sabato 20 aprile 2013

in primo luogo lasciarsi calmare, diventare tranquillo, quieto davanti a Dio.


Sant’Ignazio parla a lungo negli Esercizi spirituali di come prepararsi a entrare nella meditazione e nella preghiera. Mi ispiro dunque ai suoi insegnamenti.
Sono tre gli atteggiamenti importanti.
- Anzitutto occorre circondare l'ingresso nella preghiera con un’anticamera di silenzio. Magari respirare a lungo, tranquillamente, ascoltare i rumori della natura, immergersi nel silenzio, così da non entrare nell'orazione di corsa, con fretta.
Dice sant’Ignazio: «Prima di entrare in preghiera, sedendo o passeggiando, far sostare un poco lo spirito e pensare dove si va e a che fare» (n. 239). Ricordo che quando ho fatto il terzo anno di noviziato con i miei confratelli Gesuiti, in Carinzia, a St. André, il padre maestro, un uomo di grande esperienza, dandoci gli esercizi cominciava sempre le meditazioni con queste parole: «Vor allem sich ruhig vor Gott werden lassen»: in primo luogo lasciarsi calmare, diventare tranquillo, quieto davanti a Dio.
- Il secondo atteggiamento che immediatamente consegue è l'adorazione. È estremamente importante entrare in preghiera con un atto di adorazione, silenzioso o espresso a voce:
«Mio Dio, io non sono nulla, tu sei tutto.
Tu hai creato tutte le cose.
Tu mi hai chiamato, piccolo essere e povero, a stare davanti a te.
Tu mi fai il dono di parlare con te.
Io ti adoro e mi riconosco indegno di stare alla tua presenza».
Non di rado la nostra preghiera è fiacca perché non è stata preceduta da un'adorazione ben fatta: siamo entrati nella sfera di Dio svogliatamente, come certi ragazzi che entrano in chiesa correndo, guardando, toccando di qua e di là, incapaci di raccogliersi per pensare. Dobbiamo invece metterci in adorazione profonda e stupita del mistero inconoscibile di Dio, quasi prostrati per terra, dicendo:
«Signore, io ti adoro, ti lodo, ti amo, ti riconosco come mio re, ti benedico.
Tutto ciò che c'è di buono è da te. Parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta».
Soltanto dopo potremo dedicarci all'ascolto della parola biblica.
- Una terza e ultima annotazione raccomanda di entrare nella preghiera con un atto di offerta, espressa con la bocca e col cuore.
«Signore, ti offro questo tempo, voglio che sia tutto solo per te, non che sia ripreso da me in alcun modo; te lo regalo, è tempo tuo, è tempo nel quale tu devi regnare, nel quale tu mi accompagni.»
Come, passando per una stazione, prendiamo coscienza dei treni che partono e arrivano, così, entrando in noi stessi, noi prendiamo coscienza di tutte le nostre possibilità e le offriamo:
«Gesù, ti, offro questo momento. Qualunque cosa sentirò - di aridità o di desolazione, di interessante o non interessante, di utile o apparentemente inutile non mi distrarrà da te che sei il Signore della mia vita e del mio tempo».
È determinante questa offerta all'inizio di ogni meditazione.
Si può anche formularla così:
«In unione alla preghiera di Gesù e della Chiesa, ti offro, Padre, la mia preghiera. Vale poco, ma tu puoi riempirla con la tua grazia».
Sant'Ignazio propone prima di ogni meditazione l'orazione preparatoria, che «consiste nel chiedere grazia a Dio nostro Signore affinché tutte le mie intenzioni, azioni e attività siano puramente ordinate al servizio e alla lode della sua divina maestà» (n. 46).

Naturalmente, offrendo noi stessi, possiamo offrire tutte le persone che conosciamo e amiamo, tutta la Chiesa, tutto ciò che si fa nel mondo per la gloria di Dio, in modo che tutto gli sia donato e reso degno di servizio esclusivo a Lui.
Quando dunque ci accorgiamo che la nostra preghiera è statica, perché non è impregnata di adorazione e di offerta, dobbiamo umilmente dire ancora una volta:
«Signore, perdona la mia distrazione. Tu sai che sono qui solo per te, e desidero, voglio offrirti la povertà della mia preghiera».
Silenzio, adorazione e offerta sono tre semplici indicazioni che certamente ci aiuteranno a vivere la preghiera personale. 
Affidiamoci con semplicità alla Madonna, perché ci renda partecipi della sua preghiera e interceda affinché cresca in noi lo spirito di orazione e il fuoco dello Spirito Santo.

