sabato 31 agosto 2013

è questa comunione profonda di vita, di preghiera, di intenzione con Cristo, che è il fondamento della vita apostolica.

Riporto da oggi lo scritto degli esercizi tenuti da Padre Silvano Fausti. La prima parte è incentrata sulla Preghiera  Apostolica con indicazione di metodo,
Esercizi Spirituali Ignaziani 1992
p. Silvano Fausti

1° - Sulla preghiera apostolica

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Do una piccola istruzione di metodo sulla preghiera apostolica. Adesso faccio qualche premessa sulla preghiera apostolica, poi daremo qualche indicazione di metodo, presa dagli esercizi.
In merito alla preghiera apostolica, si usa in genere quel brano di Marta e Maria in cui si contrappone la vita attiva e la vita contemplativa, in genere leggendolo male come se fossero due cose contrapposte.
La vita attiva apostolica sorge dalla contemplazione se no non è vita apostolica.
Secondo la tradizione antica prima si faceva una vita cenobitica, poi la vita monastica, poi eremitica e poi veniva la vita apostolica.
Dopo che uno sa stare con gli altri,
sa stare solo col Signore,
allora può far l’apostolo.
Quindi la vita apostolica, direi, è ciò che scaturisce dalla comunione col Signore. 
Difatti gli apostoli definiscono così il loro carisma
(atti degli apostoli, cap.6, versetto 4:quando nella chiesa cominciano ad articolarsi le varie necessità e le tante cose da fare)
e scelgono cosa devono fare loro.
“E noi, come apostoli, saremo perseveranti 
nella preghiera 
e nel servizio della
Parola”.
La preghiera e il servizio della Parola sono le due caratteristiche apostoliche, cioè
le due caratteristiche che fondano la Chiesa,
perché la Chiesa è fondata sulla preghiera che è la comunione col Padre ed è questo che ci fa figli.
E il fine di ogni ministero è portare alla preghiera, alla comunione col Padre, il principio di ogni ministero è  la tua comunione col Padre,
se no cosa annunci?
E questo lo si fa mediante il servizio della Parola.
Così quando Gesù costituisce i dodici, Marco 3,14, si dice: “fece i dodici perché fossero con lui”.
Il fine per cui si sono  costituiti i dodici è la comunione con Cristo, la compagnia di Gesù, ed è il fine della Creazione essere con Cristo.
Ed è questa comunione con Lui che ti invia.
Se sei con Lui, il Figlio, sei inviato ai fratelli, se non sei con Lui non sei inviato.
Quindi è questa comunione profonda di vita, di preghiera, di intenzione con Cristo, che è il fondamento della vita apostolica.

venerdì 30 agosto 2013

è concreta la bellezza di un servizio fecondo, se vi è integrazione tra persona e vita, inclusa l’accettazione della sofferenza.


Marina Štremfelj 
Centro Aletti 
Il colloquio spirituale è un’arte che prende le dimensioni e i colori della 
sapienza dell’ascolto e della comunicazione


CONCLUSIONE
Concludo questa riflessione
con la speranza nel cuore di aver potuto dentro di noi rinnovare ed approfondire
la bellezza e la necessità della paternità e maternità spirituale,
perché senza di essa “la nuova evangelizzazione non avrà quella penetrazione e profondità necessarie per compiere veramente la propria missione in un’Europa ormai profondamente scristianizzata”.
Per questo la nostra speranza non va perduta,
perché Dio tramite il dono della maternità e paternità spirituale rimane fedele, malgrado l’infedeltà dell’uomo.
 La nuova alleanza da parte di Dio con l’uomo è eterna e, tramite lo Spirito Santo che sempre ci è donato, anche il mondo potrà sperimentare l’Alleanza e l’uomo nuovamente potrà ritrovare la vera Vita.
In questo anche la vita religiosa è un segno esplicito che rimanda a Colui al quale il religioso ha risposto con la donazione della sua stessa vita.
Padre Rupnik richiama spesso la visione profonda della creazione che “ridonata all’amore, si conforma ad immagine della Nuova Gerusalemme…
Il mondo materiale, cosmico, completamente appartenente al principio agapico,
quindi personalizzato,
diventa la bellezza.
La bellezza è infatti l’amore realizzato, incarnato...”

