sabato 22 giugno 2013

affinché, alla vista del cammino che dobbiamo fare, non lasciamo consumare nella debolezza e nell’inazione la durata della nostra vita, e non ci attardiamo nelle vanità di questo mondo,


IL DIO DELLA VITA
di p. Attilio Franco Fabris

LETTURA

NON FERMARTI: CONTINUA A CAMMINARE
E Mosè scrisse riguardo alle loro tappe e alle loro soste a causa della parola del Signore (Nm 33,2).
Egli scrisse dunque cose: “A causa della parola del Signore”,
affinché, leggendole, noi vediamo
quante tappe,
quante soste
ci attendono nel viaggio verso il regno,
e ci prepariamo a questa strada;
affinché, alla vista del cammino che dobbiamo fare,
non lasciamo consumare nella debolezza e nell’inazione
la durata della nostra vita, e non ci attardiamo nelle vanità di questo mondo,
prendendo piacere
a ogni diletto della vista o dell’udito, o ancora del tatto, dell’odorato e del gusto:
affinché i giorni non se fuggano così,
affinché il tempo non scorra senza che noi ci affrettiamo a coprire la distanza del viaggio da fare, affinché non veniamo meno per via e non subiamo la sorte di coloro che non poterono arrivare al termine e “le cui membra sono cadute nel deserto” (Ebr 3,17).
Noi siamo in viaggio, noi siamo venuti in questo mondo solo per passare di virtù in virtù, e non restare sulla terra per amore degli oggetti terrestri, come chi dicesse:
“Distruggerò i miei granai, e ne costruirò di più grandi… e dirò all’anima mia: Anima mia, tu hai molti beni riposti nel granaio per molti anni… mangia, bevi e rallegrati” (Lc 12,18s).
Ah! Che il Signore non ci dica come a lui: “Insensato, questa notte stessa ti sarà rapita l’anima”.
Egli non ha detto:
“Questo giorno”, ma “questa notte”:
quest’uomo è colpito la notte, come lo furono i primogeniti d’Egitto”
perché ha amato il mondo e condiviso la vita “dei principi di questo mondo delle tenebre” (Ef 6,14). Ora questo mondo è chiamato tenebre e notte a causa di coloro che vivono nell’ignoranza e non ricevono la luce della verità. Costoro non partono da Ramesse e non vanno a Succot.

Origene, Omelia 27 sui Numeri, 2-3

venerdì 21 giugno 2013

ho sperimentato come il Dio della vita mi accompagna e mi sostiene


IL DIO DELLA VITA
di p. Attilio Franco Fabris

SCHEDA DI LAVORO

1. Mi guardo attorno.
Tutto ciò che vedo è vivo, è pregno di vita. Riconosco in ogni cosa la presenza e l’azione dello Spirito di vita.

2. Mi fermo, prendendo coscienza del mio esistere.
Sono vivo. Questa vita mi è stata donata, non mi appartiene. Essa è un dono del Padre che mi ha chiamato all’esistenza dall’eternità.

3. Vi sono, o vi sono state, situazioni in cui ho sperimentato situazioni di morte, di non senso, di ripiegamento, di sfiducia. Momenti in cui la speranza ha lasciato il posto alla disperazione. Ma ho altrettanto sentito che la spinta alla vita spingeva in avanti, ad una non resa. Lì ho sperimentato come il Dio della vita mi accompagna e mi sostiene.

4. La vita cristiana è una crescita verso la piena conformazione a Cristo. Quando un cristiano non avverte più il desiderio, una spinta, ad un perfezionamento, ad una sempre maggiore fedeltà alla Parola di Dio, è segno che in lui il dono della fede rischia di spegnersi o è già spento. Posso dire che in me la fede è viva?


giovedì 20 giugno 2013

la crescita per il cristiano ha una meta ben precisa l’aderire sempre più a Cristo


IL DIO DELLA VITA
di p. Attilio Franco Fabris

NEL NUOVO TESTAMENTO

Il dono della vita all’umanità raggiunge il suo vertice e la sua completezza nel dono del Verbo della vita: “In lui era la vita”(Gv 1,4a).

