venerdì 31 gennaio 2014

è prudente intestare subito a Dio e al bene l'assegno che abbiamo ora tra le mani perché - come diceva un altro francese, il poeta Lamartine - «l'uomo non ha porto, il tempo non ha riva: esso scorre e noi passiamo!».


Assegni in bianco
I giorni della nostra vita sono come un blocchetto di assegni in bianco. 
Li puoi spendere come vuoi, ma l'ultimo devi riservarlo a Lui. 
«Tutti i giorni vanno verso la morte, l'ultimo vi arriva», 
ammoniva nei suoi Saggi il pensatore francese Montaigne. 
È un'altra francese, di origine ebrea, Simone Weil, 
a rileggere quel monito in chiave spirituale nella frase sopra citata tratta dal suo libro L'ombra e la grazia. 
I giorni di questo 2011 stanno lentamente colando verso la loro fine: 
abbiamo avuto tra le mani un assegno in bianco e ciascuno di noi, 
nell'intimità della sua coscienza, 
può dire se l'ha investito, 
se l'ha lasciato in un cassetto a impolverarsi, 
se l'ha strappato o macchiato rendendolo invalido. 
Ma soprattutto - 
continua la Weil, donna di straordinaria intelligenza e intensa spiritualità, 
morta a soli 34 anni nel 1943 - 
c'è un ultimo assegno che si deve intestare a Dio. 
È quello del bilancio della propria esistenza che, se si vuole, può diventare una metafora della conversione. 
Durante la vita abbiamo avuto 
una disponibilità di intelligenza, 
tesori di amore, 
fondi di beni materiali, 
depositi di sentimenti, 
ricchezze di amicizie 
e forse abbiamo sprecato e dissipato tale patrimonio, 
sacrificandolo all'egoismo, 
dissolvendolo nelle banalità, 
riservandolo a persone sbagliate. 
È, questo, il rischio intrinseco alla nostra libertà. 
Ma questa stessa libertà può farci decidere di impiegare bene l'ultimo assegno. 
Noi, però, non sappiamo quale sia: 
potrebbe essere quello datato 2012 o molto più il là nel tempo. 
Per questo, allora, 
è prudente intestare subito a Dio e al bene 
l'assegno che abbiamo ora tra le mani 
perché - come diceva un altro francese, il poeta Lamartine - 
«l'uomo non ha porto, 
il tempo non ha riva: 
esso scorre 
e noi passiamo!».
Gianfranco Ravasi