E Pavel Florenskij dice che “le visioni dei profeti sono delle contemplazioni concrete e non
affatto delle costruzioni astratte”, come è concreta la bellezza di un servizio fecondo, se vi è
integrazione tra persona e vita, inclusa l’accettazione della sofferenza.
 E’ proprio questa integrità, questa unità interiore che fa apparire la bellezza.
Una realtà isolata non è bella, ma diventa bella quando comincia a far trasparire la realtà superiore.
Addirittura la persona, quando si lascia ispirare dallo Spirito Santo all’interno della propria storia, “fa esperienza della verità di Dio-Amore in modo tanto più immediato e profondo quanto più si pone sotto la Croce di Cristo... sulla quale Cristo manifesta pienamente la bellezza e la potenza dell’amore.
In modo speciale, la vita consacrata rispecchia questo splendore dell’amore, perché confessa, con
la sua fedeltà al mistero della Croce”.
 Come esempio concreto di conferma è proprio la figura di san Serafino di Sarov che “rifulge di una luce così pura, così seducente che, se si è appena un poco sensibili a ciò che non è di questo mondo ma viene dall’alto, si prova nell’avvicinarlo un’interiore trasformazione, si diventa migliori, come se l’immagine di Dio in noi si fosse subitamente rinnovata”.
Forse ognuno di noi può far sue anche le parole del grande pensatore Ivan Kireevsky che nel 1840 scriveva:
“Tutti i libri, tutte le opere spirituali non valgono quanto un santo starets in cui sia possibile trovare una guida, al quale ciascuno possa far parte dei propri pensieri e la cui bocca esprima non consigli personali più o meno validi, ma il giudizio dei santi”.
In questo modo la vita religiosa ha tante possibilità di essere lievito e sale che “sono due materie che apparentemente si perdono nelle sostanze con cui vengono mescolate. Di fatto rafforzano le migliori qualità dei cibi e li proteggono perché non si guastino… Forse molte cose della vita religiosa contemporanea moriranno. Ma se moriranno a causa dell’amore per Cristo, la vita religiosa risusciterà nel prossimo futuro da questa umile profezia che l’ha fatta nascere e rinnovare in ogni tempo”, malgrado le tante difficoltà e crisi che dovevamo  e dovremo ancora sopportare. Ma, come dice la beata Madre Teresa di Calcutta, il passato appartiene alla Sua misericordia, il futuro alla Sua provvidenza e il presente al Suo amore.
Sono consapevole che questa riflessione ci fa concludere con tante domande e penso che possiamo con tutta la calma dire che a certe risposte è possibile arrivare solo in speciali momenti della nostra vita; le risposte arrivano talvolta improvvise, ci colgono di sorpresa nei momenti in cui meno ce l’aspettiamo, talvolta invece non arrivano se non alla fine della nostra vita su questa terra. 
“E’ solamente nell’inverno che si può ricevere la fecondità inconcepibile promessa ad Abramo. Nell’attesa, si può essere al servizio di Dio e fare delle opere buone”.

giovedì 29 agosto 2013

l’essenziale della vita, che si ritrova nel perdono, nel sacramento che trasforma la sterilità nella fecondità.


Marina Štremfelj 
Centro Aletti 
Il colloquio spirituale è un’arte che prende le dimensioni e i colori della 
sapienza dell’ascolto e della comunicazione
IL COLLOQUIO SPIRITUALE dovrebbe favorire…: 