Il dono della vita non è più perciò mediato dalla Legge
ma è offerto nella sua pienezza nell’incarnazione del Verbo:
“Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo”(Gv 1,17).

La vita che ci viene donata nel Verbo allarga la sua dimensione sull’eternità di Dio,
è molto più del solo esistere biologico:
diviene tensione ad una pienezza alla comunione con l’origine stessa di ogni vita:
è questa la “grazia” di cui parla Giovanni:
la promessa di una vita eterna in comunione con Dio.

Nell’Incarnazione il Verbo eterno assume la vita umana in tutta la sua realtà,
diviene soggetto alle leggi della condizione umana:
è in primo tempo un bambino che nasce da donna, 
che cresce in forza e sapienza (Cfr. Lc 2,40.52).
E questo sta ad indicare il collocarsi di Gesù in modo reale sul cammino di crescita di ogni uomo.
Si tratta di un dinamismo di crescita non semplicemente umana
ma bensì di fedeltà ed obbedienza alla volontà del Padre.

La vita di Gesù e la missione con cui essa si identifica,
in modo particolare in Luca,
sono descritte come
un itinerario, 
un cammino, 
una crescita, 
una salita verso un compimento:
Gerusalemme.

Anche la realtà del Regno, della Chiesa suo sacramento,
è presentata in termini dinamici di crescita vitale:
il vangelo parla di granellino di senape, di lievito, gli Atti parlano di accrescimento progressivo del numero dei credenti (cfr 2,41) e di crescita della Parola: “Intanto la Parola di Dio cresceva e si diffondeva” (12,24).

Inserito per il battesimo in Cristo e nella Chiesa
anche il singolo discepolo è chiamato a crescere nella maturazione della sua vita cristiana.

Egli deve crescere
nella fede (cfr. 2Cor 10,15);
nella conoscenza di Dio,
fruttificando in ogni opera buona
e crescendo nella carità (cfr. Col 1,10).

E’ Dio che opera anzitutto questa crescita (cfr. 1Cor 3,6-9),
ed è lo Spirito “che è Signore e dà la vita” che fa progredire verso Cristo, il capo del corpo.
Dunque la crescita per il cristiano ha una meta ben precisa l’aderire sempre più a Cristo,
e farlo crescere in sé conformandosi sempre più a Lui:
“Quelli che da sempre ha conosciuto (il Padre) li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8,29).

In tal modo sia il corpo mistico di Cristo sia il singolo credente,
vengono edificati con Cristo e verso Cristo.

“In Cristo ogni costruzione cresce ben ordinata
per essere tempio santo nel Signore;
in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2,21s)

La forza dinamica di questa crescita è la carità.
Il testo fondamentale lo ritroviamo nella lettera ai cristiani di Efeso:
“E’ lui che ha stabilito alcuni…
al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto nella misura in cui conviene alla piena maturità di Cristo… Vivendo secondo la verità nella carità,
cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo,
dal quale tutto il corpo ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro,
riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità” (4,11-16).

Abbiamo dunque una meta e uno strumento per raggiungerla:
arrivare alla statura di uomo perfetto (Cristo) nella forza dinamica dell’amore.

Allora deduciamo che:
vocazione primaria fondamentale dell’uomo,
del cristiano che ha la conoscenza,
è il saper riconoscere la vita come dono offerto
da un Altro,
Dio,
un dono che diviene compito,
che richiede un cammino verso una meta ben precisa.
Si tratta di dire di sì alla vita.

In Paolo questo sì alla vita si trasforma addirittura in un “correre verso la meta”:
“Fratelli io non ritengo di essere giunto ancora alla meta.
Questo soltanto io so.
Dimentico del passato e proteso verso il futuro corro verso la meta per arrivare al premio
che Dio ci chiama a ricevere lassù in Cristo Gesù” (Fil 3,13-14).

