sabato 4 maggio 2013

So che non può esserci cosa tanto bella e che in cielo e terra bevono di quella, anche se è notte.


Anche se è notte

Quella eterna fonte sta nascosta, ma so ben dove sgorga anche se è notte.
La sua origine non so, poiché non l’ha, ma so che ogni origine da lei viene, anche se è notte.
So che non può esserci cosa tanto bella e che in cielo e terra bevono di quella, anche se è notte.
Ben so che in lei il suolo non si trova e che nessuno la può attraversare, anche se è notte.
Quella eterna fonte sta nascosta in questo vivo pane per darci vita, anche se è notte.
Qui si sta, chiamando le creature, perché di quest’acqua si sazino, in forma oscura, anche se è notte.
Questa viva fonte che io desidero in questo pane di vita la vedo, anche se è notte. (san Giovanni della Croce)

venerdì 3 maggio 2013

Giovanni della Croce non comprende (e scoraggia) quelli che “scalpitano tanto... che vorrebbero essere santi in un giorno”. Non è possibile.


Farsi nulla per Dio per essere tutto in Lui
Giovanni della Croce parla di rinunce,
di lasciare tutto,
di nulla (quali sono le cose rispetto a Dio),
di salita,
di notte oscura,
tutta una terminologia che caratterizza la vita spirituale secondo lui come un lavoro
(di auto correzione e autocontrollo nelle proprie azioni e decisioni),
un impegno serio,
una fatica dura,
una ascesi costosa,
graduale e continua...
che non si può realizzare dall’oggi al domani.
Giovanni della Croce non comprende (e scoraggia)
quelli che “scalpitano tanto...
che vorrebbero essere santi in un giorno”.
Non è possibile.
Allora come oggi.
Egli afferma che se l’anima vuole il Tutto (Dio), deve impegnarsi a lasciare tutto e a voler essere niente:
Per giungere dove non sei, devi passare per dove non sei. Per giungere a possedere tutto, non volere possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non volere che essere niente”.

Naturalmente per Giovanni la parola più importante in questo discorso spirituale
non è rinuncia ma amore. 
Per lui non si tratta tanto di lasciare o rinunciare a qualcosa ma di amare Qualcuno.
Egli invita a lasciare amori piccoli per un amore più grande anzi per l’Amore Totale che è Dio Trinità. Amore è la parola decisiva:
amore di Dio per noi,
amore della creatura per Dio, visto come risposta alla nostra ricerca di amore, fino a consumarsi nel Dio Amore (unione sponsale o mistica).
E Giovanni della Croce si è consumato nell’amore per Dio Amore fino alla fine che arrivò il 14 dicembre 1591 in Andalusia, a Ubeda.

Ad una monaca che gli aveva scritto accennando alle difficoltà che egli aveva sofferto rispose:
Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio. E dove non c’è amore, metta amore e ne riceverà amore”.

      Un consiglio decisamente valido ancora oggi, per tutti.

giovedì 2 maggio 2013

come la “notte oscura” abbia qui lasciato il passo alla “notte pacifica”

Giovanni dedica ben due delle sue opere, il Cantico spirituale e la Fiamma viva d’amore, a descrivere lo stato della pienezza dell’esperienza mistica.
Qui di seguito elencherò solo alcune delle caratteristiche principali di questo stato.

1. Nell’unione d’amore o matrimonio spirituale si raggiunge l’identità tra l’amante e l’amato. A ciò allude S. Paolo col famoso : “Non sono io che vivo ma è Cristo che vive in me” (Gal.2, 20). “Chi in vita raggiunge quest’abbozzo di trasformazione è veramente felice” .

2. Quiete interiore e intuizione profonda (non molto diversamente da samatha e vipassana) sono concepite, nella giusta forma, come un’unità: “Nel sonno spirituale… l’anima è pervasa e gusta la calma, il riposo e la quiete della notte pacifica, e insieme riceve un’abissale e oscura intelligenza divina” . Si noti come la “notte oscura” abbia qui lasciato il passo alla “notte pacifica”.

3. “La grande stabilità dell’anima in questo stato… non prova né dolore né afflizione. Ella non ha neppure la compassione, cioè la pena propria di quella virtù, sebbene ne possegga le opere e la perfezione. Infatti ora le manca ciò che di fiacco c’è nelle virtù, e le rimane invece quanto c’è di forte, di costante e di perfetto”.

4. L’anima non teme più ormai le esperienze dolorose e anzi le accoglie, o addirittura le desidera, come manifestazione della volontà divina, con la quale è identificata, e non della propria, che non esiste più. La sofferenza, a questo punto, è solo “un mezzo per penetrare maggiormente nel folto della dilettevole sapienza di Dio” .