19. Il colloquio spirituale prepara anche alla morte, alla vita eterna, perché la morte non tronca le relazioni. 
Non è un caso che anche sant’Ignazio di Loyola consiglia di aver presente sempre il momento della morte per poter vivere per le cose essenziali.
“Padre Cleopa era solito dire che la più grande saggezza che protegge l’uomo da tutto il peccato e lo conduce in paradiso, alla felicità eterna, è la morte e la meditazione della morte. E avere sempre nella mente e nel cuore la preghiera di Gesù”.
 E anche gli antichi Padri spesso dicevano che bisogna pregare per l’ultima ora. Pensare alla morte non significa  pensare ai funerali, e vedere come tutti piangono, come nei funerali tutti pensano che sia morta una grande persona della quale si ricorderanno per sempre. Non è questo. Prendiamo l’esempio di una mamma che sta a casa, ed è preoccupata di tante cose, come pagare i conti, come sistemare l’ambiente, come…, e le arriva una telefonata: “tuo figlio ha avuto un incidente ed è molto grave”. In quell’istante spariscono tutte le preoccupazioni, l’unico pensiero che conta è come far vincere la vita. 
Quindi, il pensiero della morte è quel momento della vita che mi fa filtrare ogni esperienza e mi  aiuta a non dimenticare le cose più importanti, essenziali della vita, con il loro peso spirituale. Quando facciamo l’esperienza di stare con qualcuno che è sul letto di morte, i nostri pensieri, sentimenti, progetti ecc. scendono automaticamente  al piano inferiore. Questi momenti ci purificano, ci liberano dal superfluo. Quindi anche pensare alla nostra morte – che non si sa quando arriverà, ma siamo solo certi che un giorno di sicuro arriverà –, ci aiuta a distinguere e a discernere ciò che è importante da ciò che è meno importante, per cosa combattere e che cosa bisogna lasciar perdere, perché sappiamo che ogni cosa è niente di fronte alla morte.
Anche il consiglio che padre Cleopa dava più frequentemente sia ai monaci che ai laici era questo: “Se volete andare avanti fino a Dio, avete bisogno di due muri, ma non muri fatti di mattoni, non muri fatti di pietre, di terra, ma di due muri spirituali: abbiate il timore di Dio nella mano destra, perché il profeta Daniele dice: ‘con il timore di Dio l’uomo è stornato dal male’, e nella mano sinistra abbiate il timore della morte, perché dice il figlio di Sirach: ‘figlio, ricorda la tua fine e non peccherai’. Queste due opere buone, cioè il timore di Dio e la meditazione della morte salvano l’uomo da ogni peccato”.
 Ecco la migliore preparazione per la morte:
non la paura per essa, ma il timore, per trovarmi sempre preparato.
Porto un altro esempio di padre Cleopa da cui si vede come la morte non tronca i rapporti, ma anzi rafforza la capacità di aiuto spirituale:
un mese prima della sua morte, diceva a una donna:
“Sorella, quando verrai di nuovo a Sihastria, vieni alla croce nel cimitero e dimmi ogni cosa che hai da dirmi e, se Dio vuole, io ti ascolterò e ti aiuterò”.
Inoltre possiamo ricordarci dell’esempio di Dostoevskij, uno tra i più grandi scrittori russi.
Sua figlia racconta che suo padre, “nel momento di dare l’ultima benedizione ai suoi figli ha chiesto 
di leggere la parabola del figlio prodigo. Su questa sintesi evangelica del destino di ogni uomo 
e della sua fede radiosa egli ha preso congedo:
ricordatevi sempre il perdono del padre e la sua gioia di perdonare”.
 Dostoevskij ha saputo cogliere l’essenziale della vita, che si ritrova nel perdono, nel sacramento che trasforma la sterilità nella fecondità. Questo è ciò che conta nel momento della morte: perdonarci, come il Padre  ha perdonato il figlio prodigo e lo ha abbracciato con amore misericordioso. 

mercoledì 28 agosto 2013


Marina Štremfelj 
Centro Aletti 
Il colloquio spirituale è un’arte che prende le dimensioni e i colori della 
sapienza dell’ascolto e della comunicazione
IL COLLOQUIO SPIRITUALE dovrebbe favorire…: 

18. Il colloquio spirituale fa comprendere la parola di san Paolo: “questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1Tes 4,3).
Come alla cristoformità non si può giungere con una visione parziale di Cristo, così è anche per la santità.
Occorre uno sguardo integrale su Cristo e sulla salvezza che ha operato.
E’ ovvio che non possiamo santificarci da soli, ma ci può santificare solo lo Spirito, Colui che ci conduce alla cristoformità.
Nella vita sempre possiamo scegliere, possiamo decidere in quanto liberi.
Noi siamo santi nella misura in cui abbiamo deciso di aprirci al Santo, allo Spirito, alla sua presenza e alla sua azione che trova in noi e nella nostra vita spazio e ‘permesso’ di agire secondo il volere di Dio.
Più diamo spazio, tempo, precedenza, ascolto, possibilità di agire, più lo Spirito agisce, più è presente e più realizza la sua promessa.
L’obbedienza nella vita spirituale significa anzitutto acconsentire al movimento che ci rende nuova creatura, è questo passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo nato segretamente nelle acque battesimali, ed è una esigenza iscritta nel nostro battesimo: la docilità al principio della santificazione, cioè allo Spirito Santo.
Dice Isaia: “così sarà della parola uscita dalla mia bocca, non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidera e senza aver compiuto ciò per cui lo mandata” (55,11).
La persona, a partire della Parola di Dio, ha la possibilità di realizzare la propria vita in modo totale in quanto tutto viene compito.
E i santi sono testimoni di questo, a partire da san Paolo che dice: “Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché  anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2Cor 4,8-10). Paolo sapeva bene che le tribolazioni sono riservate a tutti e che è proprio quando si pensa di esserne esenti il momento in cui esse sono più vicine.
Pace e gioia spirituali possono venire solo da Dio e proprio per questo possono diventare un aiuto vero nei momenti di inquietudine, di persecuzione, di prove, di conflitti, di malumori…
Paolo ha sperimentato sulla propria pelle che non c’è nessun momento della vita così grave nel quale non si possa sopravvivere, poiché si è sempre sorretti da una forza interiore che è più grande di noi e che va al di là di tutte le difficoltà.
Dio si manifesta spesso in maniera sorprendente.
Tante volte succede che qualcosa ci fa soffrire molto, ma tutto si svolge nel silenzio, senza capire minimamente che cosa sta succedendo e che cosa possa significare.
Forse solo dopo tanto tempo, quando il tempo ha già fatto calmare i dolori e le lotte interiori, la persona smette anche di cercare le spiegazioni, perché ormai non ce n’è più bisogno.
Spesso è proprio il tormento il ponte che ci fa fare certi passaggi spirituali e alle volte è addirittura necessario, anzi sarebbe pericoloso immaginarsi una vita senza lotte e senza tormenti, perché la persona facilmente rischierebbe un atteggiamento di rassegnazione, che fa diminuire addirittura la vigilanza spirituale.
Un tale compiacimento potrebbe rappresentare un ostacolo di fronte alle azioni dello Spirito Santo. San Paolo stesso ci dice che “è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22), e Cristo ai discepoli di Emmaus ricorda: “non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze?” (Lc 24,26).
Dal momento in cui aderiamo con fiducia, nel momento in cui crediamo che anche le tribolazioni sono necessarie, possiamo benedire “Dio, Padre del Signore Gesù Cristo…, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” (2Cor 1,3). 

