sabato 28 dicembre 2013

potremmo ripensare a come molte tradizioni si sono formate nel corso della storia, in un intreccio fecondo tra fede e cultura


In questo tempo ritrovato che le feste ci offrono, 
potremmo ripensare 
a come molte tradizioni si sono formate nel corso della storia, 
in un intreccio fecondo tra fede e cultura. 
Così, 
per esempio, i cristiani delle primissime generazioni 
seppero unire la loro fede in Gesù, luce del mondo, 
alla celebrazione del «sole invitto» nel solstizio invernale; 
così 
san Francesco riuscì a calare 
nella realtà contadina dell’Italia medievale 
l’atmosfera del presepe che richiamava 
quanto accaduto nella campagna di Betlemme milleduecento anni prima; 
così, 
per venire a tempi più vicini a noi, 
la figura di san Nicola trapiantata da Mira 
ai paesi nordici è scesa di nuovo fino in riva al Mediterraneo 
per affiancarsi a «Gesù bambino» nel colorare 
con la gioia del dono fatto e ricevuto la notte di Natale. 
E che 
dire dell’albero adorno di luci e addobbi, 
un tempo sconosciuto nei paesi della cattolicità latina? 
E a quando 
risale la lieta tradizione del pasto di festa 
che riunisce le persone che si amano 
e che vogliono vivere per una volta 
in una dimensione dilatata e gioiosa 
l’evento quotidiano della convivialità a tavola?

Enzo Bianchi
Da La Stampa, 24 dicembre 2010

venerdì 27 dicembre 2013

opportunità per un serio ripensamento della propria fede - o non fede - e del suo modo di esprimersi anche pubblicamente in una società ormai multiculturale


Verrebbe da chiedersi se queste tensioni e contraddizioni 
non possano essere colte 
come opportunità 
per un serio ripensamento della propria fede - o non fede - 
e del suo modo di esprimersi anche pubblicamente 
in una società ormai multiculturale: 
il fatto che determinate tradizioni natalizie non siano più accolte 
come scontate da tutti 
potrebbe essere un’ottima occasione per una purificazione 
del modo che i cristiani hanno di vivere la propria fede 
e di testimoniarla nella compagnia degli uomini. 

Siamo così sicuri 
che gli aspetti ritenuti più ovvi e caratteristici delle festività natalizie 
abbiano davvero a che fare con la fede in Gesù, 
nato da Maria, 
venuto nel mondo per narrare a tutti il volto misericordioso di Dio? 
Pensiamo realmente 
che la presenza di giovanotti bardati 
da vecchi bonaccioni nei centri commerciali 
rimandi al mistero della notte di Betlemme? 
O che dei buffi pupazzi 
che si arrampicano sui nostri balconi 
o si calano dai camini in concorrenza 
con streghe a cavallo di una scopa rievochino 
l’annuncio di «una grande gioia per tutto il popolo» 
o «la pace in terra per gli uomini di buona volontà»? 
E che coerenza mostra chi difende accanitamente la recita scolastica 
con melodiosi canti natalizi facendone un evento irrinunciabile per il proprio figlio 
e poi non si pone nemmeno il problema 
di una sua partecipazione alla messa di mezzanotte o del giorno di Natale?

Enzo Bianchi
Da La Stampa, 24 dicembre 2010

giovedì 26 dicembre 2013

vengono improvvidamente cancellate per un malinteso senso di rispetto delle altre tradizioni religiose



Da qualche anno, 
interrogativi inediti 
hanno comunque iniziato ad aleggiare 
sul Natale e sul modo di celebrarlo. 

Da un lato 
si è accentuata sempre di più 
la dimensione commerciale delle «festività di fine anno», 
che non a caso hanno assunto anche nella terminologia 
una dimensione slegata dall’evento della nascita di Gesù: 
ormai pochi, anche tra i cristiani, 
rammentano e testimoniano nei fatti che il mese precedente il Natale 
è il tempo dell’Avvento, 
cioè dell’attesa del ritorno del Signore, 
e si interrogano sulla coerenza di certi comportamenti 
con il messaggio cristiano. 
D’altro canto, 
assistiamo a curiose e a volte aspre polemiche 
circa l’opportunità o meno di celebrare in spazi laici e pubblici 
- in primis nelle scuole materne ed elementari - 
cerimonie «natalizie»: 
recite, canzoni, mostre di disegni, feste rievocative 
vengono improvvidamente cancellate 
per un malinteso senso di rispetto delle altre tradizioni religiose 
oppure enfatizzate e promosse per brandire un’identità «contro» l’altro.

