mercoledì 8 febbraio 2017

Questo lavoro di precisione, di dedizione, di cura verso noi stessi è ormai una vera Emergenza


E' un'emergenza
entrare in cura: io e il mondo
Emergenza 
è una parola bellissima, 
è un affioramento:

lentamente ma inesorabilmente,

giorno dopo giorno,

qualcosa emerge in me,
il cammino di liberazione mi sta riplasmando e mi scalda…
ecco, 
è una fiammella timida
che piano piano emerge dalle mie profondità,
devo scavare 
senza stancarmi,
ma poi 
la trovo e la custodisco, 
la curo, 
la metto al riparo 
perché finalmente cresca 
e diventi un fuoco di purificazione.

Questo lavoro 
di precisione, 
di dedizione, 
di cura verso noi stessi 
è ormai 
una vera Emergenza,
una necessità a cui rispondere in fretta,
a cui rispondere
ADESSO.

Daniela Rondina

domenica 5 febbraio 2017

Gesù non dice «voi siete il miele del mondo», un generico buonismo che rende tutto accettabile,

Il sale dà sapore:
Io non ho voluto sapere nient'altro che Cristo crocifisso (1 Corinzi 2,1-5).
«Sapere» è molto più che «conoscere»:
è avere il sapore di Cristo.
E accade
quando Cristo, come sale,
è disciolto dentro di me;
quando, come pane,
penetra in tutte le fibre della vita
e diventa mia parola, mio gesto, mio cuore.
Il sale conserva. Gesù non dice «voi siete il miele del mondo»,
un generico buonismo che rende tutto accettabile,
ma il sale, qualcosa che è una forza,
un istinto di vita che penetra le scelte,
si oppone al degrado delle cose,
e rilancia ciò che merita futuro.

(Letture: Isaia 58,7-10; Salmo 111; 1 Corinzi 2,1-5; Matteo 5,13-16)
Ermes Ronchi

sabato 4 febbraio 2017

perché se resta chiuso in sé non serve a niente

Come mettere la lampada sul candelabro?
Isaia suggerisce:
Spezza il tuo pane,
introduci in casa lo straniero,
vesti chi è nudo,
non distogliere gli occhi dalla tua gente...
Allora la tua luce sorgerà come l'aurora (Isaia 58,10).

Tutto un incalzare di azioni:
non restare curvo sulle tue storie e sulle tue sconfitte,
ma occupati della città e della tua gente,
illumina altri e ti illuminerai,
guarisci altri e guarirà la tua vita.
Voi siete il sale,
«che ascende dalla massa del mare rispondendo al luminoso appello del sole.
Allo stesso modo il discepolo ascende,
rispondendo all'attrazione dell'infinita luce divina» (Vannucci).
Ma poi discende sulla mensa,
perché se resta chiuso in sé non serve a niente:
deve sciogliersi nel cibo, deve donarsi.

(Letture: Isaia 58,7-10; Salmo 111; 1 Corinzi 2,1-5; Matteo 5,13-16)
Ermes Ronchi

venerdì 3 febbraio 2017

là, al centro di te, troverai una lucerna accesa, una manciata di sale. Per pura grazia. Non un vanto


Dio è luce: 
una delle più belle definizioni di Dio (1 Giovanni 1,5). 
Ma il Vangelo oggi rilancia: 
anche voi siete luce. 
Una delle più belle definizioni dell'uomo. 
E non dice: 
voi dovete essere, 
sforzatevi di diventare, 
ma voi siete già luce. 
La luce non è un dovere ma il frutto naturale in chi ha respirato Dio. 
La Parola mi assicura che in qualche modo misterioso e grande, grande ed emozionante, 
noi tutti, 
con Dio in cuore, 
siamo luce da luce, 
proprio come proclamiamo di Gesù 
nella professione di fede: 
Dio da Dio, luce da luce. 
Io non sono né luce né sale, 
lo so bene, per lunga esperienza. 
Eppure 
il Vangelo parla di me a me, 
e dice: 
non fermarti 
alla superficie, 
al ruvido dell'argilla, 
cerca 
in profondità, 
verso la cella segreta del cuore; 
là, al centro di te, 
troverai una lucerna accesa, 
una manciata di sale. Per pura grazia. 
Non un vanto, 
ma una responsabilità. 
Voi siete la luce, non io o tu, 
ma voi. 
Quando un io e un tu s'incontrano generando un noi, 
quando due sulla terra si amano, 
nel noi della famiglia dove ci si vuol bene, 
nella comunità accogliente, 
nel gruppo solidale è conservato senso e sale del vivere.
(Letture: Isaia 58,7-10; Salmo 111; 1 Corinzi 2,1-5; Matteo 5,13-16)
Ermes Ronchi

