sabato 27 aprile 2013

notte oscura dello spirito

Con la notte dello spirito 
invece ci si affranca dalle false certezze e dai falsi assoluti della propria intelligenza, 
affidandosi così totalmente e liberamente a Dio, 
attraverso l’esercizio delle virtù teologali, 
quali la fede e la speranza in Cristo, 
e la carità verso Dio e il prossimo. 
Si tratta del passaggio doloroso e lungo tanto che può durare tutta la vita 
dall’uomo “vecchio” all’uomo “nuovo”, 
da quello “terreno” a quello “spirituale”, 
da quello mosso dall’egoismo (la carne) a quello sospinto e motivato dallo Spirito, 
di cui parla San Paolo: un morire per rinascere in Cristo.
Il lavoro iniziale continua nel progressivo distacco dalle tradizionali facoltà psichiche.

PROFICIENTI
In questa fase intermedia, continua il lavoro iniziale, non libero ancora da un certo sforzo, che è considerato essenziale, perché la successiva unione perfetta potrà aver luogo soltanto a seconda della disposizione che l’anima si è conquistata. Ma viene ulteriormente specificato che tale disposizione non si acquista con la molteplicità delle meditazioni discorsive, di particolari pratiche, o di sensazioni piacevoli. Anche se “si ricevono comunicazioni sublimi come quelle degli angeli” l’unica cosa importante è la pratica di rinunciare a se stessi, cioè ai propri desideri egocentrici .
Ma, in particolare, la notte oscura (che qui assume il nome di notte oscura dello spirito) si manifesta in questa fase come un progressivo distacco da quelle che sono le tradizionali facoltà psichiche,
cioè
intelletto, memoria e volontà
(o, detto più modernamente,
pensiero, immaginazione e desiderio).

venerdì 26 aprile 2013

come Giovanni descrive questo stato

Ecco come Giovanni descrive la situazione dove si viene a trovare il principiante. Non ci deve distrarre il fatto che la filosofia e la psicologia descrivono queste situazioni mutuando il linguaggio del nostro santo. La nostra barra deve essere, come Lui dice, la fede e le verità da essa professate. 

Una maestra spirituale Zen ha ben colto in un suo libro  l’affinità della notte oscura cristiana con la pratica buddhista della progressiva attenzione alla delusione derivante da qualunque oggetto di desiderio, satori compreso.

Ma sentiamo come Giovanni descrive questo stato, riferendosi a chi ha cominciato a inoltrarsi nel percorso e ne ha già gustato qualche frutto: allora
il Signore ottenebra questa luce e chiude la porta, 
ed essi annegano in questa notte 
la quale li lascia tanto aridi che 
essi non trovano alcun gusto nelle cose spirituali e nelle devozioni in cui erano soliti trovare diletto e piacere, 
ma al contrario vi trovano disgusto e amarezza… 

Non si può dire con certezza quanto duri… 

Quelli che hanno più capacità e forza per soffrire, 
vengono purificati dal Signore con maggiore intensità e prontezza, 

coloro invece che sono molto fiacchi, 
vengono condotti per questa notte a lungo 
con grande condiscendenza e con tentazioni deboli, 
poiché il Signore concede loro ordinariamente qualche sollievo al senso 
affinchè non tornino indietro; così essi giungono tardi… 

e alcuni non arrivano mai. 
Costoro non stanno né dentro né fuori di questa notte… 

Si vede chiaramente che il disagio di costoro nasce dall’incapacità di sopportare nel modo giusto la durezza della notte. Perché l’alba finalmente si affacci non occorrono eroismi ascetici che, anzi, l’autore severamente condanna:
è da deplorarsi l’ignoranza 
di coloro i quali si caricano di penitenze straordinarie e di molti altri esercizi volontari, 
persuasi che ciò sia sufficiente per giungere all’unione con la sapienza divina.

Occorrerà invece sviluppare la capacità di contemplazione che, in modo apparentemente molto semplice, è descritta come un “rimanere quieti trascurando qualsiasi opera interiore ed esteriore e tenendo lontana ogni sollecitudine di fare qualche cosa” .
In realtà si tratta di un suggerimento molto tecnico, che viene spiegato come un cessare da ogni ‘meditazione’ di tipo discorsivo (come sarebbe p. es. riflettere su un passo della Scrittura o altri simili esercizi in cui è coinvolto il pensiero) e restare fermi su un oggetto singolo e specifico, che nella fattispecie è la sensazione della presenza di Dio.
Il modo da tenere nella notte del senso è che essi non si devono curare per niente di camminare servendosi del discorso e della “meditazione”, poiché ormai non ne è più il tempo… 
faranno molto se avranno pazienza e persevereranno nell’orazione senza far niente… 
lasciare libera l’anima, sgombra e aliena da ogni notizia e pensiero… contentandosi solo di avere un’avvertenza amorosa e tranquilla di Dio… 
La contemplazione infatti non è altro che un’infusione segreta, pacifica e amorosa di Dio .

giovedì 25 aprile 2013

è il luogo dove agisce la fede

E' importante precisare il termine per non portarci appresso uno stereotipo che pregiudica il nostro appendere e deforma le nostre intenzioni. 

