venerdì 20 dicembre 2013
La mia speranza è solo nel fatto che per tutta la vita ha creduto in Dio con la fiducia di un bambino e che la sua è stata una vita di sacrifici.
Edith STEIN, LA MISTICA DELLA CROCE
Capitolo 5. - CROCE RESURREZIONE - TESTAMENTO
Nel 1917, allorché Edith Stein era assistente di Edmund Husserl, giunse a Friburgo una notizia dolorosa. Adolf Reinach, anche lui assistente di Husserl, era morto sul campo di battaglia delle Fiandre. Il dolore di Edith Stein fu grande; pensò alla moglie di Reinach. Da Gottinga, la pregarono di ordinare il lascito di Reinach. Edith Stein temeva di rivedere la vedova. Il suo animo era sconvolto: Reinach, che insieme con Husserl costituiva il fulcro del circolo di Gottinga, non viveva più. Attraverso la sua bontà, aveva potuto gettare uno sguardo in quel mondo che le sembrava sbarrato. Il ricordo non la aiutava. Che cosa avrebbe potuto dire alla moglie, certamente in preda alla disperazione? Edith Stein non poteva credere ad una vita eterna. L’atteggiamento rassegnato della signora Reinach la colpì come un raggio di luce che proveniva da quel regno nascosto. La vedova non era abbattuta dal dolore. Nonostante il lutto, era piena di una speranza che la consolava e le dava pace.
Di fronte a questa esperienza, andarono in frantumi gli argomenti razionali di Edith Stein.
Non la conoscenza chiara e distinta, ma il contatto con l’essenza della verità trasformò Edith Stein. La fede risplendette a lei - nel mistero della croce. Era necessario ancora un lungo cammino prima che riuscisse a trarre tutte le conseguenze da questa esperienza. Per una pensatrice come Edith Stein, non era facile tagliare tutti i ponti e osare il salto nella nuova vita. Ma il colpo fu così forte che ancora poco prima della sua morte, così parlava di questa sua esperienza al gesuita padre Hirschmann:
Fu il mio primo incontro con la croce
e con la forza divina che essa comunica a chi la porta.
Vidi per la prima volta, tangibile davanti a me,
la Chiesa, nata dal dolore del Redentore, nella sua vittoria sul pungolo della morte.
Fu il momento in cui andò in frantumi la mia incredulità
e risplendette la luce di Cristo, Cristo nel mistero della croce.
Inizio della persecuzione degli ebrei
L’uomo incominciò a parlarmi e raccontò
ciò che riferivano i giornali americani sulle atrocità di cui erano vittime gli ebrei.
Erano notizie non confermate,
che non voglio nemmeno ripetere.
Voglio ricordare solo l’impressione che provai quella sera.
Avevo già sentito parlare in precedenza di crudeli provvedimenti contro gli ebrei.
Ma solo allora mi apparve chiaro all’improvviso
che Dio metteva di nuovo duramente alla prova il suo popolo
e che il destino di questo popolo era anche il mio destino.
Non feci notare all’uomo che mi sedeva di fronte quello che sentivo dentro di me.
Evidentemente, non sapeva nulla delle mie origini.
In genere, in casi simili, ne parlavo.
Quella volta non lo feci.
Mi sarebbe sembrata una violazione del diritto di ospitalità
se gli avessi turbato il riposo notturno con una tale rivelazione.
Enciclica contro la persecuzione degli ebrei
Informandomi a Roma, seppi che non avevo alcuna speranza di poter avere un’udienza privata (con Pio XI) a causa dei troppi impegni del Papa. Si sarebbe potuta ottenere per me solo una «udienza particolare» (ossia, in un piccolo gruppo).
Ma non era quello che desideravo.
Così rinunciai al viaggio e misi per iscritto la mia richiesta.
So che la mia lettera fu consegnata sigillata al Papa;
qualche tempo dopo, ricevetti anche la sua benedizione per me e per i miei cari.
Ma non ci fu nient’altro.
In seguito, mi sono spesso chiesta
se qualche volta quella lettera non gli sia tornata in mente.
Infatti negli anni successivi si è realizzato punto per punto
ciò che allora avevo previsto sul futuro dei cattolici in Germania.
Provai quasi un senso di sollievo al pensiero di essere veramente coinvolta nella sorte generale,
ma dovevo naturalmente riflettere su ciò che avrei dovuto fare in seguito.
Circa dieci giorni dopo il mio ritorno da Beuron,
pensai se non fosse ormai tempo di entrare nel Carmelo.
Da circa dodici anni, il Carmelo era la mia aspirazione.
Da quando mi era capitata tra le mani, nell’estate del 1921,
la vita della nostra santa madre Teresa,
ed aveva posto fine alla mia lunga ricerca della vera fede.
Quando ricevetti il battesimo, il giorno di Capodanno del 1922,
pensai che era solo una preparazione al mio ingresso nell’Ordine.
Quando però alcuni mesi dopo mi trovai di fronte alla mia cara mamma
per la prima volta dopo il battesimo,
mi apparve chiaro che non era ancora pronta a questo secondo colpo.
Non ne sarebbe morta,
ma si sarebbe riempita di amarezza,
e non potevo rendermene responsabile.
Dovevo attendere pazientemente.
Così mi fu consigliato anche dal mio direttore spirituale.
Alla fine l’attesa era diventata per me molto dura.
Ero divenuta estranea al mondo.
Prima di iniziare l’attività a Mùnster e dopo il primo semestre,
avevo chiesto insistentemente il permesso di entrare nell’Ordine.
