mercoledì 21 agosto 2013

E’ Gesù crocifisso che ci “farà capire la croce, e non la croce che ci farà capire Dio: al contrario la croce ci svela l’aspetto più incomprensibile di Dio.


Marina Štremfelj 
Centro Aletti 
Il colloquio spirituale è un’arte che prende le dimensioni e i colori della 
sapienza dell’ascolto e della comunicazione
IL COLLOQUIO SPIRITUALE dovrebbe favorire…: 

11. Il colloquio spirituale conduce alla cristoformità,
per la quale non abbiamo bisogno di tanti libri di teologia o di spiritualità,
ma di persone che, con la loro testimonianza,
trasmettono la vita vissuta in Cristo, per Cristo e con Cristo
e che indicano la strada verso il Padre.
Proprio perché queste hanno vissuto come Cristo,
inevitabilmente fanno vedere che la via personale passa per la via crucis,
che include la logica pasquale,
senza la quale non si potrebbe mai arrivare alla cristoformità.
Quando nasce un bambino, Se invece le cose vengono
vissute solo in modo umano e
interpretate soltanto a partire da noi,
è impossibile arrivare ad una lettura spirituale.
spesso i parenti dicono che ha gli occhi del papà, la bocca della nonna, le dita della mamma, ed
è naturale cercare le somiglianze.
E la somiglianza con Cristo che cosa significa?
La cristoformità richiede la visione integra di Cristo,
altrimenti è facile vedere in Cristo un’immagine ridotta a certi fatti,
identificarlo con un taumaturgo, escludendo la via pasquale.
Una visione parziale di Cristo permette all’uomo
di prendere solo quelle parti che piacciono, che lo attirano.
Non è impossibile allora trovare in Cristo solo alcune cose che piacciono anche ai sensi:
Egli ha mangiato, ha visitato le persone, ha camminato, ha parlato, viaggiava sulla barca...
Siccome Cristo ha realizzato tutto ciò che ha insegnato, ci vuole necessariamente una visione totale e integra della sua Persona che ha offerto la vita per tutti ed è risuscitato il terzo giorno.
La cristoformità include tutto ciò che Lui ha insegnato e vissuto, anche il Getsemani, la croce e la morte.
Bisogna però dire che Cristo non ha sofferto per soffrire, ma ha sofferto per rivelare l’amore divino, che non avrà mai fine.
L’amore divino ha sempre infatti due aspetti:
uno svela il lato tragico dell’amore, il sacrificio,
l’altro il compimento dell’amore sacrificale come gioia di questo sacrificio.
E ogni amore maturo ha sempre queste due dimensioni.
Senza la consolazione, la beatitudine, il sacrificio da solo,
rischia di essere masochismo, e senza il sacrificio qualcosa di immaturo e di superficiale.
Il problema che si pone è proprio
come far entrare nella nostra vita la sofferenza,
che a tutti i costi l’uomo vorrebbe eliminare.
P. Molinié però fa vedere tutta un’altra visione della sofferenza dicendo che
“non è la sofferenza che rende difficile la vita cristiana.
La sofferenza è dolorosa (per definizione), ma non è pericolosa.
Dio non la manda, per metterci in pericolo,
ma per salvarci dal pericolo”,
per allontanarci dai falsi dei e dalle false ricerche di salvezza,
che spesso però passano attraverso grandi dolori.
Del dolore si intendeva molto bene
lo scrittore russo Dostoevskij, grande artista,
che è stato molti anni anche in prigione.
Per lui: “la sofferenza è una buona cosa…
tramite essa tutto è espiato!”
La sofferenza, vissuta in questo modo,
fa scoprire i significati immensi della sapienza di vita.
“Tutto ciò che viene sofferto nel buio, perché si ama,
nell’altro mondo non è il buio ma la luce,
allora il carbone nero con cui si disegna l’amore sulla terra,
soffrendo e morendo diventa il colore della carità cioè il colore della luce”.
Siamo chiamati però a lasciarci ispirare e a contemplare la sofferenza di Cristo Salvatore. Edith Stein ci richiama: “Se desideri raggiungere Cristo, non lo cercare mai senza la sua croce… il mistero della croce può capirlo solo chi è crocifisso…
Noi siamo chiamati a patire con Cristo per collaborare alla sua opera di redenzione…
Cristo continua a vivere in noi e soffre in noi.
Così la nostra sofferenza è feconda.”
E’ Gesù crocifisso che ci “farà capire la croce,
e non la croce che ci farà capire Dio:
al contrario la croce ci svela l’aspetto più incomprensibile di Dio.”
 L’uomo vecchio deve morire per arrivare all’assimilazione  a Cristo
e anche alla capacità di poterlo seguire nella sobrietà e non secondo modelli romantici.
Gesù stesso ci dice: “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me” (Mt 10,38) e “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20).
Queste parole ci fanno vedere e credere che
“la sofferenza è una grande forza,
perché santifica non soltanto gli innocenti,
ma anche coloro che hanno peccato, che hanno sbagliato indirizzo di vita,
ma che lo sanno ammettere”,
perché Cristo è morto per tutti.
Allora la “sequela Christi” ci apre le immense dimensioni della cristoformità,
ma tutte hanno in comune l’invito ad offrire le sofferenze e i dolori per qualcuno.
Nei colloqui spirituali è molto importante aiutare le persone in questo accompagnamento,
affinché non si chiudano nella sofferenza,
ma rimangono nell’apertura della relazione,
perché mettere nella relazione ciò che si sta offrendo
significa dare al dolore un significato relazionale.
Per questo è necessario nella via della cristoformità scoprire la pedagogia, la teologia della Croce.
 Il Cardinal Špidlìk dice che proprio “nell’atteggiamento verso Cristo sofferente si riflette la maturità della vita spirituale”.

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