Enzo Bianchi
Da La Stampa, 24 dicembre 2010

mercoledì 25 dicembre 2013

questa ripetizione può anche generare noia e fastidio se ciò che si ripete manca di senso


 Natale ritorna. 
Ritorna con la sua luce anche in questi giorni 
che sono segnati dalle notti più lunghe dell’anno. 
Ritorna annunciato da milioni di piccole luci 
che sembrano voler ornare le nostre città e le nostre case. 
Ritorna nei giorni più freddi e questo suo ritorno annuale, 
questa ripetizione può anche generare noia e fastidio 
se ciò che si ripete manca di senso, 
non accende un certo stupore, 
non apre alla speranza.

Enzo Bianchi
Da La Stampa, 24 dicembre 2010

martedì 24 dicembre 2013

E’ un amore che attende, un amore che non cerca il controllo.


L'autore » Henri. J.M. Nouwen, scritti vari

La gloria di Dio e la nostra vita nuova

La risurrezione non è semplicemente la vita dopo la morte. Prima di tutto, è la vita che sgorga nella passione di Gesù, nel suo attendere. Il racconto dei patimenti di Gesù rivela che la risurrezione ha inizio anche nel mezzo della passione. Una folla guidata da Giuda venne al Getsemani. “Gesù allora... si fece innanzi e disse loro: ‘Chi cercate?’. Risposero: ‘Gesù, il Nazareno’. Disse loro Gesù: ‘Sono io!’... Appena disse: ‘Sono io’, indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: ‘Chi cercate?’. Risposero: ‘Gesù, il Nazareno’. Gesù replicò: ‘Vi ho detto che sono io: Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano’” (Gv 18,4-8).
Proprio quando Gesù è consegnato alla sua passione, egli manifesta la sua gloria. “Chi cercate?... Sono io!”, sono le parole che rimandano completamente a Mosè e al roveto ardente: “Io sono colui che sono” (cfr. Es 3,1-6). Nel Getsernani la gloria di Dio si manifestò ed essi caddero distesi per terra. Allora Gesù fu consegnato. Ma già nel suo essere consegnato vediamo la gloria di Dio che si consegna a noi. La gloria di Dio rivelata in Gesù abbraccia la passione così come la risurrezione.
“E come Mosè innalzò il serpente nel deserto”, dice Gesù, ”così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15).
Egli è innalzato come una vittima passiva, così la croce è un segno di desolazione. Egli è innalzato nella gloria, così la croce diventa nello stesso tempo un segno di speranza. Improvvisamente ci rendiamo conto che la gloria di Dio, la divinità di Dio, esplode nella passione di Gesù precisamente nel momento dell’estremo sacrificio. Così la vita nuova diventa visibile non solo nella risurrezione nel terzo giorno, ma già nella passione, nell’essere consegnato. Perché? Perché è nella passione che la pienezza dell’amore di Dio risplende.
E’ un amore che attende, un amore che non cerca il controllo.
Quando ci concediamo di percepire pienamente come subiamo le azioni di altri, riusciamo ad entrare in contatto con una vita nuova della cui esistenza non avevamo neppure coscienza...
Se consideriamo il nostro mondo, quanto possiamo realmente avere sotto controllo? La nostra vita non è in larga parte passione? I molti modi in cui subiamo le azioni di altre persone di eventi e della cultura in cui viviamo, e di molti altri fattori al di là del nostro controllo spesso lasciano poco spazio alle nostre iniziative personali. Questo si fa particolarmente evidente quando ci accorgiamo di quante persone sono handicappate, ammalate croniche, anziane o economicamente

lunedì 23 dicembre 2013

Aspettare insieme, alimentare ciò che è già cominciato, attendere il suo compimento: questo è il significato del matrimonio, dell’amicizia, della comunità e della vita cristiana.