martedì 27 agosto 2013


Marina Štremfelj 
Centro Aletti 
Il colloquio spirituale è un’arte che prende le dimensioni e i colori della 
sapienza dell’ascolto e della comunicazione
IL COLLOQUIO SPIRITUALE dovrebbe favorire…: 

17. Il colloquio spirituale fa maturare nella vera umiltà,
perché l’umiltà porta alla docilità
e la docilità al dialogo, alla relazione, alla fiducia
e a tutto il resto a cui finora ci siamo riferiti.  
L’umiltà autentica,
quindi, a differenza dell’umiltà falsa,
è la maestra di tutte le esperienze spirituali
che, prima o poi, portano alla sapienza  spirituale.
Lo conferma anche sant’Antonio dicendo:
“Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra, e dissi gemendo: – Chi potrà mai 
scamparne? E udii una voce che mi disse: – L’umiltà”.
Quindi non conviene incoraggiare gli sforzi umani per acquisire l’umiltà, in quanto si tratta di una pura grazia di Dio, ma “l’accompagnatore dovrebbe pazientemente aspettare il proprio accompagnato nel luogo dove la grazia dolcemente lo spinge: quello dell’umiliazione e della contrizione del cuore, il luogo della sua pasqua interiore, dove la nuova vita potrà sgorgare alla fine”.
 Tuttavia alla vera umiltà, come frutto puro dello Spirito Santo, si arriva “attraverso un percorso inevitabile di umiliazione, [che] riesce ad eludere le astuzie di  questa manipolazione strana ed a ridurre l’influenza negativa del super-io, fino a renderlo tale da potersi egli stesso lasciare investire 
nell’interiore dallo Spirito”.
  Perché allora è tanto importante l’esperienza dell’umiliazione nel cammino spirituale? Perché è lo stato più favorevole che apre l’uomo all’azione dello Spirito Santo e alle sue grazie. Inoltre, è la più efficace per sciogliere il muro più duro,  cioè l’orgoglio e la superbia, il potere, il benessere superficiale. Superficialità, perfezionismo, narcisismo si vincono solo con l’umiliazione che, a sua volta, ci protegge dal rischio “di ridurre una vocazione o un percorso spirituale a uno specchio narcisistico dove ogni anima si ammira, rischiando come Narciso, di annegarvi”.
  In questo cammino è più che mai importante avere il senso delle proprie debolezze e della propria fragilità, per non rischiare di vantarsi di noi stessi e di contare sulle nostre forze e sulle nostre capacità. Questo ci porterebbe prima o poi a trovarci nell’assolutizzare i doni, scindendoli dal Donatore. Riconoscere la nostra debolezza ci permette invece di sentire il bisogno di Lui e del suo amore e questo ci rende sensibili, pazienti e buoni anche verso gli altri.
Si tratta di una vera prova, la quale si vince con le parole di san Paolo: “Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò, fuorché delle mie debolezze” (2Cor 12,5). E padre Cleopa diceva: “l’umiltà nasce dall’obbedienza senza brontolii”, quindi senza lamentele, 
mormorazioni e continue proteste. 
Se queste parole si prendono da un punto di vista psicologico, la persona facilmente si innervosisce, invece quando si scopre nell’obbedienza un valore spirituale fondamentale per la nostra salvezza, allora si riesce ad attingere la forza e la grazia e non c’è più bisogno di brontolare. Questo è il frutto spirituale e non quando decidiamo noi di non brontolare più.
André Louf afferma che “si tratta di una virtù che rinvia non tanto alla generosità di ogni uomo di buona volontà, piuttosto ad un cammino concreto… Un tale percorso si gestisce non con gli sforzi dell’uomo, ma per mezzo dell’insondabile pedagogia che Dio stessa spiega al suo riguardo… e su questo percorso dell’umiliazione dello spirito, solo Dio può prendere l’iniziativa…
L’umiliazione è in effetti l’ultima carta da giocare della pedagogia divina, quando Dio costata che qualcuno si trova sul punto di perdersi sul cammino della falsa virtù… solo un’anima alle prese con i tormenti dell’umiliazione può divenire sensibile alla grazia ed apprendere un po’ alla volta a farsi docile alla sua attività”.

