giovedì 20 giugno 2013

la crescita per il cristiano ha una meta ben precisa l’aderire sempre più a Cristo


IL DIO DELLA VITA
di p. Attilio Franco Fabris

NEL NUOVO TESTAMENTO

Il dono della vita all’umanità raggiunge il suo vertice e la sua completezza nel dono del Verbo della vita: “In lui era la vita”(Gv 1,4a).

Il dono della vita non è più perciò mediato dalla Legge
ma è offerto nella sua pienezza nell’incarnazione del Verbo:
“Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo”(Gv 1,17).

La vita che ci viene donata nel Verbo allarga la sua dimensione sull’eternità di Dio,
è molto più del solo esistere biologico:
diviene tensione ad una pienezza alla comunione con l’origine stessa di ogni vita:
è questa la “grazia” di cui parla Giovanni:
la promessa di una vita eterna in comunione con Dio.

Nell’Incarnazione il Verbo eterno assume la vita umana in tutta la sua realtà,
diviene soggetto alle leggi della condizione umana:
è in primo tempo un bambino che nasce da donna, 
che cresce in forza e sapienza (Cfr. Lc 2,40.52).
E questo sta ad indicare il collocarsi di Gesù in modo reale sul cammino di crescita di ogni uomo.
Si tratta di un dinamismo di crescita non semplicemente umana
ma bensì di fedeltà ed obbedienza alla volontà del Padre.

La vita di Gesù e la missione con cui essa si identifica,
in modo particolare in Luca,
sono descritte come
un itinerario, 
un cammino, 
una crescita, 
una salita verso un compimento:
Gerusalemme.

Anche la realtà del Regno, della Chiesa suo sacramento,
è presentata in termini dinamici di crescita vitale:
il vangelo parla di granellino di senape, di lievito, gli Atti parlano di accrescimento progressivo del numero dei credenti (cfr 2,41) e di crescita della Parola: “Intanto la Parola di Dio cresceva e si diffondeva” (12,24).

Inserito per il battesimo in Cristo e nella Chiesa
anche il singolo discepolo è chiamato a crescere nella maturazione della sua vita cristiana.

Egli deve crescere
nella fede (cfr. 2Cor 10,15);
nella conoscenza di Dio,
fruttificando in ogni opera buona
e crescendo nella carità (cfr. Col 1,10).

E’ Dio che opera anzitutto questa crescita (cfr. 1Cor 3,6-9),
ed è lo Spirito “che è Signore e dà la vita” che fa progredire verso Cristo, il capo del corpo.
Dunque la crescita per il cristiano ha una meta ben precisa l’aderire sempre più a Cristo,
e farlo crescere in sé conformandosi sempre più a Lui:
“Quelli che da sempre ha conosciuto (il Padre) li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8,29).

In tal modo sia il corpo mistico di Cristo sia il singolo credente,
vengono edificati con Cristo e verso Cristo.

“In Cristo ogni costruzione cresce ben ordinata
per essere tempio santo nel Signore;
in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2,21s)

La forza dinamica di questa crescita è la carità.
Il testo fondamentale lo ritroviamo nella lettera ai cristiani di Efeso:
“E’ lui che ha stabilito alcuni…
al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto nella misura in cui conviene alla piena maturità di Cristo… Vivendo secondo la verità nella carità,
cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo,
dal quale tutto il corpo ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro,
riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità” (4,11-16).

Abbiamo dunque una meta e uno strumento per raggiungerla:
arrivare alla statura di uomo perfetto (Cristo) nella forza dinamica dell’amore.

Allora deduciamo che:
vocazione primaria fondamentale dell’uomo,
del cristiano che ha la conoscenza,
è il saper riconoscere la vita come dono offerto
da un Altro,
Dio,
un dono che diviene compito,
che richiede un cammino verso una meta ben precisa.
Si tratta di dire di sì alla vita.

In Paolo questo sì alla vita si trasforma addirittura in un “correre verso la meta”:
“Fratelli io non ritengo di essere giunto ancora alla meta.
Questo soltanto io so.
Dimentico del passato e proteso verso il futuro corro verso la meta per arrivare al premio
che Dio ci chiama a ricevere lassù in Cristo Gesù” (Fil 3,13-14).

Tale corsa anche per l’autore della Lettera agli Ebrei non è opzionale,
ma un imperativo per ogni discepolo:
“Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti,
tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (12,1-2).

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