martedì 17 dicembre 2013

Molto più efficace della mortificazione che ci si impone di propria scelta è la croce esteriore o interiore che Dio stesso ci carica sulle spalle.


Edith STEIN, LA MISTICA DELLA CROCE
Capitolo 5. - CROCE RESURREZIONE - TESTAMENTO

Si giunge a possedere una scientia crucis solo quando si sperimenta fino in fondo la croce.
Di questo ero convinta fin dal primo istante,
 perciò ho detto di cuore: «ave crux, spes unica!»
Molto più efficace della mortificazione che ci si impone di propria scelta
è la croce esteriore o interiore che Dio stesso ci carica sulle spalle.
La fede presenta Cristo allo sguardo dell’anima:
povero, annientato, crocifisso, abbandonato dallo stesso Padre celeste
nell’istante cruciale del supplizio.
Nella sua povertà e nel suo abbandono,
essa ritrova la propria miseria.
Aridità, disgusto e afflizione formano ora la «croce spirituale pura» che le viene offerta. Accettandola, essa constata per esperienza come si tratti di un giogo soave e d’un peso leggero.
La croce le serve da bastone che le facilita la marcia verso la vetta.
Quando si rende conto che il Cristo ha effettuato
la sua opera più eccelsa nell’avvilimento supremo, nell’annientamento della croce,
realizzando così la riconciliazione e l’unione dell’umanità a Dio,
allora si ridesta anche in lei la convinzione
che «la morte di croce subita da vivi, sia nel corpo che nello spirito»,
sia l’unica via che porta all’unione con Dio.
Come Gesù, nell’abbandono prima della morte,
si consegnò nelle mani dell’invisibile e incomprensibile Iddio,
così dovrà fare anche l’anima, gettandosi a capofitto nel buio pesto della fede,
che è l’unica via verso l’incomprensibile Iddio.
Nella passione e morte di Cristo i nostri peccati sono stati consumati dal fuoco.
Se accogliamo con fede questa verità, accettando fedelmente e senza riserve il Cristo tutto intero in modo da scegliere e percorrere la via dell’imitazione di Cristo,
allora «attraverso la sua passione e la sua croce,
egli ci condurrà alla gloria della resurrezione».
È appunto ciò che si prova nella contemplazione:
attraverso il fuoco dell’espiazione si giunge alla beata unione d’amore.
Alla luce di questa realtà si spiega anche il suo carattere contraddittorio.
È morte e resurrezione.
Dopo la «notte oscura» splende la «viva fiamma d’amore.
Il mondo che percepiamo coi nostri sensi è
- su un piano puramente naturale -
il saldo terreno che ci sostiene,
la casa in cui ci sentiamo a nostro agio,
che ci alimenta e ci fornisce tutto il necessario,
la fonte delle nostre gioie e dei nostri piaceri!
Se ci viene tolta o ci vediamo costretti a sloggiare,
abbiamo veramente l’impressione che ci manchi il terreno sotto i piedi,
che la notte ci avviluppi da ogni lato;
ci sembra di affondare, di essere finiti.
Ma non è così.
In realtà stiamo per essere sistemati su una via più sicura,
benché si tratti di una strada buia, immersa nella notte:
la via della fede.
È senz’altro una via, perché conduce al traguardo dell’unione.
Ma è però una via notturna,
perché - paragonata alla chiara visuale della ragione naturale -
la fede è una conoscenza oscura:
ci fa conoscere qualcosa che non riusciamo a vedere.
Ecco perché si deve dire che il fine da raggiungere sulla via della fede è anch’esso una notte:
sulla terra, anche nell’unione dell’estasi,
Dio ci resta nascosto.
L’occhio del nostro spirito non è in grado di sostenere la sua luce sfolgorante
e si guarda intorno come nel buio notturno.
Tuttavia, come la notte cosmica non è sempre oscura allo stesso modo per tutta la sua durata,
così anche la notte mistica ha i suoi segmenti temporali
e le corrispettive gradazioni.

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