Tale corsa anche per l’autore della Lettera agli Ebrei non è opzionale,
ma un imperativo per ogni discepolo:
“Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti,
tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (12,1-2).

mercoledì 19 giugno 2013

La vita si rivela un compito da portare a termine


IL DIO DELLA VITA
di p. Attilio Franco Fabris

NELL’ANTICO TESTAMENTO

La vita compare nelle ultime tappe della creazione, come suo coronamento.
Nel quinto giorno nascono “i grandi cetacei, gli esseri viventi che guizzano e pullulano nelle acque” (Gn 1,21) e gli uccelli. A sua volta la terra produce altri esseri viventi (1,24). Infine Elohim crea, a sua immagine, il più perfetto dei viventi: l’uomo.

E, per assicurare a questa vita nascente la continuità e la crescita,
Dio le fa’ dono della sua benedizione:
“Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (1,22.28).

Dunque la prima parola di Elohim per l’uomo,
è una parola
di benedizione 
per la vita, 
per la sua crescita, 
per il suo sviluppo e incremento.

La crescita è la legge della vita. Essa si deve moltiplicare. Ma l’uomo non deve far solo quest’opera di “moltiplicazione”, egli è chiamato bensì anche ad una ulteriore opera di “crescita” nella sua responsabilità: egli deve avere dominio sul mondo, ovvero governarlo dome luogotenente del Dio Creatore (Gn 1,22.28.;9,7).

L’uomo, per vivere correttamente questa sua vocazione,
avrà sempre coscienza che la sua vita,
la sua crescita non trova origine in lui stesso, 
ma nel Dio della vita:
“Cresce forse il papiro fuori della palude e si sviluppa forse il giunco senz’acqua?” (Gb 8,11).
“O speranza di Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato te, la fonte di acqua viva, il Signore” (Gr 17,13)

E’ la benedizione del Creatore infatti che assicura il principio della vita, il suo permanere e il suo crescere.

Sant’Ireneo vescovo di Lione nel IV secolo, dirà  che nel creare l’uomo,
Dio lo fece bambino perché potesse crescere:
gloria Dei homo vivens.

Rileggendo sotto questa angolatura la storia della salvezza risulta evidente 
come JHWH abbia avuto un progetto fondamentale 
disatteso per l’umanità intera:
che essa non solo crescesse nel numero ma anche nella sua fedeltà e nel suo amore.

L’umanità disobbedendo a questo progetto ha fatto entrare la forza del male nella sua storia:
un male che porta con sé la morte, l’assenza della vita:
“Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!”(Gn 3,19).

Ma Dio è fedele.
Da quel momento la sua azione sarà
un continuo riproporre all’uomo il ritorno a lui,
con la conseguente uscita da ogni situazione di morte,
affinché l’uomo possa ritrovare e risperimentare  il dono della vita
vincendo la gravitazione negativa dell’abisso della morte.

Ripercorrendo le pagine della Scrittura appare evidente
di come JHWH abbia perseguito fedelmente questo progetto fondamentale:
“Quando Israele era giovinetto io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio…
 Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano…
 Ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,1-4).

Così la storia dell’Alleanza,
l’offerta della vita che si concretizza
nel dono della Thorà (=Legge), tra Dio e il suo popolo
è contrassegnata dagli interventi di Dio
al fine di farlo crescere nella libertà e nella responsabilità.
Questi interventi
si manifestano
nella sconfitta delle forze statiche della morte
che rischiano di far naufragare il piano della salvezza:
“Ponete nella vostra mente tutte le parole che io oggi uso come testimonianza contro di voi.
Le prescriverete ai vostri figli, perché cerchino di eseguire tutte le parole di questa legge.
Essa infatti non è una parola senza valore per voi;
anzi è la vostra vita; per questa parola passerete lunghi giorni
sulla terra di cui state per prendere possesso passando il Giordano” (Dt 32,46s)

Ecco così che ad Abramo Dio rivolge l’invito ad uscire dalla sua terra,
dalla staticità dell’adorazione di idoli falsi e morti, ad incamminarsi.
Gli viene proposto un cammino, un itinerario con una meta.