Mi fu rifiutato, considerando l’opposizione di mia madre
e l’attività che svolgevo da alcuni anni nel mondo cattolico.
Avevo obbedito.
Ma ora tutti gli impedimenti erano crollati.
La mia attività era finita.
E mia madre non mi avrebbe preferita in un monastero in Germania
piuttosto che in una scuola in Sudamerica?
Il 30 aprile - era la domenica del Buon Pastore -
nella chiesa di San Ludgerio si festeggiava il santo pregando per tredici ore di seguito.
Ci andai nel tardo pomeriggio e mi dissi:
non esco prima di sapere se posso entrare adesso nel Carmelo.
Quando fu data la benedizione finale, avevo il consenso del Buon Pastore “.
Consideravo Beuron come l’anticamera del cielo,
ma non avevo mai pensato di farmi benedettina;
ero sempre stata convinta
che il Signore mi avesse tenuto in serbo nel Carmelo
qualcosa che avrei potuto trovare solo là.
La fede nel Messia è quasi sparita negli ebrei di oggi,
anche nei credenti.
E quasi altrettanto la fede in una vita eterna.
Per questo, non sono mai riuscita a far capire a mia madre
né la mia conversione né la mia scelta di entrare nell’Ordine.
Ed è proprio per questo che soffre ancora molto per la nostra separazione,
senza che io possa dirle una parola di conforto.
Devo scriverle, ma non posso dirle niente di essenziale.
La mia speranza è solo nel fatto
che per tutta la vita ha creduto in Dio con la fiducia di un bambino
e che la sua è stata una vita di sacrifici.
E chissà che non sia proprio la separazione dalla figlia più piccola,
che amava in modo particolare,
e qualche piccolo accenno che talvolta mi sono permessa di fare
a provocare nella sua anima delle riflessioni di cui nulla traspare all’esterno.
«Spem suam Deo committere», diceva san Benedetto.
Che cosa mi si potrebbe dire per consolarmi?
Umanamente, c’è poco da consolarsi,
ma colui che ci da la croce sa anche renderci il peso dolce e leggero.
Ci fa bene pensare che abbiamo la cittadinanza del paradiso
e che i santi in cielo sono i nostri concittadini e coinquilini.
Questo ci fa sopportare più facilmente le cose quae sunt super terram.
Scimus quoniam diligentibus Deum... (Rm 8, 28: a chi ama Dio, tutto volge per il meglio)
varrà anche per mia madre,
perché ha veramente amato il «suo» Dio
(come spesso diceva con vigore)
e con questa fede ha sopportato molte dure prove e ha fatto molto del bene.
Quella frase della Lettera ai Romani mi ha dato grande conforto
e gioia nell’estate del 1933 a Mùnster,
quando il mio futuro era ancora molto incerto.
Mai ho letto così di cuore come allora l’Ufficio dei Martiri del tempo pasquale,
in cui la si ripete tante volte.
Anche adesso deve essere il mio sostegno.
Da quattro generazioni mia madre era il perno che teneva unita la famiglia.
Adesso è il dolore che tiene tutti uniti intorno a lei,
anche i nipoti che sono in terra straniera.
Ciò che seguirà sarà ancora più doloroso per chi resta.
D’ora in poi, per tutta la mia vita dovrò prendere io il suo posto,
insieme con mia sorella Rosa, che è unita a me nella fede.
Le mie lettere fanno dei lunghi giri
ed hanno bisogno di molto tempo per arrivare a destinazione.
Ma una volta arrivate, trovano subito risposta.
Naturalmente, anche in questi casi molto resta non detto.
Sono solo segni che non si può essere divisi da una separazione spaziale
quando si è uniti in Dio.
E questo resta valido anche se questi segni dovessero venire a mancare.
Grazie infinite per la sua cara lettera del 23 novembre.
Devo dirle che ho portato il mio nome da religiosa già quando ero postulante.
Mi è stato dato così come l’ho chiesto.
Sotto la croce ho capito il destino del popolo di Dio,
che fin da allora cominciava a preannunciarsi.
Ho pensato che chi comprende come tutto questo sia la croce di Cristo
dovrebbe prenderla su di sé in nome di tutti gli altri.
Oggi so un po’ più di allora
che cosa vuol dire essere sposa del Signore nel segno della croce.
Certamente, non lo si capirà mai per intero, perché è un mistero.
Cara madre, mi permetta di offrire me stessa al cuore di Gesù
quale vittima d’espiazione per la vera pace:
affinchè cessi il dominio dell’anticristo,
possibilmente senza una Seconda Guerra mondiale,
e possa venire instaurato un nuovo ordine.
Vorrei farlo ancor oggi, perché è mezzanotte.
So di essere un nulla, ma Gesù lo vuole,
ed egli chiamerà certamente molti altri in questi giorni “.
Non è l’attività umana che ci può salvare,
ma soltanto la passione di Cristo.
Esserne partecipe, questa è la mia aspirazione.
Testamento
Fin da ora accetto con gioia la morte che Dio mi ha riservato,
sottomettendomi pienamente alla sua sacra volontà.
Prego il Signore che voglia accettare la mia vita e la mia morte a suo onore e lode,
secondo le intenzioni della Chiesa,
e affinchè il Signore sia accolto dal suo popolo e il suo regno venga con gloria,
per la salvezza della Germania e la pace del mondo,
infine per i miei cari, vivi e defunti,
e per tutti coloro che Dio mi ha affidato:
che nessuno di loro si perda.
Fine libro.
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