Il termine notte oscura non è inventato da Giovanni, anche se è lui a fornirgli diffusione e fama, ma è ripreso dalla tradizione mistica, in particolare da Gregorio Nisseno, dallo Pseudo-Dionigi e da Taulero. Tuttavia fu Giovanni della Croce ad attribuirgli quel valore centrale che ne fa l’espressione sintetica dell’esperienza mistica.
Su di essa ci sono vari fraintendimenti
il più frequente dei quali è quello di identificare notte oscura con sofferenza e nient’altro, senza tener presente che l’espressione si riferisce invece a tutti i momenti dell’esperienza e quindi anche a quello culminante, quando diventa “notte pacifica, abissale e oscura intelligenza divina”, allorché l’anima si unisce a Dio “trasformata dall’amore”. 
Ma essa è notte, oltre tutto ciò, anche 
perché è il luogo dove agisce la fede, che procede nell’oscurità, cioè nella non conoscenza dell’obiettivo finale. 
Inoltre questa notte ha due modalità
che sono l’attiva e la passiva, 
la prima fatta di opportuni sforzi da parte dell’interessato
la seconda data per grazia. 
Si tratta dunque di una progressiva trasformazione, 
che è una purificazione del soggetto
il quale perde uno dopo l’altro i suoi attaccamenti ai sensi e alle facoltà psichiche (intelletto, immaginazione e desiderio). 
Questa trasformazione purificante è di notevole interesse psicologico, perché il suo punto di partenza, sul quale poi si basa tutto il successivo sviluppo, consiste nel pratico riconoscimento che ogni desiderio è ingannevole, nel senso che nemmeno il desiderio realizzato riesce mai ad essere completamene o definitivamente appagante. 
Il graduale raggiungimento di questa basilare convinzione (così contraria al comune sentire) determina quella che sopra chiamavamo ‘purificazione passiva’. Si tratta di un processo doloroso, in cui gli oggetti del desiderio perdono progressivamente significato, rivelando la loro sostanziale insoddisfacenza (è quello che nel buddhismo va sotto il nome di ‘prima nobile verità’ o riconoscimento di dukkha, la sofferenza universale). Dall’analisi accurata che l’autore fa di tutte le illusioni e gli errori in cui può cadere un principiante, si capisce che per Giovanni l’ultima illusione che deve cadere è quella che il cammino mistico possa diventare l’unico desiderio con promesse di appagamento, una volta che tutti gli altri si sono rivelati ingannevoli. 
Anch’esso, il fine spirituale, deve quindi diventare una notte oscura, pena la sua fallacia; anch’esso deve deludere e non dare quello che all’inizio si sperava che desse. E proprio questo è il momento cruciale che è l’inizio della catarsi, il vero principio di un mutamento di rotta salvifico, perché solo in esso può generarsi la convinzione che tutte le attese sono fallaci e che l’unica realtà è il presente così com’è, nella sua nuda semplicità tranquillamente accettata, cioè contemplata con un semplice sguardo fiducioso-amoroso. Nel momento della rinuncia a ogni vana speranza (una deleteria passione dell’anima la definisce Giovanni) si può gustare un’autentica pace, che sembra anche l’unica possibile, perché solo in essa si è finalmente in unità con la vita (e dunque con Dio).

mercoledì 24 aprile 2013

notte oscura.

Con la notte dei sensi (attraverso un duro ed esigente impegno ascetico) 
l’anima si libera dall’attaccamento disordinato catturante 
e spiritualmente paralizzante delle cose sensibili, 
dal modo di giudicare 
e di scegliere basati sul proprio egoismo 
e sul proprio interesse immediato, 
sull’utilitarismo quotidiano nei rapporti interpersonali, 
sulle comodità di ogni genere 
e sull’abbondanza superba e gaudente. 
L’uomo dei sensi e quello totalmente prigioniero 
di un’unica prospettiva, quella terrena, 
difficilmente capirà le esigenze di Dio e del Vangelo.