giovedì 2 febbraio 2017

allora si che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante


- 7 luglio 1942

(...)
La  vita è così curiosa e sorprendente
e infinitamente piena di sfumature,
a ogni curva del suo cammino si apre una vista del tutto diversa.
La maggior parte delle persone
ha nella propria testa delle idee stereotipate su questa vita,
dobbiamo nel nostro intimo liberarci di tutto,
di ogni idea esistente, parola d'ordine, sicurezza;
dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto,
ogni norma e appiglio convenzionale,
dobbiamo osare il gran salto nel cosmo, e allora,
allora si che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante,
anche nei suoi più profondi dolori.

(Etty Hillesum; "Diario")

mercoledì 1 febbraio 2017

anch'io credo, so che esiste un'altra vita.


- 27 settembre 1942

Che si possa essere un fuoco così sfavillante!
Tutte le parole ed espressioni adoperate sinora
mi sembrano grigie, pallide e scolorite,
se paragonate all'intensa gioia di vivere,
all'amore e alla forza che si sprigionano ora da me.
(...)
...anch'io credo, so che esiste un'altra vita.
Credo persino che certe persone siano in grado di vederla
e di viverla anticipatamente.
Quello è un mondo in cui gli eterni sussurri mistici si sono fatti viva realtà,
e in cui gli oggetti e le parole comuni
hanno acquistato un significato più alto.


(Etty Hillesum; "Diario")

martedì 31 gennaio 2017

L'anima è diversa da ciò che noi chiamiamo "sentimento"

- 12 ottobre 1942

L'età dell'anima 
è diversa da quella registrata all'anagrafe.
Credo che l'anima 
abbia una determinata età fin dalla nascita,
e che questa età non cambi più.
Si può nascere con un'anima che ha dodici anni.
Si può anche nascere con un'anima che ne ha mille,
esistono ragazzini dodicenni in cui si sente un'anima simile.
Credo che l'anima sia la parte più inconscia dell'uomo,
soprattutto in Occidente,
penso che un orientale "viva" la propria anima molto di più.
L'occidentale non sa bene che farsene
e se ne vergogna come di una cosa immorale.
L'anima è diversa da ciò che noi chiamiamo "sentimento".
Ci sono persone che hanno molto "sentimento" ma poca anima.


(Etty Hillesum; "Diario")

lunedì 30 gennaio 2017

oso contare su questi continuatori che seguiranno,

La vita è atroce; 
lo sappiamo.
Ma proprio perché aspetto tanto poco dalla condizione umana,
i periodi di felicità, 
i progressi parziali,
gli sforzi di ripresa e di continuità 
mi sembrano 
altrettanti prodigi
che compensano quasi 
la massa immensa 
dei mali,
degli insuccessi, 
dell'incuria 
e dell'errore.
Sopravverranno le catastrofi e le rovine; 
trionferà il caos,
ma di tanto in tanto verrà anche 
l'ordine.
La pace 
s'instaurerà di nuovo tra le guerre;
le parole umanità, libertà, giustizia 
ritroveranno qua e là il senso
che noi abbiamo tentato d'infondervi.
Non tutti i nostri libri periranno;
si restaureranno le nostre statue infrante; 
alcune cupole,
altri frontoni sorgeranno dai nostri frontoni, dalle nostre cupole;
vi saranno uomini che penseranno, lavoreranno e sentiranno come noi:
oso contare su questi continuatori che seguiranno,
a intervalli irregolari, lungo i secoli,
su questa immortalità intermittente.


