L’uomo: viator e peregrinus
di p. Attilio Franco Fabris
Il poeta G. Gibran,
nel suo libro più famoso intitolato,
Il Profeta
scrive:
"Noi gli erranti
sempre alla ricerca
della strada più solitaria,
mai iniziamo un giorno
là dove
ne abbiamo terminato un altro,
ed ogni levare di sole
non ci trova
là dove
abbiamo ammirato la luce del vespro.
Anche quando
la terra dorme
viaggiamo”.
L’uomo è presentato
come un pellegrino ,
un pellegrino del tempo.
Un tempo inarrestabile,
che scorre senza che
possa essere afferrato mai,
l’uomo non ne è il padrone.
Ma è proprio
questa “drammaticità” del tempo
che scorre
che colloca l’uomo
sempre in posizione nuova
nei confronti del suo passato e del suo futuro.
E’ il tempo che permette un cammino,
un progresso,
una crescita,
una progettualità.
Il camminare perciò è stato assunto nelle diverse culture
come una simbolica primaria per esprimere
lo scorrere del tempo e della vita.
Basti pensare a tutta la simbologia legata
al viaggio, al pellegrinaggio, alla salita, alla traversata…
Bene perciò il filosofo G. Marcel
definisce l’uomo come
viator,
viaggiatore.
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