CARLO MARIA MARTINI
Riflessione di fine anno
Chiedere perdono è difficile
e nel farlo pubblicamente
si rischia di cadere nella retorica.
E tuttavia vi sono momenti nei quali non posso
non riconoscermi nel senso di fatica e di frustrazione di Pietro
che dice:
“Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5,5)
ed esclama:
“Signore, allontanati da me che sono un peccatore!” (Lc 5,8).
Mi pare di avere compreso che
il Signore ci mette in posizioni di responsabilità
anche perché sperimentiamo ripetutamente
che, per quanto riguarda noi,
siamo immensamente
fragili, poveri e inadeguati.
Si giunge ad esclamare con sorpresa:
non pensavo di essere così debole!
Si ha davvero l’impressione
che il Signore
ci spogli,
ci purifichi,
ci strizzi e
ci sbatta come un panno da lavare
affinché ci rendiamo conto che
“da noi stessi siamo incapaci di pensare qualcosa come proveniente da noi”
e che “la nostra capacità viene da Dio” (cfr. 2 Cor 3,5).
Pesano su di noi non solo le mancanze e i peccati personali
ma anche le omissioni di fronte alle molte cose che urgono e
soprattutto quell’assillo quotidiano (cfr. 2 Cor 11,28s),
quella responsabilità per il cammino della Chiesa
che ci fa interrogare con ansia:
ma ciò che stiamo facendo,
ciò che sto proponendo è davvero secondo il Vangelo?
Non stiamo per caso tradendo il mandato di Gesù?
sabato 31 dicembre 2016
venerdì 30 dicembre 2016
se tu sei amato e voluto bene, troverai sempre una via d'uscita.
Non sono le condizioni economiche
o l'assenza di problemi a rendere
una famiglia una buona famiglia.
La forza di una famiglia risiede nelle relazioni.
Quando le relazioni sono buone,
tu puoi affrontare tutto,
anche la povertà,
anche Erode,
anche un viaggio della speranza.
Gesù nasce povero, ma
ha tutto il necessario per poter vivere,
ha Giuseppe e ha Maria.
È povero di cose,
ma non contano le cose,
infatti magari noi abbiamo tante cose
ma non abbiamo relazioni affidabili
che ci aiutino ad affrontare senza angoscia
la vita con i suoi Erode.
Dovremmo desiderare più "famiglia"
e meno morte di Erode,
perché morto un Erode ne nasce un altro,
ma se tu sei amato e voluto bene,
troverai sempre una via d'uscita.
Ma se tu non ti senti amato e voluto,
nemmeno la morte di Erode placherà la tua rabbia,
anzi lo rimpiangerai,
almeno avevi qualcuno con cui prendertela.
dalvangelodioggi
Luigi Maria Epicoco
o l'assenza di problemi a rendere
una famiglia una buona famiglia.
La forza di una famiglia risiede nelle relazioni.
Quando le relazioni sono buone,
tu puoi affrontare tutto,
anche la povertà,
anche Erode,
anche un viaggio della speranza.
Gesù nasce povero, ma
ha tutto il necessario per poter vivere,
ha Giuseppe e ha Maria.
È povero di cose,
ma non contano le cose,
infatti magari noi abbiamo tante cose
ma non abbiamo relazioni affidabili
che ci aiutino ad affrontare senza angoscia
la vita con i suoi Erode.
Dovremmo desiderare più "famiglia"
e meno morte di Erode,
perché morto un Erode ne nasce un altro,
ma se tu sei amato e voluto bene,
troverai sempre una via d'uscita.
Ma se tu non ti senti amato e voluto,
nemmeno la morte di Erode placherà la tua rabbia,
anzi lo rimpiangerai,
almeno avevi qualcuno con cui prendertela.
dalvangelodioggi
Luigi Maria Epicoco
giovedì 29 dicembre 2016
è la titanica fatica di star fermi
Non tutte le cose vanno aggiustate.
C'è una bellezza nascosta nelle pieghe dell'imperfezione.
Ma
ci vuole
un immenso rispetto e
una grande capacità di saper guardare
per accorgersi di tutto questo.
La contemplazione non è
un atteggiamento passivo,
è la titanica fatica di star fermi
affinché ci si accorga
del segreto
delle cose e ...
delle persone.
Luigi Maria Epicoco
C'è una bellezza nascosta nelle pieghe dell'imperfezione.
Ma
ci vuole
un immenso rispetto e
una grande capacità di saper guardare
per accorgersi di tutto questo.
La contemplazione non è
un atteggiamento passivo,
è la titanica fatica di star fermi
affinché ci si accorga
del segreto
delle cose e ...
delle persone.
Luigi Maria Epicoco
mercoledì 28 dicembre 2016
se non attendere
“Se noi acconsentiamo,
Dio depone in noi
un piccolo seme
e
se ne va.
Da quel momento,
a Dio
non resta altro da fare,
e a noi nemmeno,
se non attendere.
Dobbiamo soltanto non rimpiangere
il consenso che abbiamo accordato,
il sì nuziale.
Non è facile come sembra,
perché la crescita del seme,
in noi,
è dolorosa"
Simone Weil, Attesa di Dio
Dio depone in noi
un piccolo seme
e
se ne va.
Da quel momento,
a Dio
non resta altro da fare,
e a noi nemmeno,
se non attendere.