(Marguerite Yourcenar; "Memorie di Adriano")

domenica 29 gennaio 2017

sorpassa ogni umana immaginazione.


Le cose dell’anima
si devono sempre considerare con 
ampiezza,
estensione e 
magnificenza,
senza paura di esagerare,
perché 
la capacità dell’anima
sorpassa 
ogni umana immaginazione.


(Santa Teresa d'Avila; "Il castello interiore")

sabato 28 gennaio 2017

ma il nostro nucleo interiore diventa sempre più forte.

- 3.luglio '43, Westerbork

Jopie, Klaas, miei cari amici
(...)

Proverò a descrivervi come mi sento,
ma non so se questa metafora è giusta.
Quando un ragno tesse la sua tela,
non lancia forse i fili principali davanti a sé e ci si arrampica poi sopra?
La strada principale della mia vita
è tracciata per un lungo tratto davanti a me e arriva già in un altro mondo.
È proprio come se tutte le cose che succedono e che succederanno qui
siano già, in qualche modo, date per scontate dentro di me,
le ho già vissute e assorbite
e già partecipo alla costruzione di una società futura.
La vita qui non consuma troppo le mie forze più profonde
- fisicamente si va forse un po' giù
e spesso si è immensamente tristi,
ma il nostro nucleo interiore diventa sempre più forte.
Vorrei che fosse così, anche per voi e per tutti i miei amici, è necessario, 
dobbiamo ancora condividere molte esperienze e molto lavoro tutti insieme.
Perciò vi raccomando:
rimanete al vostro posto di guardia se ne avete già uno dentro di voi,
e per favore non rattristatevi né disperatevi per me, non c'è motivo.
(...)
Per il resto, il mio unico desiderio è che stiate bene e che siate lieti,
scrivetemi ogni tanto due righe innocenti.

Con molto, molto affetto
Etty


(Etty Hillesum; "Lettere da Westerbork")

venerdì 27 gennaio 2017

oltrepassato quel limite, muore da sé

- 3.luglio '43, Westerbork

Jopie, Klaas, miei cari amici
(...)

Forse io sono una donna ambiziosa: vorrei dire anch'io una piccola parolina.
Parli di suicidio e di madri e figli. Certo che posso capire queste cose,
ma trovo che è un argomento malsano.
C'è un limite a tutte le sofferenze,
forse a un essere umano non tocca sopportare più di quanto non possa
- oltrepassato quel limite, muore da sé.
Ogni tanto qui muore qualcuno perché il suo spirito è a pezzi
e non riesce più a capire, in genere sono persone giovani.
Le persone anziane sono piantate in un terreno più solido
e accettano il loro destino con dignità e rassegnazione.
Si, qui si vede una gran varietà di persone
e si osserva il loro atteggiamento verso le questioni più ardue,
le questioni ultime...

Con molto, molto affetto
Etty


(Etty Hillesum; "Lettere da Westerbork")

giovedì 26 gennaio 2017

dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà

- 3.luglio '43, Westerbork

Jopie, Klaas, miei cari amici
(...)

A ogni nuovo crimine o orrore
dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà
che avremo conquistato in noi stessi.
Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere.
E se sopravviveremo intatti a questo tempo,
corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio,
allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita.


Con molto, molto affetto
Etty


(Etty Hillesum; "Lettere da Westerbork")

mercoledì 25 gennaio 2017

la vita è una cosa splendida e grande

- 3.luglio '43, Westerbork

Jopie, Klaas, miei cari amici
(...)
Volevo solo dire questo:
la miseria che c'è qui è veramente terribile
- eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi,
mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato,
e allora dal mio cuore s'innalza sempre una voce
- non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare -,
e questa voce dice:
la vita è una cosa splendida e grande,
più tardi dovremo costruire un mondo completamene nuovo.

Con molto, molto affetto
Etty


(Etty Hillesum; "Lettere da Westerbork")

martedì 24 gennaio 2017

e questa è la mia preghiera.