Coloro che intraprendono questo cammino tendono a sottovalutare le cose piccole perchè  non sono facilmente individuabili, ma sono sottili vincoli che impediscono di procedere. 
PRINCIPIANTI
Il primo sottile ostacolo con cui dovrà misurarsi un principiante riguarda non tanto i suoi difetti o le sue colpe più gravi, che si presumono rare e facilmente individuabili, quanto piuttosto le piccole distrazioni dal cammino che passano inosservate proprio perché abituali.
Tra queste Giovanni enumera
il parlar molto,
l’attaccamento alle persone,
al vestire,
alla residenza (la cella nel caso di un frate),
al mangiare,
alla curiosità di informarsi,
di udire, ecc.
Questi attaccamenti, in sé non gravi, fanno tuttavia sì che il discepolo non progredisca, ma anzi regredisca, 
perché perde progressivamente interesse per ‘le cose celesti’, ossia per l’unità con l’Assoluto.
Se invece l’interesse fondamentale si mantiene,
esso ha come conseguenza quella di introdurre il discepolo in una fase decisiva del percorso che Giovanni chiama, con un’espressione diventata famosa, notte oscura.

martedì 23 aprile 2013

la grande coppia mistica del Cinquecento spagnolo: il metodo che porta alla quiete interiore

Per Giovanni della Croce 
l’uomo è essenzialmente un essere in cammino, 
in perenne ricerca: di Dio naturalmente, essendo stato fatto da Lui e per Lui. 
Questo ritorno verso Dio egli lo immagina 
come la salita di una montagna, il Monte Carmelo, 
che rappresenta simbolicamente la vetta mistica, 
cioè Dio stesso nel suo amore e nella sua gloria. 
Per arrivare alla meta che è l’unione d’amore trasformante con Dio (o santità cristiana) 
l’uomo deve affrontare con coraggio e pazienza le due fasi o tappe, 
della educazione dei sensi (notte dei sensi) 
e del rinnovamento del proprio spirito (notte dello spirito) 
ambedue esperienze misteriose e dolorose di spoliazione interiore.

Iniziamo con il conoscere  due dei grandi autori che illumineranno il nostro cammino e ci serviamo di questa introduzione di FRANCO MICHELINI-TOCCI-
Quello che andremo a riflettere non dovrà pregiudicare ma dovrà spronare la lettura e la meditazione del testo di San Giovanni della Croce  Salita del Monte Carmelo

S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce formano la grande coppia mistica del Cinquecento spagnolo. Come la prima, anche il secondo sperimenta e insegna il metodo che porta alla quiete interiore e può essere considerato, in ambito cristiano, uno dei più grandi esperti di questa ricerca.

Giovanni fu conquistato dalla grande personalità di Teresa quando aveva appena 25 anni, allorché si entusiasmò alle sue grandi idee di riforma dell’ordine carmelitano, secondo un programma di rinnovamento spirituale. L’anno seguente, il 1568 (Teresa aveva allora 53 anni), egli la segue a Valladolid dove assiste alla fondazione delle Carmelitane Scalze e tale è il suo trasporto di discepolo che dopo pochi mesi riesce ad infondere lo stesso entusiasmo in un gruppo di compagni, coi quali fonda il primo convento dell’ordine maschile. Cinque anni dopo il loro primo incontro, è Teresa a farsi in un certo senso discepola di Giovanni, del quale riconosce l’alto valore spirituale. Ella lo nomina vicario del monastero dell’Incarnazione di cui è priora e lo sceglie come suo confessore. In seguito Giovanni subirà la persecuzione da parte dell’ordine non riformato, soffrirà la prigione per otto mesi durante i quali comincerà a comporre i suoi poemi spirituali, e dopo la fuga e la riconquistata libertà avrà anche un non lungo periodo di successo per l’azione di riformatore e per i ruoli di responsabilità assunti. Seguiranno poi nuove ostilità e persecuzioni, anche da parte dei confratelli da lui giudicati troppo severi nell’imporre regole alle Scalze, ostilità che lo accompagneranno fino alla morte prematura a 49 anni. Otto anni prima era morta Teresa.

I due grandi mistici carmelitani dominano l’ambiente spirituale del Cinquecento non soltanto in Spagna. Dopo di loro la storia della mistica cristiana entra in una fase nuova che si concluderà solo un secolo dopo con la condanna del quietismo da parte della Chiesa e la virtuale fine del misticismo cristiano, che solo di recente accenna ad una timida rinascita sotto l’influenza dell’Oriente, rinascita contrastata sì dalla Chiesa ma, almeno finora, con non troppa efficacia.