La vita si rivela un compito da portare a termine:
“Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo Padre, verso il paese che io ti indicherò” (Gn 12,1).

Israele schiavo in Egitto fa’ esperienza
di un Dio che irrompe improvviso 
nella rassegnazione della sua situazione di schiavitù
come liberatore,
che lo strappa da una situazione di morte letta
come perdita di speranza,
ripiegamento su di sé.

Israele fa’ esperienza di questa uscita e di un lungo cammino,
faticoso e
sofferto ma
necessario alla sua crescita
affinché egli possa imparare a rispondere all’Alleanza del suo Dio:
“Dio guidò il popolo per la strada del deserto verso il Mar Rosso…
Il Signore marciava alla loro testa” (Es 13,18s).

Anche la predicazione dei profeti si situa sempre in questa direzione:
Dio vuole dare la vita al suo popolo, e tramite lui all’umanità intera.
Ad es. Ezechiele di fronte alla tremenda catastrofe del 586, la distruzione di Israele e la deportazione a Babilonia, annuncia al popolo che ormai si crede morto, abbandonato che JHWH ridonerà la vita: “Ecco io apro i vostri sepolcri e vi resuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese di Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi resusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio! Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò” (37,12-14).

E come non ricordare il grande e tenerissimo racconto nuziale di Ez. 16? JHWH raccoglie con premura materna quella bambina, che raffigura Israele, appena nata, abbandonata nei campi, sporca di sangue e a cui non era ancora stato tagliato il funicolo ombelicale. Era destinata irrimediabilmente alla morte. Ma JHWH la prende con sé, la alleva con cura, la fa’ crescere affinché divenga sua sposa: “Passai vicino a te e ti vidi mentre ti dibattevi nel sangue e ti dissi: Vivi nel tuo sangue e cresci come l’erba del campo. Crescesti e ti facesti grande e giungesti al fiore della giovinezza” (16,6s).

martedì 18 giugno 2013

ma quando mi hai nascosto il tuo sguardo, la paura mi ha preso


IL DIO DELLA VITA
di p. Attilio Franco Fabris

La Scrittura apre davanti a noi le sue pagine parlandoci di un Dio vivente che chiama alla vita tutte le cose, che progetta l’uomo affinché possa  condividere la sua stessa vita. Dice il Salmo 36: “E’ in te la sorgente della vita”.
Da un capo all’altro la Scrittura è pervasa da un senso profondo della vita in tutte le sue forme.
E l’uomo preso da stupore per la scoperta della vita in se stesso e in tutto ciò che lo circonda, consapevole che esso da un momento all’altro può essere ripreso, persegue e chiede a Dio questo dono con una speranza instancabile:
“Stavo bene e pensavo: «Non corro alcun pericolo».
Tu sei stato buono con me,
mi hai reso stabile come una montagna,
ma quando mi hai nascosto il tuo sguardo, la paura mi ha preso.
 A te, Signore, ho gridato,
a te ho chiesto pietà:
«Se muoio e finisco nella tomba che vantaggio ne avrai?
I morti non possono lodarti,
non proclamano la tua fedeltà.
Ascoltami, Signore, abbi pietà, Signore, vieni in mio aiuto” (Sal 30,7-11).

lunedì 17 giugno 2013

Ora non è più questione di terra o di ghiaia, ma di qualcosa di più profondo, nascosto nella sua vera natura. E’ strano, ma evidentemente questo qualcosa esiste. Ecco perché Cristo può anche affermare: “Io sono la via”…


