sabato 6 luglio 2013

La civiltà occidentale è diventata una civiltà nella quale non si piange più; per questo ci si mette – nell’arte come per strada – a urlare ciecamente.


Tappe ascetiche e aspetti pratici della Preghiera di Gesù
 O. Clement, J. Serr, LA PREGHIERA DEL CUORE, ed.Ancora

Per i laici, per quelli che sono deboli,
Cabasilas raccomanda di affidare la custodia del cuore
al sangue eucaristico.

Un grande monaco potrebbe
(come fece Maria Egiziaca)
comunicarsi una sola volta,
dopo un intera vita di preparazione,
ricevendo allora, in piena coscienza,
la comunione come una folgore deificante;
i deboli invece, dice Cabasilas,
devono comunicarsi spesso.
Allora il sangue eucaristico stesso custodirà il loro cuore;
e Cabasilas si limita a raccomandare semplicemente
brevi meditazioni nelle quali prendiamo coscienza
dell’« amore folle » di Dio per noi.

Qui, in questa memoria della morte
che diventa memoria di Dio,
troviamo il mistero e
il carisma delle lacrime.
La civiltà occidentale è diventata una civiltà
nella quale non si piange più;
per questo ci si mette
– nell’arte come per strada –
a urlare ciecamente.
Come se i giovani volessero liberare in se stessi
i gemiti dello Spirito, e non sapessero come farlo…
Ora, quando l’uomo riceve il dono delle lacrime,
lo Spirito piange dolcemente in lui,
dice Simeone Metafraste commentando Macario il Grande.
Le lacrime spirituali sono un’acqua battesimale
nella quale si stempera la durezza del cuore.
Quando piange,
lo spirituale ridiventa come le acque originali offerte
al soffio dello Spirito.

venerdì 5 luglio 2013

Preghiera in una sola parola, tu devi essere presente al nostro coricarci come al nostro risveglio



Tappe ascetiche e aspetti pratici della Preghiera di Gesù
 O. Clement, J. Serr, LA PREGHIERA DEL CUORE, ed.Ancora

La memoria della morte scompagina questa zona
apparentemente chiara e ben segnalata
che l’uomo si ritaglia alla superficie dell’esistenza.
Il capovolgimento della memoria della morte
in memoria di Dio provoca il risveglio,
come quello di Giacobbe visitato dal sogno (per noi, Cristo è la nostra “scala”, per sempre):
« Certo, il Signore è in questo luogo, e io non lo sapevo –
Ebbe timore e disse:
Quanto è terribile questo luogo!
Qui
è proprio la casa di Dio,
questa
è la porta del cielo » (Gn 28, 16-17).
Il risveglio è escatologico:
Cristo è la Scala,
è l’Istante ultimo,
il giudizio e « il giudizio del giudizio »,
l’universale trasfigurazione.
Il risveglio, è la veglia delle vergini sagge:
non che esse siano più virtuose delle compagne
– nota S. Serafino di Sarov –
perché anche le altre avevano saputo conservare la loro integrità;
ma la loro lampada è fornita di olio,
e l’olio è la grazia dello Spirito
che col suo fremito risponde alla fede e all’umiltà.

Nicola Cabasilas,
che scrisse per i laici immersi nelle preoccupazioni del secolo,
chiede loro soltanto di ricordarsi,
in ogni circostanza, che Dio ci ama d’amore folle
– manikos eros - .
Quando vai o vieni, lavori o conversi, un improvviso pensiero deve scuoterti:
Dio ti ama, ti ama al punto che è uscito per te dalla sua impassibilità, fino a morire per te.
Per te ha voluto diventare colui che dà la sua vita per quelli che ama,
lui l’Inaccessibile.
« Egli discende, alla ricerca dello schiavo che ama;
lui, il ricco, viene verso la nostra povertà.
Si presenta da sé, dichiara il suo amore, prega che lo si contraccambi…
Respinto, non si formalizza:
attende pazientemente come un vero amante ».
Mendicante d’amore,
ladro d’amore che viene di notte,
viene nella mia notte.
Il fiat della Vergine gli ha permesso di riprendere dall’interno la sua creazione:
egli ci attende nell’abis­so del cuore,
bussa alla porta della nostra coscienza partendo dal cuore,
dal più profondo di noi.
Perché egli è divenuto il nostro alter ego dice Cabasilas
- E non ci chiede subito di amarci, ma di capire anzitutto quanto egli ci ama.
Allora noi ci svegliamo.