Mi hai resa così ricca, mio Dio,
lasciami anche dispensare agli altri a piene mani.
La mia vita è diventata 
un colloquio ininterrotto con te, mio Dio,
un 
unico 
grande 
colloquio.
A volte, quando me ne sto in un angolino del campo,
i miei piedi 
piantati sulla tua terra, 
i miei 
occhi rivolti al cielo,
le lacrime 
mi scorrono sulla faccia,
lacrime 
che sgorgano da una profonda emozione e riconoscenza.
Anche di sera, 
quando sono coricata nel mio letto e riposo in te, mio Dio,
lacrime di riconoscenza 
mi scorrono sulla faccia e questa è 
la mia preghiera.
Sono molto, molto stanca, 
già da diversi giorni, 
ma anche questo passerà,
tutto avviene secondo un ritmo più profondo
che si dovrebbe insegnare ad ascoltare,
è la cosa più importante che si può imparare in questa vita.

Accadono proprio dei miracoli in una vita umana,
la mia è una catena di miracoli interiori...


(Etty Hillesum; "Lettere da Westerbork")

lunedì 23 gennaio 2017

il mondo intero mi pareva piccolo e stupido

Tu vivevi,
io non ne sapevo niente.
Avevi fatto il mio cuore a tua misura,
la mia vita per durare quanto Te,
ma
poiché Tu non eri presente,
il mondo intero mi pareva piccolo e stupido
e il destino degli uomini insulso e cattivo.
Quando ho saputo che
Tu vivevi,
Ti ho ringraziato
di avermi fatto vivere,
Ti ho ringraziato
per la vita del mondo intero.

Madeleine Delbrêl

domenica 22 gennaio 2017

Ha camminato in mezzo agli uomini.


" Inizia un altro giorno, Gesù vuol viverlo in me.

Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d'oggi.

.... Gesù, dappertutto, non ha cessato d'essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d'essere, in ogni istante, 
gli inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato, durante questo giorno che inizia, 
a tutta l'umanità, del nostro tempo, di ogni tempo, della mia città e del mondo. ... "

(Il piccolo monaco)
Madeleine Delbrêl

sabato 21 gennaio 2017

La libertà ti è stata data in dono, come tutte le perle preziose della vita, ma ne scopri il valore solo quando ti metti a cercarla, dentro di te,


Da ieri sera 
la parola ‘libertà’ è ancora più preziosa, 
come di quel tale che dopo aver ricevuto in dono dal monaco vagabondo una pietra di infinito valore, capisce che la vera ricchezza è di chi ha in se la libertà che gli permette di dar via una pietra preziosa, non più schiavo degli attaccamenti.
La libertà ti è stata data in dono, come tutte le perle preziose della vita, ma ne scopri il valore solo quando ti metti a cercarla, dentro di te, facendoti strada con fatica quotidiana tra gli attaccamenti che il mondo e noi stessi ci inventiamo giorno dopo giorno.
Hesse scrive:
“Sì, dica sì a se stesso,
alla Sua peculiarità,
ai Suoi sentimenti,
al Suo destino!
Non c'è altra via.
Dove conduca non lo so,
ma va verso il centro della vita, della realtà,
nel pieno dell'ardore e del necessario.”
Credo davvero che Dio si sia riservato un posto, dentro di noi, in profondità, dove sappiamo abita la nostra parte più vera, quella che desidera verità, quella più semplice.
Noi a volte sentiamo il profumo di libertà, e forse basta quello per farcela anelare, per darci la spinta forte alla ricerca di quel pezzettino di libertà che da solo spezza catene di schiavitù.
Giorgio Bonati

venerdì 20 gennaio 2017

Una vita diventata più dura e insopportabile della morte.