venerdì 19 aprile 2013

Rispondendo alle due domande, sarò in grado di comprendere quel «frutto speciale»


Ci chiediamo: in quale maniera gli esercizi portano a una scelta limpida e disinteressata? 
Sono tre i movimenti fondamentali.
- Il primo è quello di accettarsi e riconciliarsi con la propria storia magari nel pentimento, e però un pentimento che sia affidamento fiducioso a Dio. Talora senza accorgercene, siamo autocritici, scettici, sfiduciati, la nostra storia non ci piace oppure ha degli aspetti pesanti. Negli esercizi occorre anzitutto fare pace con noi stessi e con Dio, imparare ad accettarci come siamo. con le nostre povertà e fragilità.
- il secondo movimento ci mette a contatto con la vita di Gesù, per entrare nel mondo di Dio, nelle sue scelte, nel suo amore, nelle sue preferenze: come Dio misura le realtà di questo mondo? Come le giudica? Che cosa ritiene importante e che cosa ritiene senza valore?
- E ancora, gli esercizi ci abilitano a discernere i movimenti interiori: le emozioni, i sentimenti le inclinazioni pericolose, le resistenze, le paure, le desolazioni, le amarezze, le solitudini, le oscurità, gli sprazzi di luce, le intuizioni, il camminare nel buio. Ci aiutano a ordinarli, a chiarirli, a vederne il senso, a interpretarli, allo scopo di comprendere e scegliere ciò che Dio vuole da noi. È il cosiddetto discernimento degli spiriti, che per sant'Ignazio è nodale.
- Un altro frutto o scopo degli esercizi dovrebbe essere quello della consolazione della mente, cioè l'illuminazione che trae fuori dalle piccolezze nelle quali ci impastoiamo giorno dopo giorno e ci permette di contemplare il piano meraviglioso di Dio, che abbraccia l'umanità intera, con le sue sofferenze e le sue speranze. 
La consolazione della mente di cui parlo è 
la visione intuitiva e complessiva dei misteri divini di salvezza, 
è quel respiro largo, profondo, che nasce in noi quando intuiamo che 
ogni cosa ha il suo posto nel piano di Dio
e l'abbiamo noi pure
con le nostre piccole o grandi 
prove, fatiche, sofferenze, oscurità. 
Spesso siamo concentrati, e giustamente, sull'uno o sull'altro problema, magari di carattere etico, 
ma il disegno di Dio è infinitamente più grande
Per Pietro, Giacomo e Giovanni la Trasfigurazione è stata proprio 
un'illuminazione che li ha liberati dalla paura 
delle contraddizioni, delle vie oscure 
per cui Gesù li stava guidando verso Gerusalemme; 
hanno compreso che era in gioco un mistero meraviglioso, la salvezza totale dell'universo, la gloria di Dio e dell'uomo.
Infine gli esercizi sono una scuola di preghiera. Il metodo della lectio divina e offrendo poi qualche suggerimento su come disporsi alla preghiera.

Ho evocato la natura, lo scopo e la dinamica degli esercizi e potremmo utilmente porci due domande.
In quale situazione inizio il cammino di questi giorni? 
Con quale stato d’animo, con quale preparazione, con quali luci dei Signore? 
Ciascuno ha una biografia diversa, ha trascorso l'anno in modo diverso, ha vissuto gioie, tentazioni, sofferenze diversissime.
E come vorrei uscire dagli esercizi? 
Che cosa mi piacerebbe aver chiarito, superato o almeno ordinato?
Rispondendo alle due domande, sarò in grado di comprendere quel «frutto speciale» 
che io - tu, ciascuno di noi - e non altri posso ricevere 
perché certamente Dio l'ha preparato per me.

giovedì 18 aprile 2013

Gli esercizi sono opera della grazia dello Spirito Santo

Parlando di cambiamento e di come decidersi per questo, non posso non portare all'attenzione gli esercizi spirituali. Efficace è accostarsi allo scritto di Sant'Ignazio  direttamente ma trovo questa bella e chiara spiegazione del Card. Martini. 
Riporto una prima parte. 
La seconda e la terza le riporterò domani e dopodomani.