Nepsis: è il risveglio, la veglia, la vigilanza;
nel senso più ampio,
poiché la nostra esistenza intera è torpore;
ma anche nel senso più preciso,
che ci ricorda il simbolismo liturgico
del giorno e della notte,
della luce e delle tenebre,
della luce che brilla ormai nelle tenebre.
Il « neptico » pratica la « custodia del cuore »:
tiene aperta la via tra la coscienza e il santuario interiore,
il sole segreto che le nubi delle “passioni” cercano continuamente di coprire.
Egli « attraversa l’oceano fetido che ci separa dal nostro paradiso interiore ».

La coscienza, armata del Nome di Gesù,
deve scrutare attentamente i logismoi
- la parola viene dal Vangelo –
ossia i pensieri come pulsioni germinative che cercano di offuscare il cuore.
O il pensiero è buono, creativo,
e bisogna rafforzarlo rivestendolo della benedizione del Nome,
o il pensiero è il germe di una ossessione, di una passione,
e allora bisogna sbatterlo contro la pietra come i figli di Babilonia:
e la pietra è il Nome,
avendo cura di disinvestire la forza vitale che queI pensiero mobilitava,
per pacificarla e trasformarla.
Nella lotta contro la nascente ossessione,
l’invocazione deve accelerarsi,
finché torni la pace.

La notte è particolarmente propizia a questo esercizio di discernimento e di metamorfosi,
aspetto fondamentale della nepsis:
sia perché essa è silenzio e raccoglimento,
ma anche perché è tenebra.
Il monaco affronta la notte come affronta il deserto, le potenze deifughe,
per far irradiare nell’infraconscio non soltanto individuale,
ma pan-umano e cosmico, la luce del sopra-cosciente.
E’ importante saper penetrare questo blocco di notte e di deserto
che portiamo in noi.
Il sonno deve essere moderato,
qualche volta interrotto dall’ufficio di mezzanotte,
altre volte soppresso da una lunga veglia.
Bisogna cercare di addormentarsi invocando il Nome divino-umano,
perché la preghiera penetri il sonno stesso.
« Preghiera in una sola parola,
tu devi essere presente al nostro coricarci
come al nostro risveglio ».

giovedì 4 luglio 2013

L’uomo non sa che Dio esiste, e viene verso di lui, e l’ama.



Tappe ascetiche e aspetti pratici della Preghiera di Gesù
 O. Clement, J. Serr, LA PREGHIERA DEL CUORE, ed.Ancora

Vedere i propri peccati introduce nel primo ammonimento del Vangelo:
« Pentitevi, poiché il Regno di Dio è vicino ».
L’uomo misura la sua separazione e il suo orgoglio.
Egli si apre alla gioia del regno.
Non ha altro spazio per esistere, ormai, se non la misericordia di Dio.
« E’ cosa più grande vedere i propri peccati che risuscitare da morte »,
dicono i Padri neptici.
In verità, vedere i propri peccati è entrare nella risurrezione dai morti.
Con ciò si diventa capaci di accogliere l’altro come un fratello,
senza giudi­carlo.
Io devo tutto a Dio
– per parafrasare una domanda del Padre nostro –
e l’altro non deve nulla a me:
tutto è grazia,
lui stesso è grazia,
è mio fratello:
io non giudico,
io sono giudicato,
e la Croce è il « giudizio del giudizio »;
e il Signore è « benedetto nei secoli dei secoli ».

