domenica 3 novembre 2013

La vita piena non è possibile se non si raggiungono le profondità dove scaturiscono le sue polle originarie.


In attesa di riempire i vuoti lasciati in questo blog, ecco una breve ma intensa riflessione di Carlo Molari  e dopo se non bastasse vai  http://hoascoltatoilsilenzio.blogspot.it/2013/11/i-momenti-di-preghiera-sono-palestra.html e http://hoascoltatoilsilenzio.blogspot.it/2013/11/una-spiritualita-adulta.html per riflettere sulla nostra maturità alla luce di quanto i temi liturgici di questi giorni ci aiutano a cambiare testa. 

La prima urgenza di ogni uomo è vivere pienamente la propria giornata.
La condizione assoluta, per poterlo fare è l'interiorità:
la presenza a se stessi,
la trasparenza della persona,
la lucidità degli ideali perseguiti,
il possesso pieno delle proprie capacità.
È capitato a molti, credo, di essersi trovati in circostanze nelle quali sono riusciti a compiere imprese di cui non immaginavano mai di essere capaci.
Al contrario, in altre situazioni è stato sufficiente un cambiamento di umore, una incomprensione, un imprevisto a renderli inerti, a gettarli in uno stato di depressione.
Facilmente in queste circostanze tendiamo a cercarne le ragioni negli altri.
E troviamo sempre dei motivi sufficienti per accusare qualcuno vicino a noi o il destino o il tempo o la salute.
In realtà, anche quando esistono queste motivazioni, le ragioni vere del nostro malessere sono sempre anche in noi.
Se è vero che dagli altri ci viene l'energia vitale è anche vero che essa non opera in noi finché non la facciamo nostra.
Quando ciò avviene riusciamo a vivere diversamente.
Succede così che, ad esempio,
ammalati riescono a comunicare forza di vita a chi è sano,
drogati riescono ad accogliere l'aiuto degli altri in modo imprevisto,
emarginati scoprono offerte di amicizia che prima trascuravano.
Giorni fa leggevo la lettera di un giovane fiorentino, 17 anni nel '74 quando scriveva:
« Prima mi drogavo, i miei occhi non vedevano più la bellissima luce del sole, perché la droga mi dava il senso del buio, il mio umile corpo era tutto punzecchiato di piccoli fori, io mi ero ridotto un piccolo mostriciattolo. Poi una luce misteriosa ... ».
Cosa era avvenuto? Aveva per caso letto alcune lettere di una ragazza, Benedetta Bianchi Porro, morta a 25 anni ormai ridotta un rudere umano da un male crudele: cieca, sorda, insensibile, staccata dal mondo.
È morta da 20 anni e molti continuano a trovare nei suoi scritti la forza per intraprendere nuovi cammini. Come il ragazzo fiorentino che si drogava.
Non so che cosa sia ora di lui, perché l'avventura della vita richiede lunghi percorsi e a volte tortuosi. Ma certo è che un giorno una luce è entrata nella sua esistenza martoriata perché lontano, dieci anni prima, una ragazza sofferente aveva saputo amare.
A questi livelli l'esistenza che vale
si svolge.
La vita piena non è possibile se non si raggiungono le profondità
dove scaturiscono le sue polle originarie.
Quando vi si è giunti si comunica vita anche se si è inchiodati in una croce a gridare un dolore senza fine. Anche se si è emarginati in una solitudine tragica.
Si può comunicare forza al mondo intero e offrire speranze a una moltitudine immensa che cerca ancora ragioni di vita.
A tutti noi, amici, oggi è possibile scendere più in profondità e offrire nuove energie vitali a chi incontriamo.
Proviamoci e la pace di Dio sia con noi.
Carlo Molari

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