L'autore » Henri. J.M. Nouwen, scritti vari

La pratica dell’attesa

…In che modo attendiamo?
Aspettiamo insieme, con la parola di Dio in mezzo a noi.
Aspettare è prima di tutto un aspettare insieme.
Uno dei passi più belli della Scrittura è Lc 1,39-56,
che ci narra della visita di Maria ad Elisabetta.
Cosa accadde quando Maria ricevette le parole della promessa?
Andò da Elisabetta.
Qualcosa stava accadendo ad Elisabetta così come a Maria.
Ma come poterono viverlo fino alla fine?
Trovo l’incontro di queste due donne molto toccante,
perché Elisabetta e Maria si incontrarono e favorirono l’una l’attesa dell’altra.
La visita di Maria rese Elisabetta consapevole di ciò che stava aspettando.
Il bambino sussultò di gioia in lei.
Maria confermò l’attesa di Elisabetta.
E allora Elisabetta disse a Maria:
“Beata colei che ha creduto alle parole del Signore” (Lc 1,45).
E Maria rispose: “ L’anima mia magnifica il Signore” (Lc 1,46)
Ella trabocca esaltante di gioia.
Queste due donne si sono create reciprocamente lo spazio per aspettare. Hanno confermato l’una per l’altra che stava accadendo qualcosa che valeva la pena attendere.
Qui vediamo un modello per la comunità cristiana.
E’ una comunità di sostegno, celebrazione e proclamazione che noi possiamo far crescere ciò che è già iniziato in noi. La visita di Elisabetta e Maria è nella Bibbia una delle espressioni più belle di ciò che significa formare comunità, essere insieme, riuniti attorno ad una promessa, proclamando ciò che sta accadendo tra noi.
E’ questo che la preghiera esprime. E’ radunarsi insieme attorno alla promessa. In questo consiste la celebrazione. E’ far crescere ciò che c’è già. In questo consiste l’Eucaristia. E’ dire “Grazie” per il seme che è stato piantato. E dire “Stiamo aspettando il Signore, che è già venuto”.
Tutto il significato della comunità cristiana sta nell’offrire l’uno all’altro uno spazio in cui aspettiamo ciò che abbiamo già visto. La comunità cristiana è il luogo in cui manteniamo viva la fiamma tra noi e la prendiamo seriamente, così che possa crescere e diventare più robusta in noi. In questo modo possiamo vivere con coraggio, con la fiducia che c’è una forza spirituale in noi che ci permette di vivere in questo mondo senza venire continuamente fuorviati dalla disperazione. Questo è il modo in cui osiamo dire che Dio è un Dio d’amore anche quando vediamo odio tutt’intorno a noi. Questo è il motivo per cui possiamo annunciare che Dio è un Dio di vita anche quando vediamo morte e distruzione e angoscia tutt’intorno a noi. Noi lo diciamo insieme. Lo confermiamo l’uno nell’altro.
Aspettare insieme, alimentare ciò che è già cominciato, attendere il suo compimento: questo è il significato del matrimonio, dell’amicizia, della comunità e della vita cristiana.
In secondo luogo, il nostro attendere è sempre plasmato dalla nostra attenzione alla parola.
E’ attendere nella consapevolezza che qualcuno vuole parlarci. La domanda è: siamo presenti? Siamo in casa, pronti a rispondere al campanello della porta? Abbiamo bisogno di aspettare insieme per tenerci spiritualmente in casa l’un l’altro, così che quando la parola entrerà possa diventare carne in noi. Questo è il motivo per cui il Libro di Dio è sempre in mezzo a coloro che si radunano. Leggiamo la parola così che la parola possa diventare carne ed avere una nuova vita in noi.
Simone Weil, una scrittrice ebrea, ha detto: “Aspettare pazientemente nella speranza e il fondamento della vita spirituale”. Quando Gesù parla della fine dei tempi, parla precisamente dell’importanza dell’attesa. Dice che nazioni combatteranno contro nazioni e che ci saranno guerre e terremoti e sofferenza grande. Gli uomini saranno molto angosciati e diranno: “Il Cristo e la! No, e qui!”. Molti resteranno sconcertati, e molti saranno ingannati. Ma Gesù dice: dovete stare pronti, rimanere svegli, restare in sintonia con la parola di Dio, così che possiate sopravvivere a tutto quello che sta per accadere ed essere capaci di stare fiduciosamente (cum-fide, con fiducia) alla presenza di Dio insieme nella comunità (cfr. Mt 24). Questo è l’gatteggiamento dell’attesa che ci permette di essere il popolo che può vivere in un mondo molto caotico e sopravvivere spiritualmente…
Nella passione e risurrezione di Gesù vediamo Dio come un Dio in attesa…


domenica 22 dicembre 2013

Il segreto dell’attesa è la fede che il seme è stato piantato, che qualcosa è iniziato. Attesa attiva significa essere pienamente presenti al momento, nella convinzione che qualcosa sta accadendo dove sei tu e che vuoi essere presente a quel momento

