martedì 31 dicembre 2013

Attraverso la prassi ci si eleva alla teoria


Il respiro della vita 

La grazia della formazione permanente -2002)
Amedeo Cencini

Dalla prefazione di P. Marko Rupnik presentiamo l'autore che viene accostato a due teologi orientali che partendo dalla pratica scientifica giungono alla Teologia: percorso utile  a noi occidentali perchè viviamo in un'epoca moderna che ha estromesso il pensiero filosofico cristiano che innervava la cultura di epoche precedenti. Il pensiero scientifico si è preso tutti gli spazi cancellando così lo spirituale. L'aspetto spirituale è fondamentale per una formazione completa. Lo vedremo presto.


L'autore di quest'opera 
è padre Amedeo Cencini, 

autore di diversi libri, 

uomo ormai di grande esperienza nell'accompagnamento delle persone 

e uno dei massimi rappresentanti della psicologia nel campo spirituale formativo

e non solo in Italia. 



Leggendo questo libro e ripensando ai suoi primi testi 

mi veniva spesso in mente Pavel Florenskij. 

Oserei dire che 

con lo psicologo Cencini sta succedendo ciò 

che è successo con il matematico Florenskij. 

Florenskij era uno scienziato e grande matematico. 

Nelle sue ricerche della matematica teorica Florenskij 

si avvicina sempre più alle soglie del Mistero. 

Lui comprende che la matematica, 

essendo una realtà delle relazioni

può esistere solo su una realtà relazionale vera, 

cioè veramente esistente, proprio perché viva. 

Florenskij comprende che 

le relazioni matematiche difatti possono esserci ù

e possono non essere semplicemente illusione e proiezione intellettuale 

proprio perché 

il fondamento di tutta la vita 

e tutto l'esistente sono le libere relazioni delle tre Persone divine. 

Florenskij giunge al mistero teologico tramite la matematica

così come un altro grande del XX secolo, 

Sergej Bulgakov, 

giunge alle vette della teologia dogmatica dall'economia. 

Personaggi come questi sono interessanti per una cultura europea 

che ormai non è più consolidata su una conoscenza della filosofia cristiana 

come trampolino alla teologia e alla spiritualità. 

Anzi oggi si dimostra assai sterile 

un approccio alla fede che vuole procedere in questo modo, 

pensando che questa è la verità, 

la si spiega 

e poi si cerca di viverla. 

Un celebre assioma dei Padri recitava: 

«Attraverso la prassi ci si eleva alla teoria». 

Ossia si parte dalla vita, 

tramite la purificazione si arriva alla contemplazione.

lunedì 30 dicembre 2013

nella liturgia l'uomo vive in pienezza il suo senso, la sua vocazione e la salvezza.

Confesso che avrei voluto iniziare il discorso sulla formazione tempo fa, ma i tempi liturgici erano un'occasione di formazione troppo importante e fondamentale per il nostro discorso. Se avessi fatto altrimenti, avrei contraddetto ciò che è stato ribadito dall'autore nel primo libro che prenderemo come guida :  Amedeo Cencini Il respiro della vita La grazia della formazione permanente (2002). Pertanto, per chiarire il mio pensiero,  prendo a prestito le parole di P. MARKO RUPNIK SJ che incontro nella prefazione del libro sopraccitato.


Gli antichi padri spirituali vedevano 
il tempo come un dono di Dio 
affinché l'uomo possa realizzare la volontà di Dio 
che è l'amore di Dio. 
Dunque 
il tempo 
come processo di santificazione 
tramite la propria vocazione. 
Il tempo 
veniva considerato e trovava il suo vero significato nella liturgia, 
perché la liturgia è esattamente la perpetua santificazione del tempo
cioè nella liturgia l'uomo vive in pienezza 
il suo senso, la sua vocazione e la salvezza...
è proprio la liturgia

dove si celebra la salvezza e si è coinvolti in essa, 

il luogo privilegiato della realizzazione della propria vocazione. 

domenica 29 dicembre 2013

narrare con il linguaggio della nostra cultura in continuo mutamento la perenne «buona notizia» che riguarda tutta l’umanità:


Sì, 
cosa pensiamo davvero quando diciamo «Natale»? 
Riscoprire e riaffermare i connotati più propriamente cristiani della festa 
- il Dio che si è fatto uomo perché ha tanto amato il mondo - 
non significa rinchiudersi in un ghetto esclusivo, 
ma mostrare inedite capacità di narrare 
con il linguaggio della nostra cultura in continuo mutamento 
la perenne «buona notizia» 
che riguarda tutta l’umanità: 
la nascita di Gesù 
è abbraccio tra giustizia e verità, 
è incontro fecondo tra cielo e terra, 
è speranza e promessa di pace e di vita piena.

