martedì 14 gennaio 2014

è proprio la categoria interpretativa del mistero che consente di tenere assieme a occhi ben aperti, di integrare con intelligenza le due polarità contrapposte come non più contrapposte, o almeno non più in modo irrimediabile o sterilmente conflittuale


Amedeo Cencini 
Il respiro della vita
La grazia della formazione permanente
Parte prima
RINNOVAMENTO INCOMPIUTO
CAPITOLO I
Nodi teorici e pratici

2.4. Mistero e ministero

Infine, la formazione permanente sottolinea un'altra dimensione essenziale del nuovo pensare formativo: la formazione come mistero, o come accoglienza del mistero dell'uomo e risposta a esso. Mistero non semplicemente come ciò che non si può capire, come oscurità per la mente penetrabile solo con l'atto (cieco) di fede, ma mistero come possibilità di tenere dinamicamente unite polarità apparentemente contrapposte, come possono essere i limiti e le aspirazioni nell'uomo, o il santo e il peccatore che sono presenti in ogni essere umano, la sua libertà e la sua schiavitù, lo spirito e il corpo, la chiamata di Dio e le pretese dell'istinto (11)... L'uomo è entrambe le cose, sarebbe assurdo cancellare una delle due dimensioni, ed è proprio la categoria interpretativa del mistero che consente di tenere assieme a occhi ben aperti, di integrare con intelligenza le due polarità contrapposte come non più contrapposte, o almeno non più in modo irrimediabile o sterilmente conflittuale.

Un solo esempio: l'uomo spirituale non è tanto il «perfetto» che ha eliminato i suoi istinti e non avverte più alcun richiamo della carne, ma colui che ha imparato a riconoscere in essa un richiamo ancor più profondo, che va oltre la ricerca d'una gratificazione individuale e manipolatrice dell'altro, e apre al contrario la vita alla relazione autentica: spiritualità è relazione (come diremo meglio più avanti), ma relazione che sfrutta l'energia contenuta nella vita pulsionale, perché ancor prima legge nel corpo stesso la verità dell'uomo, o alcuni frammenti d'essa (12). Per questo si può ben dire, nell'ottica del mistero, che l'uomo spirituale è anche il più carnale tra gli esseri umani.

Ora, se la formazione d'un tempo pretendeva, un po' ingenuamente e poi forzosamente, d'eliminare la polarità subito giudicata come assolutamente negativa, proponendo a volte un ideale impossibile di santità (con tutte le conseguenze di ossessione perfezionistica che conosciamo) e finendo per impoverire il potenziale energetico umano, oggi si dovrebbe cercare d'integrare le due prospettive, passando dal modello della perfezione a quello della integrazione (13). D'altronde, quella pretesa è irrealistica e può durare ben poco, è un malinteso tipico di entusiasmi spesso passeggeri, limitati agli anni giovanili o ai primi tempi della formazione iniziale, perché non tiene abbastanza conto della realtà umana.

Una dinamica formativa, invece, che si distende su tutta la vita consente di penetrare fino in fondo nel mistero dell'uomo, ad es., fino a discendere negl'inferi della sua nequizia e vulnerabilità, ma pure a salire in alto per cogliere la trascendenza della chiamata che lo introduce nel mondo dei desideri divini; nell'arco intero d'una vita fatti positivi e negativi si rincorrono e contrappongono, per concorrere, alla fine, a delineare un'immagine realista dell'uomo, in cui la coscienza di peccato si sposa armonicamente con l'autentica tensione di santità. In un cammino formativo lungo quanto l'esistenza è più facile cogliere la complessità misteriosa del cuore umano, la sua grandezza e assieme la sua debolezza, o quel misterioso intreccio che lega il corpo allo spirito e in cui consiste l'autentica e sempre inedita tipicità umana. È nella formazione permanente che emerge con chiarezza la verità dell'uomo, santo e peccatore, fatto di terra e con desideri celesti, e si ridimensionano quegli unilateralismi o esasperazioni, in senso ottimistico o pessimistico, delle visioni parziali che non sanno accogliere il mistero.

Ed è proprio l'apertura al mistero dell'uomo che sottolinea un'altra dimensione della formazione, quella della formazione come ministero. Sia perché tale formazione, come già accennato, avviene nel ministero, come luogo abituale potremmo dire - di svelamento di questo mistero o di convergenza di tutti gli aspetti di esso, sia perché proprio il mistero stesso dell'identità consacrata e presbiterale rende la formazione un vero e proprio ministero, un servizio prezioso che un fratello offre a un altro fratello e che dovrebbe esser sempre più servizio abituale, non straordinario. In tal senso, affermano i vescovi italiani nel documento sulla formazione permanente dei presbiteri, «è particolarmente promettente per la formazione permanente la presenza di alcune figure nell'ambito della fraternità sacramentale del presbiterio: quelle presenze informali di preti carismaticamente dotati sul piano della relazione, o comunque consapevoli che un dono prezioso, soprattutto oggi, è il servizio dell'incoraggiamento e della speranza» (14).