5. Infine, come già si è detto, il mistico realizzato possiede pienamente una “sapienza tranquilla” grazie alla quale ha la facoltà di penetrare con chiarezza tutti i grandi misteri dell’essere, dall’unione tra uomo e Dio all’armonia tra giustizia e misericordia  e, cosa grande tra le grandi, al vedere il tutto in unità.

mercoledì 1 maggio 2013

l’unica azione che l’anima deve compiere è quella di dare il proprio assenso

PERFETTI
L’appartenenza a quest’ultimo e più alto grado è caratterizzata principalmente da due condizioni.
La prima riguarda l’intelletto, ed è sempre una forma di notte oscura, anche se molto diversa dalle precedenti;
l’altra riguarda il cuore, che è pervaso dall'amore.
La notte qui è tale soltanto perché, essendo ormai vuota di contenuti la mente, la luce non è riflessa da nulla e perciò appare invisibile ed oscura. Si tratta dunque, per così dire, di una luce tenebrosa. All’atto pratico, questo significa che la persona non si accorge di niente, che non ha, cioè, alcuna fruizione di stati di essere speciali: “sa soltanto di essere al buio”.
Ma ecco la rilevante particolarità:
quando la luce spirituale da cui l’anima è investita trova qualcosa in cui riverberarsi, cioè quando le si offre di intendere qualche perfezione o imperfezione spirituale o da fare qualche giudizio intorno al falso e al vero, 
allora ella intende e vede molto più chiaramente di quanto non vedesse e intendesse prima di trovarsi in quelle tenebre …
Con grande facilità e universalità conosce e penetra qualunque cosa divina o terrena che le si offra .

Ma siccome “Dio non dà mai la sapienza mistica senza l’amore dal quale viene infusa”, ecco allora che il cuore è pervaso d’amore, che si impadronisce di lui come il fuoco si impadronisce progressivamente del legn. Si tratta di un amore infuso, cioè passivo, in cui “l’unica azione che l’anima deve compiere è quella di dare il proprio assenso”.

martedì 30 aprile 2013

disagi fisici, che sono la conseguenza dell’inadeguatezza del corpo alla forza dello spirito, quali debolezza di stomaco, deperimento, fiacchezza


Un interesse particolare meritano le caratteristiche della notte oscura in questa fase.
Intanto questa, detta ”dello spirito”, ha dei periodi di aridità del cuore e di sofferenza molto più duri di quella “del senso”, e si manifesta molti anni dopo essere entrati nello stato di proficienti.
Questo significa dunque che vi è un lungo periodo di preparazione alla notte, nel quale si manifestano fenomeni di rilievo.
Da un lato l’anima progredita ha meno difficoltà, anzi ha facilità, a immergersi subito in una contemplazione “molto serena e amorosa” trovando “sapore spirituale senza la fatica del ragionamento”.
Dall’altro
non le mancheranno mai alcune 
prove, aridità, tenebre e angustie talora molto più intense di quelle passate 
che sono come presagio e annunzio della notte dello spirito che sta per venire.

Si aggiungano a tutto ciò disagi fisici, che sono la conseguenza dell’inadeguatezza del corpo alla forza dello spirito, quali debolezza di stomaco, deperimento, fiacchezza.
Ma è interessante che alla stessa stregua Giovanni metta quei fenomeni che sono generalmente considerati manifestazioni di stati speciali, come le estasi (elencate assieme agli svenimenti e agli slogamenti delle ossa).
Ciò non accade ai perfetti, che sono stati purificati dalla notte dello spirito. “In essi cessano le estasi e i tormenti del corpo”. L’estasi non ha dunque alcun valore in sé, mentre ha valore la quiete dello stato contemplativo che, come diremo, apre la strada alla suprema intuizione dell’Essere, come già in Teresa. E anche a questo proposito può essere utile un riferimento ad Ajahn Chah, là dove parla del “cattivo” samadhi, che è tale appunto perché fine a se stesso e non strumento per giungere alla visione profonda (vipassana) .

Non deve credersi tuttavia, come si diceva all’inizio, che la notte sia sinonimo di sofferenza e nient’altro. Essa, certo, dura alcuni anni, prima di cessare nello stato di perfezione,
ma anche mentre dura
vi sono intervalli di sollievo, durante i quali la contemplazione oscura… tralascia di investire l’anima in modo purificativo per investirla in maniera illuminativa o amorosa .

Si parla anche di “effetti gustosi” e si dice addirittura che, durante il percorso, all’anima
Dio concede spesso e molto ordinariamente la gioia, visitandola saporosamente e dilettevolmente nello spirito .

lunedì 29 aprile 2013

la vita conduce naturalmente verso la liberazione...due rive ostacolanti il naturale processo sono appunto l’indulgere alla gioia e l’indulgere al dolore


Quanto alla facoltà psichica della memoria, che ha soprattutto a che fare con l’immaginazione e la fantasia, anch’essa sarà abbandonata allorché apparirà evidente la sua inadeguatezza a cogliere Dio. Qui l’antidoto sarà la virtù della speranza, perché ha la caratteristica di fondarsi non su quanto vede ma su quanto attende, e il rimedio pratico sarà il concentrarsi sull’ascolto, altra facoltà meditativa per eccellenza, “attendendo in silenzio a Dio”.

