martedì 9 luglio 2013

Viene il giorno nel quale lo spirito, alle­nato, ha fatto progressi, e riceve potenza dallo Spi­rito per pregare totalmente e intensamente: allora non ha più bisogno della parola.


Tappe ascetiche e aspetti pratici della Preghiera di Gesù
 O. Clement, J. Serr, LA PREGHIERA DEL CUORE, ed.Ancora

La « preghiera di Gesù »
può assumere delle forme “tecniche”, psico-somatiche,
per favorire l’unificazione dello spirito e del cuore.
Indicazioni molto precise si trovano in tutti i testi del XIII e XIV secolo,
quando si ebbe nel mondo bizantino un potente rinnovamento dell’esicasmo.
Il ricorso allo scritto prova che i maestri erano scomparsi, o quasi,
e anche che l’esicasmo non è un esoterismo
(con le sue linee ininterrotte di maestri e di discepoli, come il “sufismo”)
ma la realizzazione cosciente del mistero cristiano,
sempre suscettibile di rinascere dalla vita sacramentale
e dalla penetrazione spirituale delle Scritture.
Nil Sorskij, nel XVI secolo, lo starec Silvano nel XX, rinviano il discepolo,
se non trova un maestro,
alla meditazione della Bibbia e dei Padri,
a una profonda vita sacramentale,
al rispetto dei « comandamenti di Cristo »,
infine ai consigli di ogni confessore di buona volontà,
anche se non comprende niente del “metodo”;
se ci si affida a lui nella fiducia e nell’umiltà,
Dio stesso ci guiderà per mezzo suo.

Alla fine del XIII secolo, e nel corso del XIV,
in un’epoca assai turbata,
molte cose sono state così affidate allo scritto:
abbiamo in tal modo i testi di Niceforo il Solitario
(che costituiscono una piccola Filocalia nella grande),
dell’autore anonimo del “Metodo”,
di S. Gregorio Palamas, di S. Gregorio il Sinaita, di Callisto e di Ignazio Xantopuloi.
La raccolta di estratti riguardanti
le tecniche della preghiera è stata redatta da J. Gouillard
che l’ha completata con alcune indicazioni di S. Nicodemo Agiorita.

All’alba, e soprattutto al calar del sole, dicono questi testi,
è importante, per pregare,
ritirarsi « in una cella tranquilla e oscura »,
« appartata in un angolo ».
Mentre per i principianti la “preghiera di Gesù »
si dice in piedi, con o senza prosternazioni,
qui si raccomanda di sedersi su un basso sgabello e
di inchinarsi comprimendo il petto,
sia semplicemente coll’appoggiare il mento su di esso,
sia curvandosi al massimo,
in un movimento “circolare” del corpo,
tendendo il capo verso le ginocchia,
non senza un « dolore del petto, delle spalle e della nuca ».
Se ci si limita a curvarsi appoggiando mento o barba sul petto,
« a chiudere il cerchio sarà lo sguardo
che si fisserà sul petto stesso,
o sul centro del ventre,
ossia sull’ombelico ».

Queste posizioni hanno un senso nel quale
si esprime la realtà simbolica, o “sacramentale” del corpo.
Esse manifestano,
e perciò assecondano,
la concentrazione di tutto il composto umano sul cuore,
in un movimento che essendo scomodo
(a diffe­renza della facilità sovrana ricercata dallo yoga)
non è di padronanza ma di offerta.
« Così, nota Nicodemo Agiorita,
l’uomo offre a Dio tutta la na­tura sensibile e intellettuale,
di cui egli è il legame e la sintesi ».
Gli esicasti si riferiscono a questo riguardo
al « movimento circolare dell’anima » di cui parla Dionigi nei Nomi divini:
« Il movimento cir­colare dell’anima è il suo entrare in se stessa
mediante il distacco dagli oggetti esteriori e
la mobilitazione unificante delle sue potenze »

Allo stesso modo, la fissazione dello sguardo sull’ombelico,
ossia sul centro vitale dell’uomo
(qui si imporrebbe tutto uno studio per sapere se si può proporre un raffronto con lo hara giapponese),
non è un semplice artificio di concentrazione,
ma si­gnifica che tutta la forza vitale dell’uomo,
trasmu­tandosi nel « cuore cosciente »,
deve anch’essa farsi offerta.
Dio può così fare sua, dice S. Gregorio Palamas,
la « parte concupiscibile » dell’anima,
può « ricondurre il desiderio alla sua origine »,
cioè all’eros per Dio di cui parlano così profondamente S. Giovanni Climaco e
l’Apocalisse, che lancia il suo appello all’ « uomo del desiderio ».

Così il corpo stesso aderisce a Dio « con la forza di questo desiderio ».
« Coloro che si danno ai piaceri sensibili della corruzione
esauriscono nella carne
tutta la potenza del desiderio della loro anima,
e diventano essi stessi interamente carne.
Lo Spirito non può dimorare in loro.
Al contrario, in quelli che elevano il loro spirito a Dio
e stabiliscono la loro anima nell’amore di Dio,
la carne trasformata partecipa allo slancio dello spirito e
si unisce a lui nella comu­nione divina.
Essa stessa diventa dominio della casa di Dio ».
La trasfigurazione dell’eros nell’agape
è una costante di questa tradizione:
« Che l’eros fisico sia per te un modello nel tuo desiderio di Dio »,
scriveva S. Giovanni Climaco, che soggiun­geva:
« Beato colui che ha una passione non meno violenta per Dio
di quella dell’amante per la sua fidanzata ».

In questa posizione,
è necessario « raccogliere il proprio spirito » e
« farlo discendere », « spingerlo » nel cuore,
utilizzando il movimento dell’inspirazio­ne,
curvarsi del corpo permette di « comprimere »  la respirazione:
« trattiene il respiro » il più a lungo possibile,
pronunciando le parole della preghiera.
Poi si emette l’aria « a labbra chiuse ».
Questo all’inizio.
Lo spirito, attratto dalla posizione scomoda del corpo,
« si raccoglie più facilmente »;
il cuore, a disagio per lo sforzo di trattenere il re­spiro,
è più facile « da trovare ».
In seguito, il « ritmo del respiro si fa più lento ».
L’invocazione non è più pronunciata con le labbra,
anche quasi in silenzio,
ma si compie in una maniera puramente interiore.
Viene il giorno nel quale lo spirito, alle­nato,
ha fatto progressi,
e riceve potenza dallo Spi­rito per pregare totalmente e intensamente:
allora non ha più bisogno della parola.

Quando si è « calato » lo spirito nel cuore,
esso non deve avere altra preoccupazione che il grido:
« Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me».
La formula usata sarà
– ma senza che il cambiamento sia troppo frequente,
« perché gli al­beri troppo trapiantati non attecchiscono più », ora:
« Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me », ora
« Figlio di Dio, abbi pietà di me ».
Quando lo spirituale « avrà progredito nell’amore mediante l’esperienza »
e avrà ottenuto per grazia l’evidenza della misericordia divina,
abbandonerà l’« abbi pietà di me » per concentrarsi sulle parole:
« Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio »,
che « dirigono lo spirito immaterialmente verso colui
che esse nominano »
I proficienti” e i “perfetti” si accontenteranno della sola invocazione del Nome di Gesù.


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