«Lasciami»
grida Giobbe a Dio, supplicandolo di liberarlo dalla vita.
Una vita diventata più dura e insopportabile della morte.
Il pensiero corre alla pagina biblica davanti alla drammatica vicenda di Fabiano, il giovane tetraplegico che per sé invoca la morte davanti a una vita che pare senza più speranza.
Lucide sono le parole di Giobbe il quale,
dopo
un tempo di successi in ogni campo (affettivo, economico, politico: era stato ricchissimo, aveva avuto una famiglia meravigliosa, era stato stimato e rispettato come uno degli uomini più influenti della sua città)
adesso
che ha perso repentinamente ricchezze, figli, potere e salute, preferirebbe morire. La morte – considera Giobbe – è migliore della vita:
«Lì il prigioniero non deve sopportare la voce dell’aguzzino».
Meglio le tenebre della morte – che pongono fine a ogni dolore – di una vita fatta di sofferenza atroce e dolore senza fine.
Ma ciò che più inquieta Giobbe è
la ragione di tale dolore,
impossibile da spiegare,
un mistero davanti al quale egli non rinuncia a interpellare Dio.
Non segue il consiglio di sua moglie e dei suoi amici che lo invitano a prendere atto della rovina e ad accettare sia il dolore sia la morte.
La 'rivolta' di Giobbe sta nella protesta, nella contestazione:

perché mi sono toccati giorni di dolore? 

Sul filo sospeso di questa domanda
Giobbe continua a vivere e a non consegnarsi alla morte.

Dal Cielo non verranno risposte facili, né veloci.

Ma Dio continuerà a tenere fisso lo sguardo su di lui e non lo lascerà.
In quello sguardo ecco la ragione e la forza per non abbandonarsi alla morte.
La dignità di ogni vita umana si fonda sullo sguardo dell’Altro.
Giobbe non accetta ragioni 'oggettive' o autonome per consegnarsi alla vita o alla morte,
ma chiama in causa Qualcuno, fin dall’inizio e in ogni cosa coinvolto con il suo destino.
Di fronte al dolore dell’innocente e alla morte dell’uomo neppure Dio può tirarsi indietro.
Con il dolore Dio mette alla più dura prova Giobbe,
ma Giobbe reagisce chiamando Dio a paragone.
E alla fine vincerà.
«Prima ti conoscevo per sentito dire – concluderà –, ma ora i miei occhi ti vedono».
Dentro il buio della vita.

Quel grido di Giobbe dentro il buio del dolore
di Rosanna Virgili
in “Avvenire” del 20 gennaio 2017

giovedì 19 gennaio 2017

Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus

SERVE UNA CHIESA -
«Anzitutto
non bisogna cedere 
alla paura di cui parlava il beato John Henry Newman:
«Il mondo cristiano sta gradualmente diventando sterile, e si esaurisce come una terra sfruttata a fondo che diviene sabbia».
Non bisogna cedere
al disincanto, allo scoraggiamento, alle lamentele.
Abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere degli sconfitti, e abbiamo il sentimento di chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti.

Rileggiamo in questa luce, ancora una volta, l’episodio di Emmaus (cfr Lc 24, 13-15).

I due discepoli scappano da Gerusalemme.
Si allontanano dalla “nudità” di Dio.
Sono scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale avevano sperato e che ora
appare irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno (vv. 17-21).
Il mistero difficile
della gente che lascia la Chiesa;
di persone che, dopo essersi lasciate illudere da altre proposte,
ritengono che ormai la Chiesa - la loro Gerusalemme - non possa offrire più
qualcosa di significativo e importante.

E allora vanno per la strada da soli, con la loro delusione.
Forse la Chiesa è apparsa
troppo debole,
forse troppo lontana dai loro bisogni,
forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini,
forse troppo fredda nei loro confronti,
forse troppo autoreferenziale,
forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi,
forse il mondo sembra aver reso la Chiesa
un relitto del passato,
insufficiente per le nuove domande;
forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo
ma non per la sua età adulta.

Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus;
non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi,
ma anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica.

Di fronte a questa situazione che cosa fare?