La preghiera di S. Efrem riassume il digiuno,
che non riguarda solo il nutrimento del corpo,
ma anche quello delle immagini
(il che non è facile, nella nostra “civiltà dello spettacolo”),
delle passioni,
del desiderio di dominare e
di giudicare gli altri.
Attraverso questa sobrietà di tutto l’essere,
con la quale l’uomo impara a vivere
non soprattutto pascendosi di immagini
(fisiche, ma anche psichiche)
ma « di ogni parola che esce dalla bocca di Dio »,
non si instaura un masochismo morboso,
ma una libertà regale:
« Sii re nel tuo cuore,
regna dall’alto ma con umiltà,
comandando al sorriso:
va’! ed esso va;
alle dolci lacrime: venite! ed esse vengono;
e al corpo, servo e non più tiranno: fai questo, ed esso lo fa ».

La “vigilanza” e la “tenerezza”

L’oblio è il gigante del peccato, dicono spesso i Padri neptici.
Oblio: durezza del cuore
– diceva­mo poc’anzi
– pesantezza opaca del cuore.
L’uomo troppo spesso vive come un automa,
in una temporalità senza presente,
dove l’avvenire non cessa di sprofondare nel passato.
L’uomo non sa che Dio esiste, e viene verso di lui, e l’ama.
Non sa che nel perdono e nella luce di Dio, tutto esiste per sempre.

mercoledì 3 luglio 2013

E’ il contrario dell’abbattimento che proviene dal desiderio di avere tutto e subito; è la riconoscenza per le briciole che cadono dalla tavola del festino messianico


Tappe ascetiche e aspetti pratici della Preghiera di Gesù
 O. Clement, J. Serr, LA PREGHIERA DEL CUORE, ed.Ancora

Le vane parole designano non soltanto, nella vita quotidiana,
le parole che «cosificano» l’altro e lo respingono infinitamente lontano
– in definitiva, un gesto di uccisione –
ma, più ampiamente,
ogni esercizio del pensiero e dell’immaginazione
che si separa dalle forze del cuore,
per diventare un gioco autonomo della volontà di potenza o dei fantasmi.

« Concedi, a me tuo servo, uno spirito di integralità, di umiltà, di pazienza e di amore… ».

Ecco, invece, il movimento delle “virtù“:
la fede, che sta a fondamento, è ricordata innanzitutto:
l’uomo è un servitore.
L’integralità sintetizza l’insieme:
essa evoca l’unificazione dell’esistenza nell’incontro con il Dio vivente,
e dunque con il prossimo,
l’assunzione nella fede, nella speranza e nell’amore,
sia dell’intelligenza come di tutta la forza vitale.

L’umiltà è l’iscrizione concreta della fede nel quotidiano,
l’espressione della rivoluzione copernicana
che ci strappa dalla «filautia»
per restituire a Dio la sua distanza e la sua prossimità.
Per i Padri neptici, è
la virtù fondamentale, propriamente evangelica,
l’atteggiamento che differenzia il pubblicano
(le cui parole sono riprese nella “preghiera di Gesù“)
dal fariseo infinitamente virtuoso
ma così poco sensibile alla grazia, alla gratuità della salvezza…
S. Giovanni Climaco ha vigorosamente ricordato la forza paradossale della debolezza:
« Non ho digiunato,
non ho vegliato,
non ho dormito sulla nuda terra,
ma mi sono umiliato,
e il Signore mi ha salvato ».