Le due grandi personalità carmelitane, pur essendo legate da un’intensa ed amorosa amicizia, erano molto diverse tra loro. Irruenta e passionale Teresa, dolce e delicato Giovanni, ma diversi anche nel modo di procedere lungo il cammino spirituale. Giovanni non si sofferma troppo sulle pratiche concentrativo-estatiche e anzi parla degli effetti di esse come di cose che riguardano i principianti e che scompaiono col progredire della pratica spirituale. In termini buddhisti si potrebbe dire che Teresa è soprattutto un’esperta di samatha (concentrazione pacificante), anche se di essa si serve per giungere al vertice dell’esperienza unitiva, e Giovanni, che pure parte da samatha, è invece un esperto di vipassana, cioè dell’intuizione della natura ultima dell’essere.

In una rapida esposizione dei suoi principali insegnamenti, seguiamo la tradizionale suddivisione, cara all’autore, nelle tre tappe rispettivamente dedicate ai principianti, ai proficienti e ai perfetti.

lunedì 22 aprile 2013

Ragazzo, non scordare la preghiera. Nella tua preghiera, se è sincera, trasparirà ogni volta un nuovo sentimento e una nuova idea

Ripetiamo e ricordiamo la prima parte della preghiera.
Dostoevskij, ci ha dato nello stesso libro una commovente descrizione della preghiera di intercessione. Lo staretz Zosima dice a un giovane: «Ragazzo, non scordare la preghiera. Nella tua preghiera, se è sincera, trasparirà ogni volta un nuovo sentimento e una nuova idea che prima ignoravi e che ti ridarà coraggio; e comprenderai che la preghiera educa.
  Rammenta poi di ripetere dentro di te, ogni giorno, anzi ogni volta che puoi: 'Signore, abbi pietà di tutti coloro che oggi sono comparsi dinanzi a te'. Poiché a ogni ora, a ogni istante migliaia di uomini abbandonano la loro vita su questa Terra e le loro anime si presentano al cospetto del Signore e quanti di loro lasciano la Terra in solitudine, senza che lo si venga a sapere, perché nessuno li piange né sa neppure se abbiano mai vissuto. Ma ecco che forse, dall’estremo opposto della Terra, si leva allora la tua preghiera al Signore per l’anima di questo morente, benché tu non lo conosca affatto né lui abbia conosciuto te.
  Come si commuoverà la sua anima, quando comparirà timorosa dinanzi al Signore, nel sentire in quell’istante che vi è qualcuno che prega anche per lei, che sulla Terra è rimasto un essere umano che ama pure lei.
  E lo sguardo di Dio sarà più benevolo verso entrambi, poiché se tu hai avuto tanta pietà di quell’uomo, quanto più ne avrà Lui, che ha infinitamente più misericordia e più amore di te. Egli perdonerà grazie a te».

domenica 21 aprile 2013

noi potremo capire quanto tutto è stato tessuto e tenuto insieme dal Signore di tutti e che noi abbiamo formato insieme un grande web di relazioni reciproche

