venerdì 23 dicembre 2016

E allora si può vivere anche senza


Apro un cassetto, un altro ancora,  poi un armadio.  
Per la miseria! non c’è un filo di  spazio.

Mi dico “dovresti buttar via un po’ di roba” ma proprio non riesco a disfarmi di niente, 
o  meglio,
è insopportabile per me  fare a meno di tutto quello 
che ho desiderato,  che ho  dimenticato e poi cercato, che ha fatto parte dei miei giorni, della mia vita. 

La sindrome dell’abbandono è una condizione 
che ho  vissuto nel momento stesso in cui sono venuta al mondo e, come un imprinting, è rimasto  stampato  per sempre nella mia memoria affettiva.  
Deve essere per questo che  vivo nel terrore  di poter essere separata per sempre, per un motivo o per un altro,  da quello a cui sono più attaccata, fosse anche un oggetto sprofondato e dimenticato  nel più remoto angolo della mia casa.

E dire che  il destino, una mattina,  stabilisce tuo malgrado,  
che puoi fare a meno  di chi  ti ha accompagnato il primo giorno a scuola  e  per un lungo tratto della vita.  
Da un giorno all’altro,  fai a meno di chi,  con la sua voce,  ha scandito il ritmo dei tuoi giorni ed era, ogni mattina,  la sostanza di un altro giorno insieme. 
E allora?

E allora  si può vivere anche senza 
il servizio spaiato da thè della  bisnonna , dei vecchi libri del liceo,  messaggeri d’amore inconsapevoli, tra l’ora di storia e quella di latino. 
Puoi fare a meno delle carte stradali di mezza Europa e  dei disegni sbiaditi di un’estate a Salisburgo. Vivrai lo stesso anche senza  
il  vecchio scialle in cui ogni tanto affondi il viso e  che ha perso ormai  l’odore della pelle di tua madre. 
Vivrai,  comunque,  senza  
le peonie di seta che  comprasti al mercato di Honfleur,  un mattino d’agosto che intorno c’era una luce che abbagliava i tuoi occhi e la tua vita. E  tu fosti tanto  sciocca da  pensare che quell’attimo fosse l’eternità.

Le peonie di Honfleur
Di Annamaria Sessa

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