Dalla fede e dall’umiltà nasce la pazienza
che è l’umiltà in atto.
Come questa esprime la fede,
così la pazienza è animata di speranza.
E’ il contrario dell’abbattimento
che proviene dal desiderio di avere tutto e subito;
è la riconoscenza per le briciole
che cadono dalla tavola del festino messianico;
è, soprattutto, una fiducia totale quando Dio si ritira,
quando le sue vie appaiono incomprensibili.
I Padri hanno spesso evocato la « pazienza di Giobbe »:
Giobbe rifiuta i ragionamenti dei teologi patentati,
ma, pur contestando Dio, non lo nega,
rimane con lui,
sa che Qualcuno lo cerca
attraverso l’esperienza stessa del male radicale.

E tutto culmina nell’amore
che costituisce il contrario della « dominazione ».
Colui che ama, « dà la propria vita per i suoi amici »;
non cerca il dominio,
ma il servizio.
Svuotandosi di sé per far posto a Dio,
si trova aperto all’altro,
accoglie senza giudicare,
discerne la persona al di là dei suoi « personaggi »
che sa esorcizzare in silenzio;
e fa irradiare la vita vera.

« Sì, Signore, 
concedimi di vedere i miei peccati e di non giudicare il mio fratello, 
perché tu sei benedetto nei secoli dei secoli. Amen ».

L’ultima domanda, che chiude la preghiera su una benedizione,
ricorda le condizioni dell’amore:
« vedere i propri peccati», e « non giudicare ».

martedì 2 luglio 2013

La fede è il punto di partenza della scala delle virtù, di cui la speranza designa il moto ascensionale, e che culmina nell’amore.


Tappe ascetiche e aspetti pratici della Preghiera di Gesù
 O. Clement, J. Serr, LA PREGHIERA DEL CUORE, ed.Ancora

Qui sarebbe necessario
tutto un trattato dei vizi e delle virtù,
non nel senso morale,
ma nel senso ascetico che mira,
attraverso la libera fede dell’uomo,
alle modalità della sua partecipazione alle energie divine.
Ogni virtù infatti è la manifestazione umana di un attributo divino,
e costituisce analogicamente,
dice Massimo il Confessore,
un aspetto del riscoprimento escatologico del Verbo incarnato.
Mi limiterò a ricordare e commentare brevemente la preghiera di S. Efrem,
così spesso recitata durante le ufficiature della grande quaresima:

« Signore e maestro della mia vita »…

Questa preghiera, per essenza penitenziale
(e che si dice in tre grandi «metanie»)
comincia dunque con l’affermazione
della trascendenza del Dio personale,
del Dio vivente,
in un atteggiamento di fede.
La fede è il punto di partenza della scala delle virtù,
di cui la speranza designa il moto ascensionale,
e che culmina nell’amore.
Dio è Dio, io non esisto se non per sua volontà,
egli è la fonte della mia vita.

« allontana da me lo spirito di accidia, di abbattimento, di dominazione, di vane parole…».

Questa domanda enumera i “vizi” capitali,
la cui radice,
e quasi il principio,
è l’accidia.
Il termine significa la dimenticanza,
spinta fino a un vero sonnambulismo,
l’opacità, l’insensibilità al mistero,
ciò che la Filocalia, con il Vangelo,
chiama la « durezza di cuore »
(e talvolta la sua « pesantezza »).

Questo stato di insensibilità spirituale genera l’abbattimento,
l’estremo il disgusto di vivere,
la dispersione,
l’abbandono al vuoto,
tutte manifestazioni di un nichilismo
che in quest’epoca prende le dimensioni di un fenomeno storico:
epoca di bambini viziati
che vogliono tutto, subito,
e, presto delusi,
si scoraggiano e
si abbandonano alla vertigine del nulla.