Enzo Bianchi
Da La Stampa, 24 dicembre 2010

sabato 28 dicembre 2013

potremmo ripensare a come molte tradizioni si sono formate nel corso della storia, in un intreccio fecondo tra fede e cultura


In questo tempo ritrovato che le feste ci offrono, 
potremmo ripensare 
a come molte tradizioni si sono formate nel corso della storia, 
in un intreccio fecondo tra fede e cultura. 
Così, 
per esempio, i cristiani delle primissime generazioni 
seppero unire la loro fede in Gesù, luce del mondo, 
alla celebrazione del «sole invitto» nel solstizio invernale; 
così 
san Francesco riuscì a calare 
nella realtà contadina dell’Italia medievale 
l’atmosfera del presepe che richiamava 
quanto accaduto nella campagna di Betlemme milleduecento anni prima; 
così, 
per venire a tempi più vicini a noi, 
la figura di san Nicola trapiantata da Mira 
ai paesi nordici è scesa di nuovo fino in riva al Mediterraneo 
per affiancarsi a «Gesù bambino» nel colorare 
con la gioia del dono fatto e ricevuto la notte di Natale. 
E che 
dire dell’albero adorno di luci e addobbi, 
un tempo sconosciuto nei paesi della cattolicità latina? 
E a quando 
risale la lieta tradizione del pasto di festa 
che riunisce le persone che si amano 
e che vogliono vivere per una volta 
in una dimensione dilatata e gioiosa 
l’evento quotidiano della convivialità a tavola?

Enzo Bianchi
Da La Stampa, 24 dicembre 2010

venerdì 27 dicembre 2013

opportunità per un serio ripensamento della propria fede - o non fede - e del suo modo di esprimersi anche pubblicamente in una società ormai multiculturale


Verrebbe da chiedersi se queste tensioni e contraddizioni 
non possano essere colte 
come opportunità 
per un serio ripensamento della propria fede - o non fede - 
e del suo modo di esprimersi anche pubblicamente 
in una società ormai multiculturale: 
il fatto che determinate tradizioni natalizie non siano più accolte 
come scontate da tutti 
potrebbe essere un’ottima occasione per una purificazione 
del modo che i cristiani hanno di vivere la propria fede 
e di testimoniarla nella compagnia degli uomini. 

Siamo così sicuri 
che gli aspetti ritenuti più ovvi e caratteristici delle festività natalizie 
abbiano davvero a che fare con la fede in Gesù, 
nato da Maria, 
venuto nel mondo per narrare a tutti il volto misericordioso di Dio? 
Pensiamo realmente 
che la presenza di giovanotti bardati 
da vecchi bonaccioni nei centri commerciali 
rimandi al mistero della notte di Betlemme? 
O che dei buffi pupazzi 
che si arrampicano sui nostri balconi 
o si calano dai camini in concorrenza 
con streghe a cavallo di una scopa rievochino 
l’annuncio di «una grande gioia per tutto il popolo» 
o «la pace in terra per gli uomini di buona volontà»? 
E che coerenza mostra chi difende accanitamente la recita scolastica 
con melodiosi canti natalizi facendone un evento irrinunciabile per il proprio figlio 
e poi non si pone nemmeno il problema 
di una sua partecipazione alla messa di mezzanotte o del giorno di Natale?

Enzo Bianchi
Da La Stampa, 24 dicembre 2010

giovedì 26 dicembre 2013

vengono improvvidamente cancellate per un malinteso senso di rispetto delle altre tradizioni religiose



Da qualche anno, 
interrogativi inediti 
hanno comunque iniziato ad aleggiare 
sul Natale e sul modo di celebrarlo. 

Da un lato 
si è accentuata sempre di più 
la dimensione commerciale delle «festività di fine anno», 
che non a caso hanno assunto anche nella terminologia 
una dimensione slegata dall’evento della nascita di Gesù: 
ormai pochi, anche tra i cristiani, 
rammentano e testimoniano nei fatti che il mese precedente il Natale 
è il tempo dell’Avvento, 
cioè dell’attesa del ritorno del Signore, 
e si interrogano sulla coerenza di certi comportamenti 
con il messaggio cristiano. 
D’altro canto, 
assistiamo a curiose e a volte aspre polemiche 
circa l’opportunità o meno di celebrare in spazi laici e pubblici 
- in primis nelle scuole materne ed elementari - 
cerimonie «natalizie»: 
recite, canzoni, mostre di disegni, feste rievocative 
vengono improvvidamente cancellate 
per un malinteso senso di rispetto delle altre tradizioni religiose 
oppure enfatizzate e promosse per brandire un’identità «contro» l’altro.