Serve una Chiesa
che non abbia paura di entrare nella loro notte.
Serve una Chiesa
capace di incontrarli nella loro strada.
Serve una Chiesa
in grado di inserirsi nella loro conversazione.
Serve una Chiesa
che sappia dialogare con quei discepoli,
i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli,
con il proprio disincanto,
con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno
sterile,
infecondo,
incapace di generare senso».
papa Francesco, Ai vescovi brasiliani – 27 luglio 201

mercoledì 18 gennaio 2017

Paura

LA GRANDE PAURA
La storia della mia persona
è la storia di una grande paura
di essere me stessa,
contrapposta alla paura di perdere me stessa,
contrapposta alla paura della paura.

Non poteva essere diversamente:
nell’apprensione si perde la memoria,
nella sottomissione tutto.

Non poteva
la mia infanzia,
saccheggiata dalla famiglia,
consentirmi una maturità stabile, concreta.
Né la mia vita isolata
consentirmi qualcosa di meno fragile
di questo dibattermi tra ansie e incertezze.

All’infanzia sono sopravvissuta,
all’età adulta sono sopravvissuta.
Quasi niente rispetto alla vita.
Sono sopravvissuta, però.
E adesso, tra le rovine del mio essere,
qualcosa, una ferma utopia, sta per fiorire.
 Piera Oppezzo

Si ha paura di migliaia di cose, del dolore, dei giudizi,del proprio cuore, si ha paura del sonno, del risveglio, paura della solitudine, del freddo, della follia, della morte.
Specialmente di quest’ultima, della morte.
Ma sono tutte maschere, travestimenti.
In realtà c’è una sola paura: quella di lasciarsi cadere, di fare quel passo verso l’ignoto lontano da ogni certezza possibile.
(Hermann Hesse)

martedì 17 gennaio 2017

Paure

Si ha paura di migliaia di cose,
del dolore,
dei giudizi,
del proprio cuore,
si ha paura
del sonno,
del risveglio,
paura
della solitudine,
del freddo,
della follia,
della morte.
Specialmente di quest’ultima,

della morte.

Ma sono tutte maschere, travestimenti.

In realtà c’è una sola paura:
quella di lasciarsi cadere,
di fare quel passo verso l’ignoto lontano da ogni certezza possibile.
(Hermann Hesse)

lunedì 16 gennaio 2017

qualsiasi tentativo per saperne di più fa presto a sembrare indiscrezione, sia all'imperatore sia allo schiavo.

(...)
L'osservazione diretta degli uomini
è una norma ancora meno completa, limitata com'è, nella maggior parte dei casi,
alle constatazioni piuttosto grette di cui la maldicenza umana si pasce.
Il rango, la posizione, i casi della nostra vita
restringono inoltre il campo visivo dell'osservatore:
il mio schiavo ha possibilità completamente diverse
da quelle che io ho per osservar lui; e tanto brevi quanto le mie.
Son venti anni che il vecchio Euforione mi porge il flacone dell'olio e la spugna,
ma la mia conoscenza di lui si ferma al suo compito,
e la sua di me al mio bagno;
e qualsiasi tentativo per saperne di più fa presto a sembrare indiscrezione,
sia all'imperatore sia allo schiavo.
Quel che sappiamo sul conto degli altri è quasi tutto di seconda mano.
Se per caso qualcuno si confida, non fa che perorare la sua causa;
la sua apologia è già pronta. Se lo osserviamo, non è solo.
Mi è stato rimproverato di leggere con piacere i rapporti della polizia di Roma;
vi scopro continuamente di che stupire;
amici o sospetti, sconosciuti o familiari, questa gente mi sorprende;
le loro follie mi servono di scusante alle mie.
Non mi stanco mai di paragonare la persona tutta vestita all'uomo nudo.
Ma questi rapporti ingenuamente circostanziati
aumentano il fascio dei miei documenti
e non mi danno l'ombra d'un aiuto per emettere un verdetto.
Che il tale magistrato dall'aspetto austero abbia commesso un delitto
non mi consente affatto di conoscerlo meglio.
Ormai, mi trovo in presenza di due fenomeni anziché di uno solo,
l'apparenza del magistrato e il suo delitto.
Quanto all'osservazione di me stesso, mi ci costringo,
non foss' altro che per entrare a far parte di questo individuo
in compagnia del quale mi toccherà vivere fino all'ultimo giorno;
ma una familiarità che dura da quasi sessant'anni
comporta ancora parecchie probabilità di errore.
Nel profondo, la mia conoscenza di me stesso è oscura;
interiore, inespressa, segreta come una complicità.
Dal punto di vista più impersonale, è gelida,
tanto quanto le teorie che posso elaborare sui numeri:
mi valgo di quel po' d'intelligenza che ho per esaminare più dall'alto,
da lontano, la mia vita, che, in tal modo, diventa la vita di un altro.
Ma questi due procedimenti della conoscenza di sé sono difficili,
ed esigono, l'uno che ci si cali entro se stessi, l'altro che ci si ponga all'esterno.
Per inerzia, tendo come tutti a sostituirvi mezzi meramente consuetudinari,
un'idea della mia vita parzialmente modificata
dall'idea che se ne forma il pubblico:
giudizi bell'e fatti, cioè a dire mal fatti, come un modello già preparato
sul quale un sarto maldestro adatti a fatica la nostra stoffa.
Strumenti di valore ineguale, utensili più o meno logori; ma non ne possiedo altri:
me ne servo per foggiarmi alla meglio un'idea del mio destino d'uomo.


