel monachesimo antico, San Paolo, 2006

mercoledì 15 maggio 2013

Conoscendo i pericoli è più facile difendersi.


Tecniche di lotta contro i demoni
Per vincere il male. La lotta contro i demoni nel monachesimo antico.

Anselm Grün affronta infine l’utilizzo delle tecniche che i monaci utilizzavano per combattere contro i demoni.

Il primo passo è conoscerli, prendere confidenza con la loro tecnica facendo leva sull’esperienza, osservare i pensieri e prestare attenzione alla loro durata, al loro intrecciarsi e ai loro tempi. 
Quale demone svolge quel compito? E quale un altro?
Non appena si sono svelati i meccanismi si è già fatto il primo passo. Non serve a nulla lamentarsi, per esempio, del cattivo umore o delle proprie debolezze. È importante scoprire le cause, i fattori che le determinano. Conoscendo i pericoli è più facile difendersi. Gli psicologi consigliano di registrare il comportamento, coglierne le “frequenze fondamentali”. Evagrio dice: “Concentrati su te stesso, ricordati tutto quello che ti è successo, come è cominciato, come è continuato, in quale luogo eri quando sei stato catturato dallo spirito della lussuria, dell’ira o della tristezza e come tutto ciò è proseguito […]”. Evagrio consiglia addirittura di lasciare libero accesso in noi al demone dell’accidia per uno o due giorni, perché solo in questo modo possiamo conoscerlo e metterlo in fuga. Avendone familiarità lo conosciamo e ne sveliamo i suoi meccanismi.

Antonio, un altro dei grandi padri, invita a domandare il nome al demone, a non essere codardi con i demoni e anzi a rapportarsi con loro: “Chi sei? Da dove vieni?”. Domandare nome e provenienza sollecita il monaco a prendere il proprio punto di vista e non lasciarsi trascinare semplicemente in un pensiero. Evagrio invita a portare i pensieri davanti al proprio tribunale interiore, inteso come tribunale della propria coscienza. Se fuggono sono demoni malvagi, mentre se resistono sono demoni buoni.Questa pratica è in fondo il “discernimento degli spiriti”. Osservare prima le circostanze della loro venuta e poi individuarne la natura è fondamentale per non farsi catturare nella loro strategia. Anche la psicologia dice che non appena ci “dis-identifichiamo”, chiamiamo per nome un pensiero o un sentimento, abbiamo conquistato maggiore obbiettività verso noi stessi.

Una volta che il demone è stato conosciuto Evagrio consiglia l’utilizzo del metodo delle “parole contro”, non frasi partorite dalla mente del monco che potrebbe essere quindi “invaso” dal demone stesso, ma frasi ispirate, tratte dalle sacre scritture che possono essere impegnate nella lotta, soprattutto versetti tratti dai Salmi.  Tali frasi, di cui Evagrio presenta un’ampia raccolta, non sono tratte a caso, ma in esse è già presente il superamento del pensiero che ci incalza. Siccome la parola non è del monaco, ma è “parola di Dio”, è Dio che combatterà a fianco del monaco nella lotta. Anche il canto dei salmi rasserena l’anima e produce pace. Questo è l’arma vincente del combattimento perché si fonda sull’umiltà del monaco. Non siamo noi a vincere il combattimento, ma è Dio stesso che interviene con la sua parola e fa fuggire il demone. Ecco un elenco di “parole contro” tratte dalla scrittura:

Contro il demone dell’avarizia che mi fa temere un futuro di povertà: “Il signore è il mio pastore, nulla mi mancherà” (Sal 31,1)

Contro il demone della lussuria che mi instilla pensieri impuri: “Via da me voi tutti che operate iniquità! Poiché il signore ha udito la voce del mio pianto; ha udito il signore la mia implorazione” (Sal 6,9 s)

Contro il demone della tristezza che fa intimorire l’anima e instilla la paura di essere abbandonata: “Il Signore tuo Dio è un Dio misericordioso, non ti abbandonerà e non ti distruggerà (Dt 4,31); Contro il demone dell’accidia e i pensieri di sfiducia: “Confida nel signore e opera il bene” (Sal 37,3); “Egli mi farà uscire alla luce e vedrò le sue meraviglie” (Mic 7,9)

Contro il demone della vanagloria: “Non parlare alle orecchie di uno stolto” (Prov 23,9)