E’ vero che vi sono anche condotte di fuga.
Le principali sono
lo spirito di dominazione e
quello delle vane parole.
La dominazione può dimenticare il nulla
ipertrofizzando l’io.
L’io, gonfiato di nulla,
distrugge o asservisce gli altri,
presume di un sapere
e di un potere assoluti,
svuota gli altri del loro mistero e
li fa gravitare attorno al proprio vuoto.
E’ l’auto-deificazione del nulla.

lunedì 1 luglio 2013

in Cristo, lo spazio della morte si capovolge in spazio dello Spirito, la densità dell’angoscia diventa densità della fede, e, attraverso la fede, la luce divina invade l’uomo


Tappe ascetiche e aspetti pratici della Preghiera di Gesù
 O. Clement, J. Serr, LA PREGHIERA DEL CUORE, ed.Ancora

La teologia apofatica non esige soltanto uno stato “ metanico”;
essa culmina nella grande antinomia apofatica
e questa si iscrive in una praxis di risurrezione.
Dio al di là di Dio si rivela il Crocifisso,
e il Crocifisso trionfa della morte e dell’inferno.
La separazione tra Dio e l’uomo si identifica misteriosamente
con la ferita del fianco aperto dalla lancia,
dalla quale sgorgano acqua e sangue,
il battesimo e l’eucaristia,
la Chiesa.
La Chiesa è la notte che si fa luminosa,
l’abisso infernale tra il creato e l’increato
che diventa in Cristo l’unione beata del creato e dell’increato,
la divino-umanità.
Dal fianco trapassato del Dio crocifisso
spunta l’alba delloSpirito.
Ormai, in Cristo,
lo spazio della morte si capovolge in spazio dello Spirito,
la densità dell’angoscia diventa densità della fede,
e, attraverso la fede, la luce divina invade l’uomo.

Così la memoria della morte si muta in memoria di Dio;
in memoria di Dio
che si lascia afferrare dalla morte
per consumarla e per offrirci la sua risurrezione.
I monaci d’Oriente insistono così fortemente
sul lutto e sulla coscienza dello stato di morte
non certo per rinchiudersi in essi,
ma per incontrarvi Cristo, per risuscitare con lui.

domenica 30 giugno 2013

se esaminiamo l’arte e la letteratura della nostra epoca, abbiamo l’impressione di un «lamento» analogo ma che rifiuta di confessarsi, il pianto straziante del nichilismo, con il contrappunto di un sogghigno di derisione e di inutili fughe



Tappe ascetiche e aspetti pratici della Preghiera di Gesù
 O. Clement, J. Serr, LA PREGHIERA DEL CUORE, ed.Ancora

Questo « stato metanico » si precisa necessariamente in memoria della morte,
nel senso forte di una anamnesi.
« Ricordiamoci a ogni istante, se possibile, della morte » scrive Esichio di Batos;
e commenta:
« Questo ricordo ha per effetto
l’esclusione di ogni vana preoccupazione,
la custodia dello spirito e
la preghiera costante,
il distacco dal corpo,
l’odio del peccato:
in verità, ogni virtù operante nasce da esso.
Pratichiamolo, se è possibile, come noi respiriamo »

La memoria della morte
non riguarda la morte biologica in sé
(poiché questa è anche una misericordia di Dio)
ma lo stato spirituale che la morte biologica simboleggia e sigilla
(e al quale, pure, mette fine).
Ricordarsi della morte, 
è scoprire che si è fin d’ora nella morte,
che la nostra esistenza è una « vita morta » (l’espressione è di S. Gregorio di Nissa),
con una dimensione infernale.
Il grande «lutto» dei monaci, nell’Oriente cristiano,
è legato a una teologia sperimentale della caduta.
Lo starec Silvano ha scritto le mirabili Lamentazioni di Adamo
davanti al Paradiso divenuto inaccessibile.
E se esaminiamo l’arte e la letteratura della nostra epoca,
abbiamo l’impressione di un «lamento» analogo
ma che rifiuta di confessarsi,
il pianto straziante del nichilismo,
con il contrappunto di un sogghigno di derisione e di inutili fughe.

Soltanto la ricerca della nostra epoca
scava nel nulla
con la sola prospettiva del nulla.
Mentre la « memoria » ascetica « della morte »
non solo fa largo a Dio,
ma si capovolge in memoria della risurrezione.