domenica 11 maggio 2014

chi o che cosa è pastore della mia vita? Chi la conduce e dove mi conduce? Non scherziamo su questo - please - si tratta della nostra felicità!

Il Signore è il mio Pastore: non manco di nulla
Gv 10,1-10

Medita
(don Paolo Curtaz)
Pasqua:
cinquanta giorni per accorgerci della resurrezione del Maestro.
Tranquilli:
anche per gli apostoli è stata dura;
siamo così abituati a fermarci al venerdì santo (ricordate i discepoli di Emmaus?)
da avere bisogno di tempo per accorgerci che il Signore è vivo.
Anche noi rischiamo di andare al sepolcro per imbalsamare Dio,
e abbiamo bisogno di molta fede per riconoscerlo nello spezzare il pane.
Alla luce della Pasqua gli apostoli rileggono le parole del Maestro,
che ora hanno un significato inatteso e luminoso:
il Signore si presenta come un buon Pastore,
che conosce e ama le sue pecore,
le chiama ad una ad una e
le pecore lo riconoscono e lo seguono.
Non un pastore qualunque, né un imprenditore agricolo che tiene gli animali chiusi in stalla in allevamento intensivo o cose del genere, no:
un pastore buono, cioè efficace.
Gesù insiste: egli vuole dare la vita in abbondanza.
Gli altri pastori, in realtà, non vengono riconosciuti, le pecore diffidano della loro voce.
I discepoli, sul momento, non capiscono:
Gesù dice di essere una porta d'ingresso, attraverso di lui si arriva alla felicità.
Che bello, amici!
Prendiamo sul serio questa Parola.
Cominciamo dalle note dolenti:
chi o che cosa è pastore della mia vita?
Chi la conduce e dove mi conduce?
Non scherziamo su questo - please - si tratta della nostra felicità!
Subito, credo, viene da rispondere:
"io non ho pastori, me la cavo da solo, sono libero e adulto..."
Andiamo!
Pastore può essere
la mia carriera professionale,
il giudizio degli altri,
i miei appetiti,
i miei sentimenti...
se guardiamo bene scopriamo che
dietro ogni nostra azione esiste qualcosa o qualcuno che ci ispira.
Spesso, troppo spesso, siamo condotti dai bisogni suscitati dal mercato:
cerco di apparire più piacevole,
di essere più alla moda,
di farmi accettare.
E' normale, in parte giusto.

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