martedì 27 agosto 2013


Marina Štremfelj 
Centro Aletti 
Il colloquio spirituale è un’arte che prende le dimensioni e i colori della 
sapienza dell’ascolto e della comunicazione
IL COLLOQUIO SPIRITUALE dovrebbe favorire…: 

17. Il colloquio spirituale fa maturare nella vera umiltà,
perché l’umiltà porta alla docilità
e la docilità al dialogo, alla relazione, alla fiducia
e a tutto il resto a cui finora ci siamo riferiti.  
L’umiltà autentica,
quindi, a differenza dell’umiltà falsa,
è la maestra di tutte le esperienze spirituali
che, prima o poi, portano alla sapienza  spirituale.
Lo conferma anche sant’Antonio dicendo:
“Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra, e dissi gemendo: – Chi potrà mai 
scamparne? E udii una voce che mi disse: – L’umiltà”.
Quindi non conviene incoraggiare gli sforzi umani per acquisire l’umiltà, in quanto si tratta di una pura grazia di Dio, ma “l’accompagnatore dovrebbe pazientemente aspettare il proprio accompagnato nel luogo dove la grazia dolcemente lo spinge: quello dell’umiliazione e della contrizione del cuore, il luogo della sua pasqua interiore, dove la nuova vita potrà sgorgare alla fine”.
 Tuttavia alla vera umiltà, come frutto puro dello Spirito Santo, si arriva “attraverso un percorso inevitabile di umiliazione, [che] riesce ad eludere le astuzie di  questa manipolazione strana ed a ridurre l’influenza negativa del super-io, fino a renderlo tale da potersi egli stesso lasciare investire 
nell’interiore dallo Spirito”.
  Perché allora è tanto importante l’esperienza dell’umiliazione nel cammino spirituale? Perché è lo stato più favorevole che apre l’uomo all’azione dello Spirito Santo e alle sue grazie. Inoltre, è la più efficace per sciogliere il muro più duro,  cioè l’orgoglio e la superbia, il potere, il benessere superficiale. Superficialità, perfezionismo, narcisismo si vincono solo con l’umiliazione che, a sua volta, ci protegge dal rischio “di ridurre una vocazione o un percorso spirituale a uno specchio narcisistico dove ogni anima si ammira, rischiando come Narciso, di annegarvi”.
  In questo cammino è più che mai importante avere il senso delle proprie debolezze e della propria fragilità, per non rischiare di vantarsi di noi stessi e di contare sulle nostre forze e sulle nostre capacità. Questo ci porterebbe prima o poi a trovarci nell’assolutizzare i doni, scindendoli dal Donatore. Riconoscere la nostra debolezza ci permette invece di sentire il bisogno di Lui e del suo amore e questo ci rende sensibili, pazienti e buoni anche verso gli altri.
Si tratta di una vera prova, la quale si vince con le parole di san Paolo: “Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò, fuorché delle mie debolezze” (2Cor 12,5). E padre Cleopa diceva: “l’umiltà nasce dall’obbedienza senza brontolii”, quindi senza lamentele, 
mormorazioni e continue proteste. 
Se queste parole si prendono da un punto di vista psicologico, la persona facilmente si innervosisce, invece quando si scopre nell’obbedienza un valore spirituale fondamentale per la nostra salvezza, allora si riesce ad attingere la forza e la grazia e non c’è più bisogno di brontolare. Questo è il frutto spirituale e non quando decidiamo noi di non brontolare più.
André Louf afferma che “si tratta di una virtù che rinvia non tanto alla generosità di ogni uomo di buona volontà, piuttosto ad un cammino concreto… Un tale percorso si gestisce non con gli sforzi dell’uomo, ma per mezzo dell’insondabile pedagogia che Dio stessa spiega al suo riguardo… e su questo percorso dell’umiliazione dello spirito, solo Dio può prendere l’iniziativa…
L’umiliazione è in effetti l’ultima carta da giocare della pedagogia divina, quando Dio costata che qualcuno si trova sul punto di perdersi sul cammino della falsa virtù… solo un’anima alle prese con i tormenti dell’umiliazione può divenire sensibile alla grazia ed apprendere un po’ alla volta a farsi docile alla sua attività”.

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