Questa notte non leggerò
nessuna delle mie poesie.
Questa notte voglio solamente dire grazie.
Grazie alla poesia e a una brigata di poeti.
Alla stessa Poesia perché mi ha dato
un’altra voce,
un’altra voce con la quale posso parlare
con gli alberi e le pietre e gli uccelli.
Voglio dire grazie al poeta azteco
Ayocuán Cuetzpaltzin
per la sua vasta conoscenza del cuore umano.
A San Juan de la Cruz
per i suoi consigli su come fare l’amore
con la mia anima.
E grazie a Dante Alighieri e a Arthur Rimbaud per
darmi così tanti buoni consigli su come entrare e uscire
dagli inferni.
Alla poesia per darmi mani
con le quali poter salutare il vento e toccare
il volto dei miei cari morti.
A Walt Whitman e Federico García Lorca
per la profonda risonanza del loro canto e per
quanto il secondo amò il primo.
A Vicente Huidobro e Nicanor Parra per
aver rimosso la maschera tanto solenne che Pablo
Neruda aveva dato alla poesia. E perché il primo mi
insegnò a cadere dal basso verso l’alto.
Grazie a Jorge Luis Borges perché
nella sua nobile cecità confuse
il paradiso con la biblioteca.
E grazie a César Vallejo per tutta la tristezza
e tutte le sue solitudini e tutta la sua bravura di poeta.
Mario Licón Cabrera (Nuevo Casas Grandes, Chihuahua, Messico, 1949)
da La reverberación de la ceniza,
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