L’uomo: viator e peregrinus
di p. Attilio Franco Fabris
Se guardiamo alle civiltà arcaiche
(all’antica Grecia per esempio o anche alle filosofie orientali)
restiamo colpiti dal fatto
che il tempo è svuotato in un certo senso di rilevanza.
In esse è viva l’angoscia della vita che sfugge
sia a livello di individuo come di cosmo…
occorre sfuggirvi ad ogni costo.
Lo strumento è la visione mitica di un tempo ciclico,
ovvero di un eterno ritorno e incessabile ripetersi delle cose:
e questo rende possibile il recupero di tutto
ciò che sembra vada irrimediabilmente perduto.
Forse il viaggio di Ulisse ne è l’emblema più significativo.
Ovvio che per far questo sia indispensabile sganciarsi
dal valore della continuità degli eventi quotidiani;
essi assumono significato solo alla luce di un proiettarsi al di là di essi,
in un tempo mitico che solo è reale.
Sulla stessa linea,
ma con motivazioni diverse,
le filosofie dei secoli passati,
tralasciando l’insegnamento biblico,
posero l’accento e l’attenzione sugli aspetti immutabili dell’uomo:
ovvero sulla sua essenza, sulla sua natura, sulla sua anima.
La sua storicità passava in second’ordine.
Non interessava più di tanto perché ciò che è più vero
e più importante è ciò che è al di là del tempo,
ciò che è eterno.
Per la storia rimaneva uno sguardo di commiserazione e rassegnazione:
una povera valle di lacrime dalla quale occorre sfuggire al più presto.
La filosofia esistenzialista porterà al centro proprio l’uomo,
in questo figlia del rinascimento e dell’illuminismo,
nel suo collocarsi nel mondo e nella storia.
L’esistenza appare come un “cammino”, un “compito da assolvere”.
Si è compreso, reagendo alla visione precedente che guardava all’essenza e all’eterno,
che l’esistenza umana è esistenza temporale,
che non si realizza in un solo momento,
ma in una continua successione di tempi,
strettamente vincolati tra loro.
Ed è così che si approda ad una visione di uomo “adulto”,
trasformato dalla storia che vive
ma altresì capace di trasformare la storia stessa.
In questa linea nuove correnti filosofiche accentueranno
che ormai l’unico protagonista della storia
è l’uomo e solo lui.
(Si pensi al marxismo, alle correnti storicistiche, ad autori esistenzialisti come J.P. Sartre).
Per essi:
“L’uomo sarà in seguito, e sarà quale si sarà fatto… l’uomo non è altro che ciò che si fa”.
Uno sguardo alla nostra cultura rivela un ulteriore accostamento alla storia.
L’uomo di oggi ha scelto di rinunciare alla storia
per ripiegarsi sull’istante.
Il momento attuale va vissuto con la massima intensità (di piacere) possibile.
La nostra cultura vede la ricerca affannosa, angosciata
di una moltiplicazione di istanti,
che vorrebbero tentare di riempire il vuoto
lasciato da una mancata progettualità,
e da una mancanza “di memoria” per il proprio passato.
Disancorato dal passato e dal futuro l’uomo di oggi
si ritrova sospeso sull’istante,
ma sospeso sul vuoto.
E nessuno è più perso di colui che non sa dove andare.
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