IL CAMMINO DELL'UOMO
p. Attilio Franco Fabris

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UNA LETTURA

La strada: due possibilità di conoscenza

Durante i miei corsi di meditazione,
per far prendere coscienza che oltre alla conoscenza razionale ce ne sono anche altre,
sono solito proiettare una diapositiva che rappresenta una strada,
e faccia quindi sperimentare, una dopo l’altra,
le due specie di conoscenza 
anzitutto lasciando contemplare a lungo l’immagine,
e poi comincio a far rivivere il primo tipo di conoscenza dicendo:
Con l’intelletto io posso conoscere la strada come realtà esteriore. 
Quindi continuo in modo da avere l’approvazione degli ascoltatori:
la strada è terra battuta con sopra della ghiaia. 
Essa è immobile, a differenza degli animali o delle piante non si muove al vento. 
In se stessa è anche senza rumori. 
Ha sempre la stessa forma; 
non giunge più nessuna curva alle già esistenti. 
E’ passiva, non agisce. 
Durante le mie considerazioni sul suo conto, 
essa mi sta di fronte, separata da me. 
C’è però, un altro modo con cui io posso conoscere la strada e parlare di essa. 
Faccio quindi delle affermazioni
quasi contrarie alle precedenti ricorrendo sempre a dei verbi di azione,
la strada viene da una parte e va in un’altra direzione.
Si apre,
si snoda,
si allunga,
si perde,
finisce.
Mi invita,
mi attira,
mi promette qualcosa,
mi prospetta una meta,
mi porta,
mi conduce.
Mi dischiude il paesaggio,
mi esorta alla fiducia,
mi impedisce di perdermi.
Se è ripida mi stimola;
se è comoda mi invita alla distensione.
La strada mi può salvare,
liberare (la via della fuga).
Osserviamo:
soltanto ora la strada ci si dà a conoscere
nella sua vera natura,
nella sua pienezza.
E’ qualcosa di più di terra battuta.
Devo lasciarla operare in me.
Prima ne ero rimasto lontano,
distaccato,
ora sono in contatto con essa.
E’ in questa fase che iniziano gli sviluppi.
Incontrandosi con me,
la strada si esprime nella sua vera natura,
mi parla,
mi rimette in movimento,
mi chiama in causa.
Non è più soltanto fuori,
ma anche in me;
io non sono più solo in me,
ma ho dilatato il mio interno fino ad essa.
Io la interiorizzo…
Una volta che nell’incontro ne ho compreso la vera essenza,
posso usarla come immagine.
Ecco che parlo di “strada della vita”.
Ora non è più questione di terra o di ghiaia,
ma di qualcosa di più profondo,
nascosto nella sua vera natura.
E’ strano, ma evidentemente questo qualcosa esiste.
Ecco perché Cristo può anche affermare: “Io sono la via”…

Karl Tilmann, Guida alla meditazione, Brescia 1982, pp.37-38

domenica 16 giugno 2013

Che cosa il Signore mi chiede di abbandonare per potermi mettere in cammino



IL CAMMINO DELL'UOMO
p. Attilio Franco Fabris

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SCHEDA DI LAVORO

1. Mi sono poste dinanzi in ogni istante due vie: la via della vita e la via della morte.
-  come intendo queste due espressioni applicate alla mia vita?

2. Nella mia vita mi sono capitate (o mi stanno capitando) occasioni significative in cui mi sono trovato ( o mi trovo) ad un bivio:
- quali? Le nomino.
- ne scelgo una: come ho vissuto ( o come vivo) il trovarmi a decidere?
- cosa ho scelto? Mi sembra di aver aderito ( e di aderire) alla via della vita? Se sì perché?

3. Ad Abramo è stato chiesto di uscire dalla sua patria e di mettersi in cammino, ai discepoli Gesù domanda di lasciare tutto per seguirlo:
- Dio mi mette in cammino: se sì in che modo?
- che cosa sento di aver sinora lasciato?
- che realtà sento  che mi tengono ancora legato e fermo?
- Che cosa il Signore mi chiede di  abbandonare per potermi mettere in cammino (cose, relazioni, affetti, luoghi…)?