Contro il demone dell’orgoglio: “Chi va coi sapienti diventa sapiente” (Prov 13,20); “Non prestare attenzione a tutte le parole che si diconom perché non ti capiti di sentire il tuo servo parlar male di te (Qo 7, 21)

Liberamente tratto da: Anselm Grün, Per vincere il male. La lotta contro i demoni nel monachesimo antico, San Paolo, 2006

martedì 14 maggio 2013

L’insegnamento che questi monaci ci hanno lasciato è “pratico” e riguarda più l’esperienza diretta del “rapporto con i demoni” piuttosto che la “speculazione sulla loro essenza”



Tecniche di lotta contro i demoni
Per vincere il male. La lotta contro i demoni nel monachesimo antico.

Nella crescita personale o spirituale come dice Jung il punto è
se l’IO lascia posto al Sé,
 cerca di possedere i contenuti dell’inconscio e in questo modo di arricchirsi.
Sempre adottando la prospettiva psicologica
l’Io vuole affermare sé o consegnarsi al “numinoso”
e cioè al Sé, che incontra soprattutto nell’archetipo di Dio?
Voglio sfruttare gli uomini e Dio a mio vantaggio
oppure servire Dio e gli uomini affidandomi al suo amore?
Che è poi l’imperativo kantiano della ragion pratica
che pone il fratello, il prossimo, la persona che ho di fronte come fine e non come mezzo.

La psicologia asiatica si è dedicata molto allo studio dei processi psichici,
a mettere in rapporto le esperienze pratiche di meditazione dei monaci con le ultime scoperte scientifiche, tanto che negli ultimi decenni sono diffusi molti studi nei quali le esperienze di monaci buddisti o di maestri yoga, sono entrate in contatto con la psichiatria, la psicologia e le neuroscienze offrendoci nuove prospettive e punti di vista.
Meno conosciute e non per questo altrettanto degne di nota sono invece le esperienze dei nostri monaci cristiani i quali ci hanno lasciato un bagaglio di esperienze monumentale.

L’insegnamento che questi monaci ci hanno lasciato è “pratico” e riguarda più l’esperienza diretta del “rapporto con i demoni” piuttosto che la “speculazione sulla loro essenza” anche se in tali scritti ci sono delle affermazioni sulla loro natura di “angeli che si sono ribellati a Dio” e che quindi hanno come scopo quello di condurre gli uomini al male.

Anselm Grün  sottolinea spesso che le affermazioni dei monaci non sono definizioni, non rispondono al tentativo di spiegare alcuni fenomeni e non aspirano nemmeno a sapere con certezza che cosa siano in effetti i demoni.
I monaci utilizzano una lingua mitologica e risulta molto interessante mettere a confronto ciò che dicono i monaci con ciò che Jung ci dice dei demoni. Far dialogare questi due punti di vista ci aiuta a comprendere qualcosa di più di una realtà che può essere chiarita ma mai compresa del tutto.

Demoni, complessi e archetipi

“Jung giunge a parlare dei demoni in relazione alla sua teoria dei complessi autonomi e delle proiezioni. La proiezione è ‘il trasferimento inconscio, cioè non percepito e attuato in modo intenzionale, di un atto psichico soggettivo su un oggetto esterno’. Trasferendo i nostri desideri e le nostre emozioni su un altro, non vediamo in lui la realtà, ma piuttosto ci lasciamo ingannare dalle nostre proiezioni e dominare da esse”.

Ebbene i monaci descrivono tale contenuto “oggettivo”, come inganno da parte di un demone. In tal modo “anche l’effetto delle proiezioni esterne su di noi viene definito demoniaco. Quando altri gettano su di noi le loro proiezioni, esercitano potere su di noi, al quale difficilmente riusciremo a sottrarci. Le proiezioni sono una specie di proiettile che ci viene sparato addosso da una persona malvagia, un proiettile che ci fa ammalare”.

M. L. von Franz, una delle più dotate allieve di Jung descrive così l’effetto delle proiezioni esterne: “Non appena una persona getta un lembo della sua ombra su un’altra persona, viene indotta ad usare parole piene d’astio. Le parole che colpiscono l’altro come proiettili (punzecchiature e frecciate) simboleggiano un corrente psichica negativa che colui che proietta indirizza verso l’altra persona. Se si diventa bersaglio delle proiezioni negative di un’altra persona, si sperimenta l’odio dell’altra persona in modo quasi fisico, come se fosse un proiettile”.