lunedì 26 agosto 2013

E’ il segno della vera vita interiore: l’uomo nuovo è capace di amare senza riserva e benedire l’umanità con l’amore di Cristo


Marina Štremfelj 
Centro Aletti 
Il colloquio spirituale è un’arte che prende le dimensioni e i colori della 
sapienza dell’ascolto e della comunicazione
IL COLLOQUIO SPIRITUALE dovrebbe favorire…: 

16. Il colloquio spirituale ci conduce alla capacità di amare sempre di più Dio e fratelli.  
Quando cresce nell’amore,
automaticamente la persona riceve la forza spirituale;
con la diminuzione dell’amore,
diminuisce anche la forza di operare il bene.
Se pensiamo ai santi, ai martiri, non ci sono dubbi, per loro la maggior grazia ricevuta dal Signore era quella di poter soffrire per Lui e in questo modo testimoniare il loro amore per Dio e per gli amici e, alle volte, anche per i nemici.
E’ il segno della vera vita interiore:
l’uomo nuovo è capace di amare senza riserva e benedire l’umanità con l’amore di Cristo.
Ma per questa grandissima grazia bisogna supplicare molto ed
avere tanta pazienza.
Quando un discepolo rivolge la domanda a padre Cleopa,
come si poteva salvare,
questi risponde:
“Pazienza, pazienza, pazienza.
Il fratello chiese: che cosa devo sopportare pazientemente?,
e il padre disse: Sopporta pazientemente gliinsulti e il disonore per amore di Cristo!”


domenica 25 agosto 2013

nei colloqui non dovrebbe mai mancare l’atteggiamento tipico di stare davanti al Mistero, perché solo così può nascere il dialogo aperto, altrimenti è fissato come un chiodo,


Marina Štremfelj 
Centro Aletti 
Il colloquio spirituale è un’arte che prende le dimensioni e i colori della 
sapienza dell’ascolto e della comunicazione
IL COLLOQUIO SPIRITUALE dovrebbe favorire…: 

15. Il colloquio spirituale favorisce la scoperta del mistero e
dell’atteggiamento da assumere di fronte al mistero della vita,
che richiede caratteristiche del tutto particolari,
perché la sensibilità per il mistero ha un ruolo fondamentale nei colloqui spirituali.
Mistero non significa non sapere, ignoranza,
ma significa ammettere e riconoscere in noi e intorno a noi una grandezza che ci supera. 
“Ogni sicurezza cercata escludendo il mistero,
in mezzo alle cose ovvie della vita pratica e alle suggestioni del cuore,
resta in definitiva come la vita e il cuore,
quando si basano su se stessi;
perciò crollerà.
Solo se tutto ciò viene trasceso nell’infinità di Dio,
solo se anche la nostra esperienza viene ancorata a un aldilà dell’esperienza,
possiamo sperare in sicurezza, stabilità e futuro duraturo”.
   
Il mistero fa parte di Dio, e
proprio per questo nei colloqui non dovrebbe mai mancare
l’atteggiamento tipico di stare davanti al Mistero,
perché solo così può nascere il dialogo aperto,
altrimenti è fissato come un chiodo,
già concluso in anticipo.
Solo la consapevolezza di essere davanti a un grande mistero
ci aiuta a non avere delle certezze,
che possono essere assolutamente false,
e si va avanti come un carro armato.
Invece la persona spiritualmente sensibile usa anche un linguaggio che lo rispecchia. Impiega le parole in modo delicato:
“Se ho capito bene…”,
“Forse, volevi dire così…?”