Tale ministero sarà ancor più prezioso e indispensabile in certi momenti. L'attenzione al mistero della vita umana, infatti, esige un atteggiamento del tutto particolare, sul piano della disposizione d'animo e della proposta d'aiuto, nei confronti di chi vive il dramma della crisi religiosa e/o sacerdotale. Sarà importante, in questi casi, offrire un ascolto che consenta di percepire la radice delle difficoltà (spesso sconosciuta allo stesso individuo), una benevolenza illuminata che trasmetta al fratello quell'accoglienza che invita all'apertura, una competenza che sappia identificare quella fase dello sviluppo in cui «qualcosa» s'è bloccato, una capacità di rapporto e calore umano che aiuti a rimarginare certe ferite e a sbloccare certi nodi, un ministero di soccorso fraterno che aiuti a riscoprire e vivere il mistero ecc. Il mistero del cuore umano che si lascia sedurre dall'amore divino al punto di sceglierlo come il suo «unico» e più grande amore, si realizza di fatto attraverso il ministero della mediazione d'un altro cuore umano, d'un fratello che si pone accanto per accompagnare lungo le fasi di questa misteriosissima seduzione, anche e soprattutto nelle situazioni critiche, per prevenirle il più possibile o aiutare a viverle come sfida a crescere nelle varie dimensioni della vita spirituale. È la grazia, ancora una volta, che agisce attraverso la natura. È la grazia della formazione permanente!

La famiglia religiosa o diocesana che è madre, e proprio in quanto madre, ha non solo il diritto-dovere di chiedere il massimo della dedizione ai propri membri, ma ha assieme il dovere di offrire l'aiuto adeguato in ogni stagione della vita perché ognuno sia messo in grado di poter dare con gioia il massimo di sé (15). Forse, allora, non è fuori luogo questa riflessione auto critica: quanti fratelli o sorelle, di quelli che hanno lasciato la vita consacrata o sacerdotale o che si sono «adattati» a una vita mediocre o che hanno «deciso» di non crescere più, avrebbero potuto essere aiutati e potrebbero esser provocati ad affrontare diversamente i loro problemi, per il bene loro e della Chiesa intera!?

lunedì 13 gennaio 2014

la formazione permanente diventa l'orizzonte di senso della formazione iniziale, non solo la sua prospettiva originaria, ma anche quella finale, il suo obiettivo naturale e il suo completamento


Amedeo Cencini 
Il respiro della vita
La grazia della formazione permanente
Parte prima
RINNOVAMENTO INCOMPIUTO
CAPITOLO I
Nodi teorici e pratici
2.3. Orizzonte di senso

Abbiamo detto che la formazione religiosa o presbiterale non si gioca tutta nel tempo della preparazione ai voti o agli ordini, né è teoria («bella teoria», direbbe ironicamente qualcuno) poi magari smentita o ridimensionata dalla pratica. C'è un rapporto che va colto con correttezza tra questi due momenti strategici e che l'idea di formazione permanente ci pare aiuti a decifrare. Più precisamente, «l'iter di formazione non può e non vuole anticipare il futuro, né deve artificiosamente ricostruire quel contesto nel quale poi si vivrà il ministero. C'è un salto inevitabile e salutare. La formazione del seminario (o del noviziato e post-noviziato) abilita esattamente a questo passaggio: a entrare nel vivo di una responsabilità e di un cammino di discepolato capaci di rigenerare e convertire chi in essi si pone in libertà e disponibilità» (8). Dietro a queste affermazioni c'è un equilibrio molto delicato e continuamente da precisare e calibrare, e che potremmo formulare così: la formazione iniziale prepara alla consacrazione, ma è la formazione permanente che forma il prete o il consacrato/a, perché è il ministero, la vita comune, il servizio ai poveri, la ricerca dei lontani, l'annuncio della pasqua di Gesù nelle vicende umane, la vita di sempre. .. il luogo primario e pertinente della formazione.

C'è, dunque, una inevitabile tensione tra le due fasi formative, tensione che è feconda se sta a sottolineare che «la vita si nutre sempre daccapo e che gli anni della prima formazione non sono da interpretare come tempo in cui si acquisisce tutto ciò che è necessario per vivere, cosicché, poi, lo si debba solo applicare» . Tensione che è invece rischiosa se finisce per affermare che non è possibile prefigurare le caratteristiche e gli sviluppi della vita futura d'una persona durante gli anni della formazione iniziale; forse in un contesto storico più statico e meno complesso era più facile prevedere il dopo, i gesti e gli stadi continui della conversione; era meno difficile anticipare situazioni problematiche, intuire le forme originarie di particolari crisi di interpretazione di sé, del proprio esser consacrati e del mondo. Nel contesto attuale tutto ciò è più difficile e nient'affatto scontato. Proprio per questo oggi in maniera del tutto particolare la formazione permanente diventa l'orizzonte di senso della formazione iniziale, non solo la sua prospettiva originaria, ma anche quella finale, il suo obiettivo naturale e il suo completamento, ciò che fa sì che la vita vissuta nel dono di sé sia e diventi davvero il luogo normale della formazione.