Enzo Bianchi
Da La Stampa, 24 dicembre 2010

mercoledì 25 dicembre 2013

questa ripetizione può anche generare noia e fastidio se ciò che si ripete manca di senso


 Natale ritorna. 
Ritorna con la sua luce anche in questi giorni 
che sono segnati dalle notti più lunghe dell’anno. 
Ritorna annunciato da milioni di piccole luci 
che sembrano voler ornare le nostre città e le nostre case. 
Ritorna nei giorni più freddi e questo suo ritorno annuale, 
questa ripetizione può anche generare noia e fastidio 
se ciò che si ripete manca di senso, 
non accende un certo stupore, 
non apre alla speranza.

Enzo Bianchi
Da La Stampa, 24 dicembre 2010

martedì 24 dicembre 2013

E’ un amore che attende, un amore che non cerca il controllo.


L'autore » Henri. J.M. Nouwen, scritti vari

La gloria di Dio e la nostra vita nuova

La risurrezione non è semplicemente la vita dopo la morte. Prima di tutto, è la vita che sgorga nella passione di Gesù, nel suo attendere. Il racconto dei patimenti di Gesù rivela che la risurrezione ha inizio anche nel mezzo della passione. Una folla guidata da Giuda venne al Getsemani. “Gesù allora... si fece innanzi e disse loro: ‘Chi cercate?’. Risposero: ‘Gesù, il Nazareno’. Disse loro Gesù: ‘Sono io!’... Appena disse: ‘Sono io’, indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: ‘Chi cercate?’. Risposero: ‘Gesù, il Nazareno’. Gesù replicò: ‘Vi ho detto che sono io: Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano’” (Gv 18,4-8).
Proprio quando Gesù è consegnato alla sua passione, egli manifesta la sua gloria. “Chi cercate?... Sono io!”, sono le parole che rimandano completamente a Mosè e al roveto ardente: “Io sono colui che sono” (cfr. Es 3,1-6). Nel Getsernani la gloria di Dio si manifestò ed essi caddero distesi per terra. Allora Gesù fu consegnato. Ma già nel suo essere consegnato vediamo la gloria di Dio che si consegna a noi. La gloria di Dio rivelata in Gesù abbraccia la passione così come la risurrezione.
“E come Mosè innalzò il serpente nel deserto”, dice Gesù, ”così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15).
Egli è innalzato come una vittima passiva, così la croce è un segno di desolazione. Egli è innalzato nella gloria, così la croce diventa nello stesso tempo un segno di speranza. Improvvisamente ci rendiamo conto che la gloria di Dio, la divinità di Dio, esplode nella passione di Gesù precisamente nel momento dell’estremo sacrificio. Così la vita nuova diventa visibile non solo nella risurrezione nel terzo giorno, ma già nella passione, nell’essere consegnato. Perché? Perché è nella passione che la pienezza dell’amore di Dio risplende.
E’ un amore che attende, un amore che non cerca il controllo.
Quando ci concediamo di percepire pienamente come subiamo le azioni di altri, riusciamo ad entrare in contatto con una vita nuova della cui esistenza non avevamo neppure coscienza...
Se consideriamo il nostro mondo, quanto possiamo realmente avere sotto controllo? La nostra vita non è in larga parte passione? I molti modi in cui subiamo le azioni di altre persone di eventi e della cultura in cui viviamo, e di molti altri fattori al di là del nostro controllo spesso lasciano poco spazio alle nostre iniziative personali. Questo si fa particolarmente evidente quando ci accorgiamo di quante persone sono handicappate, ammalate croniche, anziane o economicamente

lunedì 23 dicembre 2013

Aspettare insieme, alimentare ciò che è già cominciato, attendere il suo compimento: questo è il significato del matrimonio, dell’amicizia, della comunità e della vita cristiana.