Gli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Lojola, a cui ci riferiamo,
comprendono
un momento di richiamo dei principi fondamentali dell'esistenza umana e cristiana;
un momento penitenziale;
un momento di ascolto della chiamata di Cristo;
un momento di imitazione di Cristo fino alla morte e risurrezione.
Il tutto nell'apertura alla grazia.
Gli esercizi sono opera della grazia dello Spirito Santo:
è lui che muove,
è lui che prega in noi,
che stimola.
che ci fa da maestro.
Chi detta gli esercizi è
un umilissimo suggeritore
di ciò che poi lo Spirito chiarisce
nell'intimo dei cuori.

Costituiscono quindi un metodo
per purificare il cuore e la mente,
per sintonizzarsi con le scelte di Dio,
così da decidere secondo la sua volontà
e non secondo il nostro parere,
la nostra emotività,
le nostre ripugnanze o attrattive.
È decisivo il lavoro di purificazione,
per non lasciarsi trascinare
da simpatie, antipatie, paure, entusiasmi facili, resistenze.
Essendo un metodo di purificazione del cuore,
gli esercizi sono utili anche quando la scelta definitiva è già fatta,
non è più da mettere in questione,
e tuttavia occorre riconfermarla o rinnovarla.
Infatti le scelte per una vita pienamente consacrata a Dio o per la vita matrimoniale,
restano sempre soggette a degrado, 
rischiano di impolverarsi e appesantirsi
e vanno continuamente ripulite e rilanciate.

mercoledì 17 aprile 2013

Domani vedrai che cosa sono capace di fare per te.

Continuando  il brano di ieri...
L'arte di tramandare la conversione viene bene espressa in questo testo, quasi una preghiera per avere il dono della metanoia, ma non subito, domani.
...io posso trasferire la colpa anche a domani.
L'occhio che indefesso guarda verso di me intende sempre l'oggi: «Precisamente adesso voglio essere amato».
Ma io abbasso i miei occhi e dico: ti amerò domani. 
Domani vedrai che cosa sono capace di fare per te. Il sacrificio che ti offrirò. Domani ti pagherò il doppio se mi concedi anche solo l'ora odierna.
Devo ancora raccogliere la rosa prima che sfiorisca, ma a te darò le coccole.
Dammi la primavera e allora io ti lascio l'autunno, forse già la tarda estate.
Soltanto oggi distolgo da te il mio sguardo e tu potrai, a cominciare da domani, guardarmi sempre. «Vengo vengo, vengo subito!» grida il bambino alla madre che lo chiama preoccupata e gioca il suo gioco fino in fondo, giacché di sicuro c'è un prolungamento che va da sé dentro l'obbedienza. Una umana possibilità di gioco.
Chi potrebbe dividersi a un tratto dalla sua vita?
Perché, Dio, vuoi saltare con me gli scalini?
Tu vuoi il tutto e d'un colpo, tutto il cuore, tutta l'anima, tutto il sentimento e tutte le mie forze, ma la legge della vita è l'evoluzione graduata. Tieniti anche tu, da buon educatore, a questa legge.
Un quarto te lo voglio concedere e quando avrò trent'anni la metà, così avrai a poco a poco e sicuramente il tutto. Se mi strappo lacerandomi da ciò a cui sono abituato fino al midollo, sanguinerei o morirei addirittura dissanguato e tu avresti tra le braccia un morto, oppure guarderei indietro con la coda dell' occhio a ciò che ho superato solo esteriormente.
Aspetta dunque finché non l'abbia gustato fino in fondo; quando poi avrò tra i denti il nocciolo vuoto, lo sputerò. Abbi pazienza finché l'onda che adesso mi porta in alto si abbassi o si svuota, finché il velo, che ora mi gioca leggero intorno al viso, si rompe, e il fondiglio dell'esistenza viene fuori.
Si dice infatti che tu vieni trovato a preferenza nella delusione, sul lato d'ombra della vita. Oggi vai via e picchia un'altra volta al prossimo giro, allora io sarò un po' più avanti. Non voglio dire di buttarmi via, non assolutamente; tirami sempre, ma tira piano, agganciami, se proprio, impercettibilmente, a quel modo che il tempo inavvertitamente ci cambia da ragazzi in uomini e vecchi. Prendimi come per gioco in braccio, come una madre leva dalla culla il suo bambino che dorme.
E se deve proprio accadere che soffra il dolore della separazione, allora vorrei ancora suggerirti, farti ancora questa confessione: che tu mi puoi prendere sempre domani se solo mi concedi l'oggi.
Sono addirittura pronto a prendere su di me la tua croce, a fare la tua via crucis stazione per stazione fino al sacrificio totale, fino alla morte definitiva. Ma a una condizione: domani. Voglio anche tapparmi l'orecchiò, lo voglio già oggi, in mezzo al piacere, già ci penso e me lo tengo chiaro davanti agli occhi: domani ti seguirò. Come il condannato ad ogni boccone del suo ultimo pranzo pensa a domani, così io penso a te, con il proposito di darmi a te. Ma domani, domani, non oggi. HANS URS VON BALTHASAR IL CUORE DEL MONDO