Quando però la tensione non è vissuta in modo equilibrato sono possibili vari squilibri nell'approccio al ministero apostolico; classico è quello di quei giovani preti e consacrati/e che, una volta entrati nel ministero, se ne lasciano assorbire al punto da azzerare ogni percorso formativo, spirituale e culturale, che non sia «funzionale» all'azione apostolica. Apparentemente costoro sembrano totalmente dediti alle fatiche apostoliche, in realtà alla fine anche l'impegno in esse rischia l'ambiguità. Quando, infatti, il lavoro pure benemerito è vissuto in modo assorbente ed equivoco, o quando lo stesso dono di sé non è bilanciato con le esigenze della vita comune o dagli altri impegni e momenti della vita d'un consacrato/a o d'un sacerdote, senz'alcuna disponibilità a lasciarsene formare, «al posto di formare deforma, sfigura, esaurisce le forze. In ogni caso non è mai un luogo neutro: o forma o deforma» (10).

domenica 12 gennaio 2014

È qualcosa di complesso e articolato, che non si dà in un singolo istante e si compie, invece, nell'arco della vita e nella storia concreta, assumendo forme e configurazioni specifiche, secondo la vocazione particolare d'ognuno

Amedeo Cencini 
Il respiro della vita
La grazia della formazione permanente
Parte prima
RINNOVAMENTO INCOMPIUTO
CAPITOLO I
Nodi teorici e pratici
2.2. Rilevanza teologica del concetto

La fede, infatti, ha - da questo punto di vista - una duplice struttura: progressivo-dinamica e storico-esperienziale, è assenso che matura lungo un cammino costante, o adesione mentale-affettivo-volitiva che avviene solo dopo un lungo processo. È qualcosa di complesso e articolato, che non si dà in un singolo istante e si compie, invece, nell'arco della vita e nella storia concreta, assumendo forme e configurazioni specifiche, secondo la vocazione particolare d'ognuno. Il sì alla chiamata non è il proprio modo specifico di credere, la «forma» che esso assume? In tal senso credere è come un lento pellegrinaggio che a ogni passo svela qualcosa di nuovo e forse d'imprevisto, per un'esperienza di Dio che ogni giorno s'arricchisce ed è messa alla prova, deve combattere ed è resa più forte, fino all'ultimo giorno di vita.

Mi sembra un punto molto importante comprendere la rilevanza anche teologica del concetto di formazione permanente, perché ciò ci consente di capire meglio la natura dell'opzione di consacrazione, sacerdotale e religiosa, che - per natura sua - è come una lunga parabola formativa mai finita, paziente gestazione del Figlio in noi a opera del Padre per la potenza dello Spirito, come un interminabile processo evolutivo psicologico e assieme spirituale.

Solo secondariamente il concetto di formazione permanente può esser inteso come implicanza contingente o esigenza connessa al ritmo della vita attuale, sempre più mutevole e frenetico, e al carattere dinamico dell'essere umano, sempre più coinvolto in una realtà potenzialmente arricchente ma anche complessa. Fosse solo questo la formazione permanente sarebbe intesa riduttivamente in modo difensivo, come un argine per non esser... travolti dalle accelerazioni delle trasformazioni odierne o un sistema per restare al passo coi tempi, e tutt'al più diverrebbe aggiornamento, magari anche di tipo spirituale, ma in ogni caso qualcosa di straordinario, fatto di corsi speciali, d'interventi periodici, di anni o semestri sabbatici e quant'altro, insomma, possa garantire una sorta di supporto generale, sul piano dell'informazione tecnico-pratica o dell'aggiornamento apostolico o dell'animazione spirituale o dell'approfondimento carismatico (o del riposo psico-fisico) ecc. Tutti aspetti positivi e necessari, sia ben chiaro, ma che rischiano di dare un'idea ancora settoriale, parziale ed episodica della formazione continua, e di non farne sufficientemente risaltare quella valenza teologica che illumina di senso e aiuta ad afferrare la natura della stessa vocazione cristiana.

Concludendo questo paragrafo: se la dimensione teologica della formazione permanente ne sottolinea l'aspetto ordinario ed essenziale, la dimensione pedagogica ne segnala soprattutto l'aspetto straordinario e contingente.