mercoledì 19 giugno 2013

La vita si rivela un compito da portare a termine


IL DIO DELLA VITA
di p. Attilio Franco Fabris

NELL’ANTICO TESTAMENTO

La vita compare nelle ultime tappe della creazione, come suo coronamento.
Nel quinto giorno nascono “i grandi cetacei, gli esseri viventi che guizzano e pullulano nelle acque” (Gn 1,21) e gli uccelli. A sua volta la terra produce altri esseri viventi (1,24). Infine Elohim crea, a sua immagine, il più perfetto dei viventi: l’uomo.

E, per assicurare a questa vita nascente la continuità e la crescita,
Dio le fa’ dono della sua benedizione:
“Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (1,22.28).

Dunque la prima parola di Elohim per l’uomo,
è una parola
di benedizione 
per la vita, 
per la sua crescita, 
per il suo sviluppo e incremento.

La crescita è la legge della vita. Essa si deve moltiplicare. Ma l’uomo non deve far solo quest’opera di “moltiplicazione”, egli è chiamato bensì anche ad una ulteriore opera di “crescita” nella sua responsabilità: egli deve avere dominio sul mondo, ovvero governarlo dome luogotenente del Dio Creatore (Gn 1,22.28.;9,7).

L’uomo, per vivere correttamente questa sua vocazione,
avrà sempre coscienza che la sua vita,
la sua crescita non trova origine in lui stesso, 
ma nel Dio della vita:
“Cresce forse il papiro fuori della palude e si sviluppa forse il giunco senz’acqua?” (Gb 8,11).
“O speranza di Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato te, la fonte di acqua viva, il Signore” (Gr 17,13)

E’ la benedizione del Creatore infatti che assicura il principio della vita, il suo permanere e il suo crescere.

Sant’Ireneo vescovo di Lione nel IV secolo, dirà  che nel creare l’uomo,
Dio lo fece bambino perché potesse crescere:
gloria Dei homo vivens.

Rileggendo sotto questa angolatura la storia della salvezza risulta evidente 
come JHWH abbia avuto un progetto fondamentale 
disatteso per l’umanità intera:
che essa non solo crescesse nel numero ma anche nella sua fedeltà e nel suo amore.

L’umanità disobbedendo a questo progetto ha fatto entrare la forza del male nella sua storia:
un male che porta con sé la morte, l’assenza della vita:
“Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!”(Gn 3,19).

Ma Dio è fedele.
Da quel momento la sua azione sarà
un continuo riproporre all’uomo il ritorno a lui,
con la conseguente uscita da ogni situazione di morte,
affinché l’uomo possa ritrovare e risperimentare  il dono della vita
vincendo la gravitazione negativa dell’abisso della morte.

Ripercorrendo le pagine della Scrittura appare evidente
di come JHWH abbia perseguito fedelmente questo progetto fondamentale:
“Quando Israele era giovinetto io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio…
 Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano…
 Ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,1-4).

Così la storia dell’Alleanza,
l’offerta della vita che si concretizza
nel dono della Thorà (=Legge), tra Dio e il suo popolo
è contrassegnata dagli interventi di Dio
al fine di farlo crescere nella libertà e nella responsabilità.
Questi interventi
si manifestano
nella sconfitta delle forze statiche della morte
che rischiano di far naufragare il piano della salvezza:
“Ponete nella vostra mente tutte le parole che io oggi uso come testimonianza contro di voi.
Le prescriverete ai vostri figli, perché cerchino di eseguire tutte le parole di questa legge.
Essa infatti non è una parola senza valore per voi;
anzi è la vostra vita; per questa parola passerete lunghi giorni
sulla terra di cui state per prendere possesso passando il Giordano” (Dt 32,46s)

Ecco così che ad Abramo Dio rivolge l’invito ad uscire dalla sua terra,
dalla staticità dell’adorazione di idoli falsi e morti, ad incamminarsi.
Gli viene proposto un cammino, un itinerario con una meta.

La vita si rivela un compito da portare a termine:
“Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo Padre, verso il paese che io ti indicherò” (Gn 12,1).

Israele schiavo in Egitto fa’ esperienza
di un Dio che irrompe improvviso 
nella rassegnazione della sua situazione di schiavitù
come liberatore,
che lo strappa da una situazione di morte letta
come perdita di speranza,
ripiegamento su di sé.

Israele fa’ esperienza di questa uscita e di un lungo cammino,
faticoso e
sofferto ma
necessario alla sua crescita
affinché egli possa imparare a rispondere all’Alleanza del suo Dio:
“Dio guidò il popolo per la strada del deserto verso il Mar Rosso…
Il Signore marciava alla loro testa” (Es 13,18s).

Anche la predicazione dei profeti si situa sempre in questa direzione:
Dio vuole dare la vita al suo popolo, e tramite lui all’umanità intera.
Ad es. Ezechiele di fronte alla tremenda catastrofe del 586, la distruzione di Israele e la deportazione a Babilonia, annuncia al popolo che ormai si crede morto, abbandonato che JHWH ridonerà la vita: “Ecco io apro i vostri sepolcri e vi resuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese di Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi resusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio! Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò” (37,12-14).

E come non ricordare il grande e tenerissimo racconto nuziale di Ez. 16? JHWH raccoglie con premura materna quella bambina, che raffigura Israele, appena nata, abbandonata nei campi, sporca di sangue e a cui non era ancora stato tagliato il funicolo ombelicale. Era destinata irrimediabilmente alla morte. Ma JHWH la prende con sé, la alleva con cura, la fa’ crescere affinché divenga sua sposa: “Passai vicino a te e ti vidi mentre ti dibattevi nel sangue e ti dissi: Vivi nel tuo sangue e cresci come l’erba del campo. Crescesti e ti facesti grande e giungesti al fiore della giovinezza” (16,6s).

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