Dobbiamo soltanto non rimpiangere
il consenso che abbiamo accordato,
il sì nuziale.
Non è facile come sembra,
perché la crescita del seme,
in noi,
è dolorosa"
Simone Weil, Attesa di Dio
martedì 27 dicembre 2016
i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze.
Poiché i versi non sono, come crede la gente,
sentimenti (che si hanno già presto),
sono esperienze.
Per un solo verso si devono vedere molte città,
uomini e cose, si devono conoscere gli animali,
si deve sentire come gli uccelli volano,
e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino.
Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute,
a incontri inaspettati
e a separazioni che si videro venire da lontano,
a giorni d’infanzia che sono ancora inesplicati,
ai genitori che eravamo costretti a mortificare
quando ci porgevano una gioia e non la capivamo,
a malattie dell’infanzia che cominciavano in modo così strano
con tante trasformazioni così profonde e gravi,
a giorni in camere silenziose, raccolte,
e a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio
che passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle,
e non basta ancora poter pensare a tutto ciò.
Si devono avere ricordi di molte notti d’amore,
nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti,
e di lievi, bianche puerpere addormentate che si schiudono.
Ma anche presso i moribondi si deve essere stati,
si deve essere rimasti presso i morti
nella camera con la finestra aperta
e i rumori che giungono a folate.
E anche avere ricordi non basta.
Si deve poterli dimenticare, quando sono molti,
e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino.
Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono.
Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto,
senza nome e non più scindibili da noi,
solo allora può darsi che in una rarissima ora
sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.
Rainer Maria Rilke, Praga, 4 12 1875 – Montreux, 29 12 1926
da “I Quaderni di Malte Laurids Brigge”
lunedì 26 dicembre 2016
Questa notte voglio solamente dire grazie.
Questa notte non leggerò
nessuna delle mie poesie.
Questa notte voglio solamente dire grazie.
Grazie alla poesia e a una brigata di poeti.
Alla stessa Poesia perché mi ha dato
un’altra voce,
un’altra voce con la quale posso parlare
con gli alberi e le pietre e gli uccelli.
Voglio dire grazie al poeta azteco
Ayocuán Cuetzpaltzin
per la sua vasta conoscenza del cuore umano.
A San Juan de la Cruz
per i suoi consigli su come fare l’amore
con la mia anima.
E grazie a Dante Alighieri e a Arthur Rimbaud per
darmi così tanti buoni consigli su come entrare e uscire
dagli inferni.
Alla poesia per darmi mani
con le quali poter salutare il vento e toccare
il volto dei miei cari morti.
A Walt Whitman e Federico García Lorca
per la profonda risonanza del loro canto e per
quanto il secondo amò il primo.
A Vicente Huidobro e Nicanor Parra per
aver rimosso la maschera tanto solenne che Pablo
Neruda aveva dato alla poesia. E perché il primo mi
insegnò a cadere dal basso verso l’alto.
Grazie a Jorge Luis Borges perché
nella sua nobile cecità confuse
il paradiso con la biblioteca.
E grazie a César Vallejo per tutta la tristezza
e tutte le sue solitudini e tutta la sua bravura di poeta.
Mario Licón Cabrera (Nuevo Casas Grandes, Chihuahua, Messico, 1949)
da La reverberación de la ceniza,
nessuna delle mie poesie.
Questa notte voglio solamente dire grazie.
Grazie alla poesia e a una brigata di poeti.
Alla stessa Poesia perché mi ha dato
un’altra voce,
un’altra voce con la quale posso parlare
con gli alberi e le pietre e gli uccelli.
Voglio dire grazie al poeta azteco
Ayocuán Cuetzpaltzin
per la sua vasta conoscenza del cuore umano.
A San Juan de la Cruz
per i suoi consigli su come fare l’amore
con la mia anima.
E grazie a Dante Alighieri e a Arthur Rimbaud per
darmi così tanti buoni consigli su come entrare e uscire
dagli inferni.
Alla poesia per darmi mani
con le quali poter salutare il vento e toccare
il volto dei miei cari morti.
A Walt Whitman e Federico García Lorca
per la profonda risonanza del loro canto e per
quanto il secondo amò il primo.
A Vicente Huidobro e Nicanor Parra per
aver rimosso la maschera tanto solenne che Pablo
Neruda aveva dato alla poesia. E perché il primo mi
insegnò a cadere dal basso verso l’alto.
Grazie a Jorge Luis Borges perché
nella sua nobile cecità confuse
il paradiso con la biblioteca.
E grazie a César Vallejo per tutta la tristezza
e tutte le sue solitudini e tutta la sua bravura di poeta.
Mario Licón Cabrera (Nuevo Casas Grandes, Chihuahua, Messico, 1949)
da La reverberación de la ceniza,
domenica 25 dicembre 2016
dentro di me cammina un bambino
Parlo con l’uomo che sta sempre con me,
sentenziò Machado,
e dentro di me cammina un bambino
che esplora i colori del mondo.
Lui è il personaggio ed io la trama.
Nella sua immaginazione vedo gli eroi
che sognò nei miei passi.
Dennis Ávila, Honduras 1981
sentenziò Machado,
e dentro di me cammina un bambino
che esplora i colori del mondo.
Lui è il personaggio ed io la trama.
Nella sua immaginazione vedo gli eroi
che sognò nei miei passi.
Dennis Ávila, Honduras 1981
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