martedì 16 aprile 2013

Così abbiamo disimparato la vigilanza, la vista sveglia.

Spesso usiamo la religione per non sentire la voce di Dio, e questa sordità non ci aiuta a vivere pienamente la nostra vita. Ci accontentiamo della nostra buona coscienza e delle sufficienti pratiche religiose per soffocare la voce della verità.
Io ho, io ho...
Muri ho innalzato contro Dio con la mia religione.
Mi sono otturato le orecchie nei riguardi della voce di Dio con la mia pratica.
Piano piano, inavvertitamente tutto ciò che la mia vita sarebbe potuta essere è diventato un meccanismo, dietro al quale la mia anima si è messa a riposo.
La vita è così lunga, la continua ripetizione dell'identico così addormentante; chi abita presso la cascata non sente più, dopo una settimana, il rumore dell'acqua.
Così abbiamo disimparato la vigilanza, la vista sveglia.
Le sfere cantano, ma noi sentiamo ormai solo noi stessi e la cantilena dei nostri interessi.
Fessure vengono otturate sempre più spesso,
la voce divina viene sempre più ovviamente soffocata, murata, demolita nel sistema autonomo della nostra vita.
Come all'uccello in gabbia, che di notte viene coperto, si permette di giorno il suo trillo, così io mi mostro incline a concedermi di tempo in tempo un lampo di parola di Dio.
Nella forma di una predica, di un'ora biblica, o anche di una audizione della Passione secondo Matteo, di una poesia di Rilke, di un vago sacro sentimento davanti a un paesaggio.
Le ore solenni della vita, avviluppate nel suo confort (è stato pagato a caro prezzo) sono sufficienti per il mio bisogno religioso, che comunque è spento al punto che non ho più bisogno di coprire la gabbia. Sotto il peso della mia buona coscienza, dentro il largo ripostiglio del mio buon cuore, la voce della verità è stata soffocata.
Da troppo tempo è ammutolita.
HANS URS VON BALTHASAR IL CUORE DEL MONDO

lunedì 15 aprile 2013

senza il desiderio di imparare, la direzione spirituale viene facilmente vissuta come un’oppressione

 Il ruolo del discepolo è di guardare dentro di sé confidando che Dio è presente e operante in lui anche prima che egli cerchi aiuto.
Nouwen osserva che «spesso siamo inquieti
 alla ricerca di risposte,
 andando di porta in porta,
 da un libro all’altro,
 o da una chiesa all'altra,
 senza avere realmente ascoltato con cura e attentamente le domande interiori».
Il discepolo deve sapere che la direzione spirituale significa
aprire la porta alla possibilità di una crescita spirituale,
riconoscendo che
 «Dio non risolve i nostri problemi o risponde a tutte le nostre domande, ma ci porta più vicino al mistero della nostra esistenza in cui tutte le domande terminano».

Nonostante ciò, Nouwen osserva che in questo mondo di cambiamenti e di ambiguità, tutti noi qualche volta abbiamo bisogno di una persona che possa essere come un punto di riferimento attraverso il quale si può trovare luce per le nostre anime.
 «Abbiamo bisogno anche di guide: amici spirituali, un direttore spirituale, o un gruppo di accompagnamento spirituale che può funzionare per noi come un luogo sicuro per supportare le nostre anime».
 Nouwen osserva che
 «abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a distinguere tra la voce di Dio e tutte le altre voci provenienti dalla nostra confusione o da poteri oscuri al di là del nostro controllo.
 Abbiamo bisogno di qualcuno che ci incoraggi quando siamo tentati di lasciar perdere tutto, di dimenticare tutto e di andare improvvisamente via per la disperazione.
 Abbiamo bisogno di qualcuno che ci metta in guardia quando ci muoviamo troppo avventatamente in direzioni poco chiare o quando per orgoglio corriamo verso un obiettivo nebuloso.
 Abbiamo bisogno di qualcuno che ci possa suggerire quando dobbiamo leggere e quando dobbiamo tacere, su quali parole riflettere e su cosa dobbiamo fare nel caso in cui il silenzio crea molta paura e poca pace».