La “volontà” è la facoltà desiderativa, gli affetti, anch’essi inadeguati a cogliere l’Assoluto, perché ottenebrati dalle quattro passioni che, nel linguaggio di Giovanni, sono
gioia e dolore, speranza e timore”.
A ben guardare, le quattro passioni possono essere ridotte a due che non sembrano troppo diverse dal “desiderio” e dall’“avversione” della dottrina buddhista.
La speranza (che in quanto passione non ha evidentemente niente a che fare con l’omonima virtù teologale, di cui si è parlato poc’anzi)
è desiderio
e il timore 
è avversione,
mentre gioia e dolore sono le immediate compagne della loro presenza.
Passioni però sono esse stesse nel momento che a loro si indulga.
Si ricordi, a questo proposito, l’espressiva metafora di Ajahn Chah riguardo al percorso spirituale.
Dice questo noto maestro thailandese, da poco scomparso, che
la vita conduce naturalmente verso la liberazione, come il fluire della corrente di un fiume porta un tronco verso il mare anche senza che esso lo voglia, ma che a ciò si oppongono due ostacoli, cioè la possibilità che il tronco si areni sulla riva destra o sulla sinistra e queste due rive ostacolanti il naturale processo sono appunto l’indulgere alla gioia e l’indulgere al dolore .
Ma per tornare agli affetti, alla cosiddetta “volontà”, essa ha come antidoto la carità,
che consiste nell’amare quanto Dio ama, cioè quanto la vita offre,
senza più essere attratto dalle preferenze individuali.
A proposito delle quali, l’autore non tralascia
occasione di sorridere di come si manifestino, tra gli spirituali, alcune di queste, che appaiono inutili e nocive. 
Nessuna particolare preferenza, egli dice, va accordata alle immagini sensibili,
come quadri o statue, dato che
“la persona veramente devota ripone principalmente la sua devozione nell’invisibile”.
Se un’immagine è più miracolosa di un’altra, dice l’autore con spirito indipendente, ciò è dovuto alla devozione che vi si ripone.
E continua dicendo che spesso sono più efficaci le immagini solitarie perché sono lontane dal chiasso e dalla moltitudine e perché “a causa del movimento necessario per andarle a vedere l’affetto cresce di più”.
Così pure, i pellegrinaggi sono consigliabili solo quando sono solitari, e meglio se fatti in tempi non usuali.
Non consiglierei a recarvisi quando v’è la folla poiché, ordinariamente, in tal caso si torna più distratti di quando siamo partiti. Molti anzi si decidono a fare tali pellegrinaggi più per svago che per devozione .

domenica 28 aprile 2013

il rimedio pratico è sempre lo stesso: imparare “a starsene nella quiete con attenzione e avvertenza amorosa di Dio”.


Il distacco dall’intelletto consiste nel perdere fiducia che esso possa arrivare a conoscere lo scopo finale coi suoi mezzi, anche se si tratti di rivelazioni, locuzioni o sentimenti e comunicazioni visionarie, che servono solo a fare insuperbire.
L’antidoto perciò è la fede, cioè lo slancio fiducioso dell’anima, senza dati di conoscenza a cui affidarsi.
E il rimedio pratico è sempre lo stesso:
imparare “a starsene nella quiete con attenzione e avvertenza amorosa di Dio”.
È questa la principale pratica suggerita dall’autore ai proficienti, ai quali sarà consigliato di abbandonare definitivamente la meditazione discorsiva, quando diventa da sé arida e priva di interesse. La nuova forma di meditazione, cioè il piacere di “starsene soli con attenzione amorosa in Dio, senza considerazione particolare, e in pace interiore, quiete e riposo” è in pratica quello che Giovanni intende per contemplazione:
Quanto più l’anima si andrà abituando alla quiete, 
tanto più crescerà e si farà sentire in lei l’amorosa notizia generale di Dio, 
nella quale ella prova piacere più che in ogni altra cosa, 
perché le causa 
pace, 
riposo, 
sapore 
e diletto senza pena.

Quiete è la parola fondamentale che richiama la pratica di Teresa, ma anche la lotta che si scatenerà un secolo dopo nella chiesa cattolica contro il quietismo. Eppure in questa quiete, e nei doni che essa comporta, è racchiusa tutta la pratica di Giovanni, che a volte è cosa talmente delicata, a differenza dei rapimenti e dei voli di Teresa, che può essere addirittura inavvertibile, per quanto strano questo possa sembrare:
È necessario sapere che la notizia generale di cui sto parlando, 
talvolta è così sottile e delicata, 
specialmente quando è 
più pura, più semplice, più perfetta, più spirituale e più interiore, 
che l’anima, quantunque sia occupata in essa, non la vede, né la sente. 
Ciò avviene massimamente quando essa è in sé 
più chiara, più perfetta e più semplice, caso che si verifica quando essa investe un’anima la quale, a sua volta, è più monda e più aliena da altre intelligenze e notizie particolari, a cui l’intelletto e il senso si potrebbero attaccare.

Ma si tratta, come è evidente, di stati particolarmente avanzati, sui quali torneremo più avanti.