L'autore » Henri. J.M. Nouwen, scritti vari

La pratica dell’attesa

…In che modo attendiamo?
Aspettiamo insieme, con la parola di Dio in mezzo a noi.
Aspettare è prima di tutto un aspettare insieme.
Uno dei passi più belli della Scrittura è Lc 1,39-56,
che ci narra della visita di Maria ad Elisabetta.
Cosa accadde quando Maria ricevette le parole della promessa?
Andò da Elisabetta.
Qualcosa stava accadendo ad Elisabetta così come a Maria.
Ma come poterono viverlo fino alla fine?
Trovo l’incontro di queste due donne molto toccante,
perché Elisabetta e Maria si incontrarono e favorirono l’una l’attesa dell’altra.
La visita di Maria rese Elisabetta consapevole di ciò che stava aspettando.
Il bambino sussultò di gioia in lei.
Maria confermò l’attesa di Elisabetta.
E allora Elisabetta disse a Maria:
“Beata colei che ha creduto alle parole del Signore” (Lc 1,45).
E Maria rispose: “ L’anima mia magnifica il Signore” (Lc 1,46)
Ella trabocca esaltante di gioia.
Queste due donne si sono create reciprocamente lo spazio per aspettare. Hanno confermato l’una per l’altra che stava accadendo qualcosa che valeva la pena attendere.
Qui vediamo un modello per la comunità cristiana.
E’ una comunità di sostegno, celebrazione e proclamazione che noi possiamo far crescere ciò che è già iniziato in noi. La visita di Elisabetta e Maria è nella Bibbia una delle espressioni più belle di ciò che significa formare comunità, essere insieme, riuniti attorno ad una promessa, proclamando ciò che sta accadendo tra noi.
E’ questo che la preghiera esprime. E’ radunarsi insieme attorno alla promessa. In questo consiste la celebrazione. E’ far crescere ciò che c’è già. In questo consiste l’Eucaristia. E’ dire “Grazie” per il seme che è stato piantato. E dire “Stiamo aspettando il Signore, che è già venuto”.
Tutto il significato della comunità cristiana sta nell’offrire l’uno all’altro uno spazio in cui aspettiamo ciò che abbiamo già visto. La comunità cristiana è il luogo in cui manteniamo viva la fiamma tra noi e la prendiamo seriamente, così che possa crescere e diventare più robusta in noi. In questo modo possiamo vivere con coraggio, con la fiducia che c’è una forza spirituale in noi che ci permette di vivere in questo mondo senza venire continuamente fuorviati dalla disperazione. Questo è il modo in cui osiamo dire che Dio è un Dio d’amore anche quando vediamo odio tutt’intorno a noi. Questo è il motivo per cui possiamo annunciare che Dio è un Dio di vita anche quando vediamo morte e distruzione e angoscia tutt’intorno a noi. Noi lo diciamo insieme. Lo confermiamo l’uno nell’altro.
Aspettare insieme, alimentare ciò che è già cominciato, attendere il suo compimento: questo è il significato del matrimonio, dell’amicizia, della comunità e della vita cristiana.
In secondo luogo, il nostro attendere è sempre plasmato dalla nostra attenzione alla parola.
E’ attendere nella consapevolezza che qualcuno vuole parlarci. La domanda è: siamo presenti? Siamo in casa, pronti a rispondere al campanello della porta? Abbiamo bisogno di aspettare insieme per tenerci spiritualmente in casa l’un l’altro, così che quando la parola entrerà possa diventare carne in noi. Questo è il motivo per cui il Libro di Dio è sempre in mezzo a coloro che si radunano. Leggiamo la parola così che la parola possa diventare carne ed avere una nuova vita in noi.
Simone Weil, una scrittrice ebrea, ha detto: “Aspettare pazientemente nella speranza e il fondamento della vita spirituale”. Quando Gesù parla della fine dei tempi, parla precisamente dell’importanza dell’attesa. Dice che nazioni combatteranno contro nazioni e che ci saranno guerre e terremoti e sofferenza grande. Gli uomini saranno molto angosciati e diranno: “Il Cristo e la! No, e qui!”. Molti resteranno sconcertati, e molti saranno ingannati. Ma Gesù dice: dovete stare pronti, rimanere svegli, restare in sintonia con la parola di Dio, così che possiate sopravvivere a tutto quello che sta per accadere ed essere capaci di stare fiduciosamente (cum-fide, con fiducia) alla presenza di Dio insieme nella comunità (cfr. Mt 24). Questo è l’gatteggiamento dell’attesa che ci permette di essere il popolo che può vivere in un mondo molto caotico e sopravvivere spiritualmente…
Nella passione e risurrezione di Gesù vediamo Dio come un Dio in attesa…