(Marguerite Yourcenar; "Memorie di Adriano")


domenica 15 gennaio 2017

con l'andar del tempo, la vita m'ha chiarito i libri.

Come chiunque altro,
io non dispongo che di tre mezzi per valutare l'esistenza umana:
lo studio di se stessi è il metodo più difficile, il più insidioso, ma anche il più fecondo;
l'osservazione degli uomini, i quali nella maggior parte dei casi s'adoperano per nasconderci i loro segreti o per farci credere di averne;
e i libri, con i caratteristici errori di prospettiva che sorgono tra le righe.
Ho letto, più o meno, tutto quel che è stato scritto dai nostri storici, dai nostri poeti, persino dai favolisti, benché questi ultimi siano considerati frivoli,
e son loro debitore d'un numero d'informazioni, forse, maggiore di quante ne abbia raccolte nelle esperienze pur tanto varie della mia stessa vita.
La parola scritta m'ha insegnato ad ascoltare la voce umana, press' a poco come gli atteggiamenti maestosi e immoti delle statue m'hanno insegnato ad apprezzare i gesti degli uomini.
Viceversa, con l'andar del tempo, la vita m'ha chiarito i libri. 
Ma questi mentono, anche i più sinceri.
I meno abili, in mancanza di parole e di frasi nelle quali racchiuderla, colgono, della vita, un'immagine povera e piatta; altri, come Lucano, l'appesantiscono, l'ammantano di una dignità che non possiede.
Altri ancora, al contrario, come Petronio, l'alleggeriscono, ne fanno una palla vuota e saltellante, che è facile prendere e lanciare in un universo senza peso.
I poeti ci trasportano in un mondo più vasto, o più bello, più ardente o più dolce di quello che ci è dato; per ciò appunto, diverso, e, in pratica, pressoché inabitabile.
I filosofi sottopongono la realtà, per poterla studiare allo stato puro, press' a poco alle stesse trasformazioni che subiscono i corpi sotto l'azione del fuoco e del macero: di un essere o di un avvenimento, quali li abbiamo conosciuti noi, pare non sussista nulla in quei cristalli o in quella cenere.
Gli storici ci propongono una visione sistematica del passato, troppo completa, una serie di cause ed effetti troppo esatta e nitida per aver mai potuto esser vera del tutto; rimodellano questa docile materia inanimata, ma io so che anche a Plutarco sfuggirà sempre Alessandro. (...)
(Marguerite Yourcenar; "Memorie di Adriano")

domenica 1 gennaio 2017

A tutti quelli che ancora si commuovono.

A tutti quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari
a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi.
Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore
A coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.
A tutti quelli che ancora si commuovono.
Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.
A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.
Ai poeti del quotidiano.
Ai "vincibili" dunque, e anche
agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
A tutti i cavalieri erranti.
A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.
(Miguel de Cervantes - da “Don Chisciotte”)