Le nostre proiezioni ci ingannano e ci attirano in loro potere, mentre le proiezioni esterne agiscono su di noi come spiriti maligni.

Per Jung la causa delle proiezioni sono dunque i complessi, cioè immagini di “una situazione psichica determinata, che viene particolarmente sottolineata sul piano emozionale” la quale “dispone di una forte compattezza interna” e  “possiede un grado di autonomia relativamente alto”.  Il complesso ci spinge verso una situazione di mancanza di libertà, di pensiero e azione coatti. Alla sua origine c’è un contenuto particolarmente marcato da un punto di vista emotivo.

Jung distingue il complesso dell’anima, che viene attribuito all’inconscio personale, dal complesso dello spirito che sorge invece quando determinati contenuti dell’inconscio collettivo emergono alla coscienza.

I demoni per Jung “sono parti della psiche sottoposte a tensione e, dato che tali tensioni sono inconsce, spesso esse riescono ad avere il dominio sull’IO: “nel Medioevo aveva un altro nome: allora si chiamava possessione […] in linea di principio non esiste nessuna differenza fra le abituali manifestazioni dei complessi e la blasfemia selvaggia del posseduto. Si tratta solo di una differenza di gradazione”.

Jung ritiene che gli Antichi, “attraverso un’interpretazione che non psicologizza i complessi, ma li descrive come esseri autonomi, come demoni, abbiano saputo riprodurre il contenuto oggettivo meglio dei tentativi moderni […]”. Mentre Jung da medico è interessato a guarire i malati, i monaci sono interessati al corretto rapporto con i demoni e quindi al rapporto quotidiano con il male perché i demoni stanno a simboleggiare i contenuti inconsci che assalgono l’uomo che cerca di sottometterli al loro potere.

“Proiettando i contenuti negativi dell’inconscio sui demoni, i monaci riescono a creare lo spazio per affrontarli, in quando pongono l’inconscio all’esterno, gli danno un nome e così si possono difendere”. La proiezione libera l’uomo dal carico delle proiezioni. I monaci svelano il meccanismo mediante il quale noi proiettiamo i nostri desideri ed emozioni sugli altri. Non è il nostro prossimo il responsabile della nostra rabbia, ma il colpevole è un demone che agisce in noi mediante le nostre emozioni e il nostro comportamento. I monaci rendono giustizia della serietà e della molteplicità delle minacce del male nei nostri confronti: “il male non può essere sconfitto con un po’ di buona volontà in quanto si presenta come un demone raffinato e dotato di tecniche sofisticate”.

Liberamente tratto da: Anselm Grün, Per vincere il male. La lotta contro i demoni nel monachesimo antico, San Paolo, 2006

lunedì 13 maggio 2013

Negando le proprie ombre si finisce per esserne invasi.


Tecniche di lotta contro i demoni
Per vincere il male. La lotta contro i demoni nel monachesimo antico


Il “demone della vanagloria” 
si fa largo soprattutto nell’uomo virtuoso,
istillandogli il desiderio di rendere pubbliche le sue battaglie
e di aspirare ad una fama umana.
Questo demone si introduce di nascosto quando gli altri vizi sembrano vinti.
Spinge il monaco a combattere per una motivazione sbagliata,
non per Dio,
ma per piacere agli uomini.
Si tratta di una esaltazione dell’io e alcune persone
che si identificano con ideali elevati soccombono
alla tentazione di non abbandonarsi a Dio
ma di sostenersi con le proprie forze.

Il “demone dell’orgoglio” 
spinge tanto l’anima da “farla cadere dalla cima più elevata”.
L’orgoglio è il più pericoloso dei vizi
perché il monaco si ritiene come Dio
arrivando a negare la propria umanità.
Si finisce per gonfiarsi con contenuti dell’inconscio
fino a perdere il senso della realtà.
Jung definisce questo processo “inflazione”.
Ci si crede un profeta, un santo, un guaritore.
Negando le proprie ombre si finisce per esserne invasi.
Questo conduce alla perdita di equilibrio e alla dissoluzione della personalità.
L’orgoglioso cade del tutto in potere dei demoni
identificandosi con i contenuti archetipici dell’inconscio collettivo.
Viene posseduto totalmente.