So che questo post, tratto da uno degli ultimi scritti di Martini, meriterebbe essere digerito lentamente ma la l'ordito intessuto dal Cardinale ne esalterà la ricchezza e la complessità. Una volta finito e la nostra riflessione lo gusterà nel suo insieme, come si fa un un grande arazzo, quando allontanandoci troviamo il senso  di quei fili e colori che si incrociano.
Una rete di relazioni
 Parto dallo scritto di una giovane ragazza ebrea, Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943 all’età di ventinove anni. All’inizio degli orrori della Shoah, quando ormai regnava confusione e terrore fra gli Ebrei in Olanda riguardo alla loro sorte, il giorno 11 di luglio del 1942 (quel giorno era Shabbat), ella scrisse nel suo Diario: «Se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio». E il giorno successivo, di domenica, ella scrive una lunga preghiera nel suo diario, oltre ad altri pensieri: «Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dovere aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi... Sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita… E quasi ad ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi».
  Etty Hillesum scrisse questa pagina quando viveva il difficile passaggio dall’ateismo alla fede e scopriva a poco a poco lo sconosciuto volto di Dio. Ma queste parole, che possono creare sospetto alle menti formate in teologia, contengono una grande verità: Dio vuole farci attenti al nostro prossimo. Dio vuole non solo chiamarci alla solidarietà, la quale è definita come «un accordo generale tra tutte le persone di un gruppo o tra gruppi differenti poiché hanno un comune scopo» (cf. Longman, Dictionary of Contemporary English). Dio vuole molto più di questo, egli desidera un reale interessarsi degli uni per gli altri, un aversi a cuore, ad immagine della cura di Dio per ognuno di noi. Egli è sempre pronto a porre ad ognuno di noi il primordiale interrogativo che fu posto a Caino: «Dov’è tuo fratello Abele?» (Gen 4,9).
  Per questo il Signore spesso non mostra il suo volto, ma splende nell’aiuto dato ad un altro. Ciò è chiaramente espresso nella parabola dell’ultimo giudizio, nel vangelo di Matteo (25,31.46), dove il Signore dice a quelli che hanno aiutato il prossimo: «Tu l’hai fatto a me» (25,40). Egli è presente in ogni opera amorevole, in tutti i gesti di perdono, nell’impegno di coloro che lottano contro la violenza, l’odio, la carestia, la sofferenza e via di seguito.
  Come dice Sant’Agostino: «Non rattristatevi o lamentatevi perché nasceste in un tempo dove non potete più vedere Dio nella carne.
  Egli infatti non ti tolse questo privilegio.
  Come egli dice: Qualunque cosa voi fate ai miei fratelli, l’avete fatta a me».
  Coloro che hanno il dono dell’intercessione vedono la luce di Dio nel volto di ogni essere umano. In altre parole noi possiamo dire che costoro considerano il mondo come una grande rete di relazioni (nel linguaggio dei computers il web), dove ciascuno è dipendente dagli altri.
  Tutto ciò è espresso con forza nelle parole dello staretz Zosima, una delle figure chiave del capolavoro di Dostoevskij, I fratelli Karamazov. Queste sono le parole di padre Zosima: «Amate il popolo di Dio. Noi non siamo più santi della gente del mondo perché siamo venuti qui e ci siamo chiusi fra queste mura, ma anzi chiunque è venuto qui, già per il fatto di esserci venuto, ha riconosciuto in se stesso di essere peggiore della gente del mondo e di ogni uomo sulla Terra… E quanto più a lungo vivrà un monaco fra le sue quattro mura, tanto più profondamente dovrà rendersene conto.
  Poiché in caso contrario non valeva la pena che venisse quaggiù. Ma quando riconoscerà non solo di essere peggiore di tutta la gente del mondo, ma anche di essere colpevole di fronte a tutti gli uomini, sulla Terra intera, di tutti i peccati universali e individuali, solo allora sarà raggiunto il fine della nostra unione.
  Giacché sappiate, miei cari, che ciascuno di noi è colpevole di tutto e per tutti sulla Terra, questo è indubbio, non solo a causa della colpa comune originaria, ma ciascuno individualmente, per tutti gli uomini e per ogni uomo sulla Terra. Questa consapevolezza è il coronamento della vita di un monaco e anzi di ogni uomo sulla Terra. Poiché i monaci non sono uomini diversi dagli altri, ma sono soltanto come dovrebbero essere tutti sulla Terra.
  Unicamente allora il nostro cuore si abbandonerà a un amore infinito, universale, che non conosca mai appagamento. Allora ciascuno di noi avrà la forza di conquistare con il suo amore il mondo intero e di purificare con le proprie lacrime tutti i peccati…».
  Ed egli così conclude: «Non siate superbi.
  Non siate superbi con i piccoli, non siate superbi nemmeno con i grandi. Non odiate chi vi respinge e disonora, chi vi ingiuria e calunnia. Non odiate gli atei, né i cattivi maestri e i materialisti, neppure i malvagi fra loro – per non parlare dei buoni giacché ve ne sono molti di buoni, specialmente ai nostri tempi. Ricordateli così nella vostra preghiera: 'Salva, o Signore, tutti coloro per i quali nessuno prega, salva anche quelli che non ti vogliono pregare'. E aggiungete anche: 'Non per orgoglio ti prego, o Signore, perché anch’io sono un vile peggio di tutto e di tutti…'».
  Certamente questa interdipendenza, questa profonda e necessaria interconnessione, per cui ognuno di noi è vincolato a tutti gli altri, è una profondo mistero spirituale, che sarà manifestato nella sua pienezza nell’ultimo giorno, quando la realtà di questo mondo sarà resa chiara a tutte le nazioni; quando – ricordando le parole del profeta Isaia – il Signore «distruggerà su questo monte il velo posto sulla faccia di tutti i popoli» (Is 25,7), allora noi potremo capire quanto tutto è stato tessuto e tenuto insieme dal Signore di tutti e che noi abbiamo formato insieme un grande web di relazioni reciproche.
  Oggi noi siamo chiamati a riconoscere poco alla volta questa mutua appartenenza, che caratterizza tutti i nostri atti, secondo il comandamento: «Tu amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lev 19,18). Noi siamo chiamati ad osservare questo comandamento non solo attraverso le nostre azioni, ma anche nella preghiera di intercessione.
Carlo Maria Martini