L'autore » Henri. J.M. Nouwen, scritti vari

La natura dell’attesa

Attendere, come lo vediamo nei personaggi delle prime pagine del Vangelo, è attendere con un senso di promessa.
“Zaccaria, tua moglie Elisabetta ti darà un figlio”.
“Maria, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,13.31).
I personaggi che attendono hanno ricevuto una promessa:
hanno ricevuto qualcosa che sta operando in loro,
come un seme che ha cominciato a germogliare.
Questo è molto importante.
Noi possiamo veramente aspettare solo ciò che stiamo aspettando
e già è cominciato per noi.
Così, aspettare non è mai un movimento da niente a qualcosa.
E’ sempre un movimento da qualcosa a qualcosa di più.
Zaccaria, Elisabetta, Maria, Simeone e Anna stavano vivendo con una promessa
che li nutriva, che li alimentava e che li rendeva capaci di stare dov’erano.
E in questo modo, la promessa si poté realizzare in loro e per mezzo di loro.
In secondo luogo, l’attesa è attiva.
La maggior parte di noi pensa all’attesa come a qualcosa di molto passivo,
uno stato senza speranza determinato da eventi completamente al di fuori delle nostre mani. L’autobus è in ritardo.
Non ci puoi fare niente,
cosi non ti resta che sederti e solo aspettare.
Non è difficile capire l’irritazione che la gente prova quando qualcuno dice:
“Semplicemente aspetta”.
Parole come queste sembrano spingerci nella passività.
Ma non c’è nulla di questa passività nella Scrittura.
Coloro che sono in attesa aspettano molto attivamente.
Essi sanno che ciò che stanno aspettando sta germogliando dal terreno sul quale si trovano.
Questo è il segreto.
Il segreto dell’attesa è la fede che il seme è stato piantato, che qualcosa è iniziato.
Attesa attiva
significa essere pienamente presenti al momento,
nella convinzione che qualcosa sta accadendo dove sei tu
e che vuoi essere presente a quel momento.
Una persona in attesa è qualcuno che è presente al momento,
che crede che questo momento è il momento.
Una persona in attesa è una persona paziente.
La parola ‘pazienza’ vuol dire la buona volontà di stare dove siamo
e di vivere la situazione nella fede che qualcosa di nascosto si manifesterà a noi.
Le persone impazienti si aspettano sempre
che l’evento importante stia avvenendo in qualche altro luogo,
e quindi vogliono andare altrove.
Il momento presente è vuoto.
Le persone pazienti, invece, osano restare dove sono.
Vivere con pazienza significa vivere attivamente nel presente e qui attendere.
L’attesa, allora, non è passiva.
Essa comporta il nutrire il momento,
come una madre nutre il bambino
che sta crescendo nel suo grembo.
Zacccaria, Elisabetta, Maria, Simeone ed Anna erano presenti al momento.
Questo è il motivo per cui essi poterono sentire l’angelo.
Erano vigili, attenti alla voce che parlava loro
e diceva: “Non temete! Qualcosa sta per accadervi. Fate attenzione”.
Ma c’è di più.
L’attesa è senza fine.
Un’attesa senza fine è difficile per noi perché tendiamo ad aspettare qualcosa di molto concreto, qualcosa che desideriamo avere.
Molto della nostra attesa è pieno di desideri:
“Vorrei avere un lavoro.
Vorrei che il tempo fosse migliore.
Vorrei che il dolore passasse”.
Siamo pieni di desideri e la nostra attesa resta facilmente impigliata in questi desideri.
Per questa ragione, molta parte della nostra attesa è a termine.
Invece, il nostro attendere è un modo di tenere sotto controllo il futuro.
Noi vogliamo che il futuro vada in una direzione molto precisa,
e se questo non accade ci rammarichiamo e possiamo persino scivolare nella disperazione.
Questo è il motivo per cui ci è tanto difficile trascorrere il tempo nell’attesa;
vogliamo fare le cose che porteranno alla realizzazione degli eventi desiderati.
Qui possiamo vedere come i desideri tendono ad essere collegati con le paure.
Zaccaria, Elisabetta, Maria, Simeone ed Anna, invece, non erano pieni di desideri.
Erano pieni di speranza.
La speranza è qualcosa di molto diverso.
La speranza è avere fiducia che qualcosa si compirà secondo le promesse e non semplicemente secondo i nostri desideri.
Quindi la speranza è sempre senza fine.
Io ho trovato molto importante nella mia vita personale lasciar morire i miei desideri e cominciare a sperare.
E’ stato solo quando ero pronto a lasciar morire i miei desideri che qualcosa di realmente nuovo, qualcosa al di là delle mie proprie aspettative, ha potuto accadermi.
Proviamo solo ad immaginare che cosa Maria stava in realtà dicendo con le parole: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38).
Stava dicendo: “Io non so cosa significhi tutto questo, ma ho fiducia che accadranno cose belle”. Tanto profonda era la sua fiducia che la sua attesa fosse aperta a tutte le possibilità.
E lei non voleva controllarle.
Credeva che quando ascoltava con attenzione, poteva aver fiducia in ciò che stava per accadere.
Attendere a tempo indeterminato è un atteggiamento enormemente radicale verso la vita.
E’ avere fiducia che ci accadrà qualcosa che è molto al di là della nostra immaginazione.
E’ abbandonare il controllo del nostro futuro e lasciare che sia Dio a determinare la nostra vita.
E’ vivere con la convinzione che Dio ci plasma secondo l’amore di Dio e non secondo la nostra paura.
La vita spirituale è una vita in cui noi aspettiamo, stiamo in attesa, attivamente presenti al momento, aspettando che cose nuove ci accadano, cose nuove che sono molto al di là della nostra stessa immaginazione o previsione.
Questo, certamente, è un atteggiamento molto radicale verso la vita in un mondo preoccupato di controllare gli eventi.