Definendo la direzione Nouwen identifica il “discepolo” come «qualcuno spiritualmente in ricerca che trova una persona matura nella fede, disposta a pregare e a rispondere con saggezza e comprensione alle domande di lui o di lei su come vivere spiritualmente in un mondo di ambiguità e distrazione». Egli è una persona che ha bisogno di esplorare i suoi problemi, i suoi dubbi e le sue insicurezze per iniziare una vita nuova. La sua vita diventa una “domanda”. Egli cerca un direttore spirituale, perché ha una domanda urgente e bruciante che egli non può risolvere da solo. Pertanto, Nouwen rileva che la direzione spirituale esiste finché c'è una “domanda”. «Senza una domanda, una risposta è sentita come manipolazione o dominio. Senza una lotta, l’aiuto offerto viene considerato un’interferenza. E senza il desiderio di imparare, la direzione spirituale viene facilmente vissuta come un’oppressione».



domenica 14 aprile 2013

sotto uno strato di priorità apparenti, dobbiamo far brillare ciò che davvero esprime la nostra autenticità.


Mi sono chiesto da dove iniziare:  dalla consapevolezza che quello che sto facendo è quello che davvero voglio fare e che in questo cammino Dio mi è vicino (salmo 46)
Ecco un testo che parla della consapevolezza.

“Sai qual è il vantaggio di noi disabili?” Elda si protende dalla carrozzina, allunga la testa
quasi come se le parole le dovesse agguantare nell’aria. Prosegue. “Immagina che io voglia
invitarti a prendere un caffè.
Innanzitutto devo trovare qualcuno disposto ad accompagnarmi.
Poi occorre un bar senza troppi scalini e con la porta d’ingresso sufficientemente grande.
Alla fine proverò a pagare, ma sarà difficile perché quasi nessun bancone è agibile, per noi”.
E i vantaggi?
Il mio pensiero galleggia un secondo, il tempo che le serve per riprendere fiato:
“Ma lo sai qual è la vera differenza tra il mio e il tuo caffè? Che io lo voglio davvero. L’ho
scelto, mi sono dovuta impegnare per arrivare a prenderlo.
E tu?
Forse non ti sei neanche accorto di averlo bevuto”.
Ride Elda, e quel sorriso quasi beffardo è il recinto in cui va a chiudere il suo ragionamento:
“La disabilità non ti permette di coltivare desideri superficiali, né di fare le cose a caso.
Perché ogni cosa che fai costa impegno, fatica, coinvolge altre persone.
Allora
devi volerla, con tutta te stessa.
E questa consapevolezza ti permette di essere costantemente a contatto con i tuoi veri bisogni”.
Sei consapevole dell’ultimo caffè che hai preso?
Ci provoca la mia amica. E non è una questione di gusto:
è proprio un fatto di presenza, fisica, psichica, mentale.
C’eri o non c’eri davanti a quella tazzina?
Ti sei immerso in quel piccolo piacere, o te ne sei semplicemente liberato, come di mille altre cose che, durante la giornata, hai fatto senza farci caso.
Come se non fossero la tua vita.
La consapevolezza misura quanto, nelle nostre azioni, è davvero espressione dei nostri bisogni
più profondi. Perché, ci suggerisce Elda, ai fini del nostro star bene non conta tanto la quantità
di cose che riusciamo a fare, quanto il dar voce a ciò che davvero ci sta a cuore.
 ... Ma che fatica capire, ogni volta, aggrovigliati come siamo in un viluppo di bisogni e desideri: il posto sicuro, il successo, il guadagno, il ruolo sociale...
Tutto conta, nulla ci deve mancare, solo che per muovere contemporaneamente tutti i fili della
nostra vita, finiamo per smarrire quello che la sostiene davvero.
 ...Il cammino della consapevolezza parte da qui. Dal riconoscimento di ciò ‘di cui non possiamo
fare a meno’.
Comincia con un’azione di lucidatura: sotto uno strato di priorità apparenti, dobbiamo far brillare ciò che davvero esprime la nostra autenticità.
Perché quella è la scintilla che accende tutta la nostra vita.

Massimo Orlandi