lunedì 13 gennaio 2014

la formazione permanente diventa l'orizzonte di senso della formazione iniziale, non solo la sua prospettiva originaria, ma anche quella finale, il suo obiettivo naturale e il suo completamento


Amedeo Cencini 
Il respiro della vita
La grazia della formazione permanente
Parte prima
RINNOVAMENTO INCOMPIUTO
CAPITOLO I
Nodi teorici e pratici
2.3. Orizzonte di senso

Abbiamo detto che la formazione religiosa o presbiterale non si gioca tutta nel tempo della preparazione ai voti o agli ordini, né è teoria («bella teoria», direbbe ironicamente qualcuno) poi magari smentita o ridimensionata dalla pratica. C'è un rapporto che va colto con correttezza tra questi due momenti strategici e che l'idea di formazione permanente ci pare aiuti a decifrare. Più precisamente, «l'iter di formazione non può e non vuole anticipare il futuro, né deve artificiosamente ricostruire quel contesto nel quale poi si vivrà il ministero. C'è un salto inevitabile e salutare. La formazione del seminario (o del noviziato e post-noviziato) abilita esattamente a questo passaggio: a entrare nel vivo di una responsabilità e di un cammino di discepolato capaci di rigenerare e convertire chi in essi si pone in libertà e disponibilità» (8). Dietro a queste affermazioni c'è un equilibrio molto delicato e continuamente da precisare e calibrare, e che potremmo formulare così: la formazione iniziale prepara alla consacrazione, ma è la formazione permanente che forma il prete o il consacrato/a, perché è il ministero, la vita comune, il servizio ai poveri, la ricerca dei lontani, l'annuncio della pasqua di Gesù nelle vicende umane, la vita di sempre. .. il luogo primario e pertinente della formazione.

C'è, dunque, una inevitabile tensione tra le due fasi formative, tensione che è feconda se sta a sottolineare che «la vita si nutre sempre daccapo e che gli anni della prima formazione non sono da interpretare come tempo in cui si acquisisce tutto ciò che è necessario per vivere, cosicché, poi, lo si debba solo applicare» . Tensione che è invece rischiosa se finisce per affermare che non è possibile prefigurare le caratteristiche e gli sviluppi della vita futura d'una persona durante gli anni della formazione iniziale; forse in un contesto storico più statico e meno complesso era più facile prevedere il dopo, i gesti e gli stadi continui della conversione; era meno difficile anticipare situazioni problematiche, intuire le forme originarie di particolari crisi di interpretazione di sé, del proprio esser consacrati e del mondo. Nel contesto attuale tutto ciò è più difficile e nient'affatto scontato. Proprio per questo oggi in maniera del tutto particolare la formazione permanente diventa l'orizzonte di senso della formazione iniziale, non solo la sua prospettiva originaria, ma anche quella finale, il suo obiettivo naturale e il suo completamento, ciò che fa sì che la vita vissuta nel dono di sé sia e diventi davvero il luogo normale della formazione.

Quando però la tensione non è vissuta in modo equilibrato sono possibili vari squilibri nell'approccio al ministero apostolico; classico è quello di quei giovani preti e consacrati/e che, una volta entrati nel ministero, se ne lasciano assorbire al punto da azzerare ogni percorso formativo, spirituale e culturale, che non sia «funzionale» all'azione apostolica. Apparentemente costoro sembrano totalmente dediti alle fatiche apostoliche, in realtà alla fine anche l'impegno in esse rischia l'ambiguità. Quando, infatti, il lavoro pure benemerito è vissuto in modo assorbente ed equivoco, o quando lo stesso dono di sé non è bilanciato con le esigenze della vita comune o dagli altri impegni e momenti della vita d'un consacrato/a o d'un sacerdote, senz'alcuna disponibilità a lasciarsene formare, «al posto di formare deforma, sfigura, esaurisce le forze. In ogni caso non è mai un luogo neutro: o forma o deforma» (10).

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