Liberamente tratto da: Anselm Grün, Per vincere il male. La lotta contro i demoni nel monachesimo antico, San Paolo, 2006

domenica 12 maggio 2013

una condizione di pace e una gioia inesprimibile colgono l’anima dopo il combattimento” e “un uomo nuovo, più armoniosamente integrato, risuscita dalla prova


Tecniche di lotta contro i demoni
Per vincere il male. La lotta contro i demoni nel monachesimo antico

Il “demone della tristezza” 
arriva quando i desideri vengono frustrati, altre volte è conseguenza dell’ira. Si presenta mediante pensieri che hanno a che fare con il passato e se l’anima, invece di fargli resistenza li segue, allora il demone la conquista e la getta nella tristezza. Quanto più l’anima ha provato piacere nei pensieri provati in passato, tanto più verrà schiacciata e umiliata. Per Evagrio la causa ultima della tristezza è un eccesivo attaccamento al mondo. “Chi ama il mondo, proverà molta tristezza; chi invece disprezza le cose di questo mondo, troverà gioia in ogni cosa”. La tristezza indebolisce l’anima, la capacità di attenzione e di concentrazione: “Nessun raggio di sole penetra nella profondità dell’acqua […] Il sorgere del sole è una gioia per gli uomini, ma un’anima afflitta prova dispiacere anche di fronte a tale spettacolo”.

Il “demone dell’ira”
è molto violento ed Evagrio la definisce “un movimento irruente della parte più irascibile dell’anima contro chi ha commesso un’ingiustizia o sembra aver commesso un’ingiustizia. L’ira amareggia l’anima per tutto il giorno [...] trascina con sé l’intelletto soprattutto durante la preghiera […] Quando dura a lungo si trasforma in rancore, di notte provoca turbamento […]”. L’ira offusca l’animo ed è strettamente legata alla tristezza. “I pensieri di colui che è in preda all’ira sono piccoli di vipera e divorano il cuore che ha dato la loro vita”. Le emozioni violente trascinano con sé l’uomo e non gli permettono più di pensare con chiarezza perché “l’inconscio negativo penetra nella sfera della coscienza facendo leva sulle immagini più spaventose e le sottrae il controllo”. Quando la vendetta non è possibile l’ira si trasforma in rancore, in uno stato d’animo di rabbia permanente. Come dice Jung l’io perde il controllo su di sé come avviene all’origine della schizofrenia e cade in preda di un vero e proprio “sequestro emozionale”.

Il “demone dell’accidia” 
è chiamato anche il demone del mezzogiorno ed è il più molesto di tutti:
“Attacca il monaco all’ora quarta e assedia l’anima fino all’ora ottava”.
Spinge il monaco ad andare in giro, a vedere se per caso arrivi un confratello.
Instilla avversione verso il luogo in cui si vive,
verso la vita che si conduce e verso il lavoro manuale.
“Mette in moto tutte le sue energie per spingere il monaco a uscire dalla cella e a fuggire dal campo di battaglia”.
 Mentre gli altri demoni toccano solo una parte dell’anima, il demone del mezzogiorno la occupa tutta. Pigrizia, nausea, paura del cuore, angoscia interiore, disperazione e scoraggiamento spingono il monaco al sonno oppure alla fuga, verso attività frenetica, alla fretta, alla volubilità e a perdersi in tante chiacchere.
Il monaco può sfiorare la pazzia perché è braccato da una sorta di depressione psichica.
“L’anima ha perso la testa e si comporta come un bambino piccolo che piange incessantemente e prorompe in tali grida di dolore, come se non avesse più alcuna speranza di venire consolato”.
Non si prova più gioia per la vita e tutto appare senza senso.
L’energia psichica è defluita dall’io e attirata da un complesso inconscio. Come in molte depressioni endogene, nella paralisi più stagnante esiste un desiderio intenso che colui che ne soffre non osa lasciare uscire.
 Ma questo demone non viene seguito da nessun altro:
“una condizione di pace e una gioia inesprimibile colgono l’anima dopo il combattimento”
e “un uomo nuovo, più armoniosamente integrato, risuscita dalla prova”.
I monaci consigliano così di resistere.
Come dice Franz il complesso che è stato attivato più tardi può apparire alla coscienza e venir fuori un intenso interesse per la vita, di una direzione diversa rispetto a quella che provocava l’implosione.

Liberamente tratto da: Anselm Grün, Per vincere il male. La lotta contro i demoni nel monachesimo antico, San Paolo, 2006