giovedì 29 agosto 2013

l’essenziale della vita, che si ritrova nel perdono, nel sacramento che trasforma la sterilità nella fecondità.


Marina Štremfelj 
Centro Aletti 
Il colloquio spirituale è un’arte che prende le dimensioni e i colori della 
sapienza dell’ascolto e della comunicazione
IL COLLOQUIO SPIRITUALE dovrebbe favorire…: 

19. Il colloquio spirituale prepara anche alla morte, alla vita eterna, perché la morte non tronca le relazioni. 
Non è un caso che anche sant’Ignazio di Loyola consiglia di aver presente sempre il momento della morte per poter vivere per le cose essenziali.
“Padre Cleopa era solito dire che la più grande saggezza che protegge l’uomo da tutto il peccato e lo conduce in paradiso, alla felicità eterna, è la morte e la meditazione della morte. E avere sempre nella mente e nel cuore la preghiera di Gesù”.
 E anche gli antichi Padri spesso dicevano che bisogna pregare per l’ultima ora. Pensare alla morte non significa  pensare ai funerali, e vedere come tutti piangono, come nei funerali tutti pensano che sia morta una grande persona della quale si ricorderanno per sempre. Non è questo. Prendiamo l’esempio di una mamma che sta a casa, ed è preoccupata di tante cose, come pagare i conti, come sistemare l’ambiente, come…, e le arriva una telefonata: “tuo figlio ha avuto un incidente ed è molto grave”. In quell’istante spariscono tutte le preoccupazioni, l’unico pensiero che conta è come far vincere la vita. 
Quindi, il pensiero della morte è quel momento della vita che mi fa filtrare ogni esperienza e mi  aiuta a non dimenticare le cose più importanti, essenziali della vita, con il loro peso spirituale. Quando facciamo l’esperienza di stare con qualcuno che è sul letto di morte, i nostri pensieri, sentimenti, progetti ecc. scendono automaticamente  al piano inferiore. Questi momenti ci purificano, ci liberano dal superfluo. Quindi anche pensare alla nostra morte – che non si sa quando arriverà, ma siamo solo certi che un giorno di sicuro arriverà –, ci aiuta a distinguere e a discernere ciò che è importante da ciò che è meno importante, per cosa combattere e che cosa bisogna lasciar perdere, perché sappiamo che ogni cosa è niente di fronte alla morte.
Anche il consiglio che padre Cleopa dava più frequentemente sia ai monaci che ai laici era questo: “Se volete andare avanti fino a Dio, avete bisogno di due muri, ma non muri fatti di mattoni, non muri fatti di pietre, di terra, ma di due muri spirituali: abbiate il timore di Dio nella mano destra, perché il profeta Daniele dice: ‘con il timore di Dio l’uomo è stornato dal male’, e nella mano sinistra abbiate il timore della morte, perché dice il figlio di Sirach: ‘figlio, ricorda la tua fine e non peccherai’. Queste due opere buone, cioè il timore di Dio e la meditazione della morte salvano l’uomo da ogni peccato”.
 Ecco la migliore preparazione per la morte:
non la paura per essa, ma il timore, per trovarmi sempre preparato.
Porto un altro esempio di padre Cleopa da cui si vede come la morte non tronca i rapporti, ma anzi rafforza la capacità di aiuto spirituale:
un mese prima della sua morte, diceva a una donna:
“Sorella, quando verrai di nuovo a Sihastria, vieni alla croce nel cimitero e dimmi ogni cosa che hai da dirmi e, se Dio vuole, io ti ascolterò e ti aiuterò”.
Inoltre possiamo ricordarci dell’esempio di Dostoevskij, uno tra i più grandi scrittori russi.
Sua figlia racconta che suo padre, “nel momento di dare l’ultima benedizione ai suoi figli ha chiesto 
di leggere la parabola del figlio prodigo. Su questa sintesi evangelica del destino di ogni uomo 
e della sua fede radiosa egli ha preso congedo:
ricordatevi sempre il perdono del padre e la sua gioia di perdonare”.
 Dostoevskij ha saputo cogliere l’essenziale della vita, che si ritrova nel perdono, nel sacramento che trasforma la sterilità nella fecondità. Questo è ciò che conta nel momento della morte: perdonarci, come il Padre  ha perdonato il figlio prodigo e lo ha abbracciato con amore misericordioso. 

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